RITIRO ON LINE                                                                                                   
agosto 2018

                                                                                                                                                                                                                                                

 

Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.   Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi. 

 

È bello rendere grazie

al Signore

e cantare al tuo nome,

o Altissimo,

annunciare al mattino il

tuo amore,

la tua fedeltà lungo la notte,

sulle dieci corde e sull’arpa,

con arie sulla cetra.

 

 Perché mi dai gioia, Signore, con le tue meraviglie,

 

esulto per l’opera delle

 

 

tue mani.

.

 

Come sono grandi le

 

 

tue opere

 

,

Signore, quanto profondi

 

i tuoi pensieri!

 

(dal Salmo 92)

 

Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

 

 

 

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Le ore del giorno scorrono rapide. Impossibile fermarle.

Il credente però le può «redimere».

 

Continuano le lectio liberamente tratte da alcune riflessioni di don Davide Caldirola, sacerdote della Chiesa di Milano.

Buona meditazione e buona preghiera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano che mi viene proposto.  (Matteo 4,1-11)

 1 Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo.

2 Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3 Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4 Ma egli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

5 Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6 e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra».

7 Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».

8 Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9 e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10 Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto».

11 Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MEDITATIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio !  Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".

 

 Nel deserto: l'ora della tentazione

 

 

Ore e giorni del Signore

Se andiamo a rileggere qualunque pagina del Vangelo, scopriamo un'intensità straordinaria delle ore di Gesù, nelle sue giornate. Oggi abbiamo lo spazio per contemplare un quadro (uno dei tanti possibili) legato alla «giornata sotto il sole» di Gesù, al giorno nel suo culmine.

 

L’ora della prova

Proponiamo, per questa riflessione, un'ora particolare: l'ora della tentazione, l'ora della prova. Ci fa bene ricordare che anche Gesù è stato tentato, è passato attraverso un aspro confronto con l'avversario, con il nemico. Anche perché quella della tentazione è la nostra realtà quotidiana: ogni giorno siamo messi alla prova, ogni giorno riapriamo - con alterni risultati - il nostro combattimento con il male che è fuori e dentro di noi, ogni giorno domandiamo nel Padre nostro: «Non indurci in tentazione, liberaci dal male».

Anche per il Maestro la vita è stata prova, e le sue ore e i suoi giorni sono stati segnati dalla battaglia contro il male. Niente da stupirsi se è così per noi, oggi, se avvertiamo la fatica quotidiana di opporci al male, di affrontare la tentazione, di ricominciare da capo, di sentirci buttati nel deserto per sostenere un combattimento e una sfida.

 

Per inquadrare la scena

Come tutti i brani più noti del Vangelo, anche questo testo ci pone di fronte al rischio di un ascolto disattento. La prima «tentazione», di conseguenza, è quella di ascoltarlo in maniera distratta, senza la pazienza necessaria di ricostruirne il contesto, senza dare peso alla narrazione e alle parole che lo scandiscono.

Il lettore attento della Scrittura si avvede subito che il racconto delle tentazioni di Gesù è collocato in tutti i Vangeli dopo il suo battesimo. Non è un dato casuale; contiene infatti un'affermazione di grande rilievo: la naturale condizione del battezzato non è la tranquillità, la serenità, la vita pacifica e impeccabile.

È invece quella della tentazione, dell'essere esposto alle trame insidiose del nemico. È un'indicazione per tutti i credenti che si riconoscono in Gesù e nella sua vicenda. È l'invito autorevole a non stupirsi di fronte alla difficoltà, a non leggerla come un fallimento, ma come parte integrante e insostituibile del proprio cammino di battezzati.

Le tentazioni di Gesù, poi, non si esauriscono nel deserto, ma lo accompagnano fino alla croce, al compimento. Non gli vengono risparmiate, e non saranno risparmiate neppure a coloro che intendono percorrere la sua stessa strada. Il battesimo non colloca la vita del credente in una fortezza sicura, inattaccabile, ma lo spinge nella vita, con tutte le sue controversie e i suoi pericoli. Lo butta nel campo di azione del nemico.

La sorpresa del lettore aumenta quando si rende conto che Gesù non finisce nel deserto per caso, per errore, o irretito dalle suggestioni del male. Il suo soggiorno di quaranta giorni nell'arsura e nel silenzio non è un incidente di percorso, perché è lo Spirito a condurlo nel deserto: “Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo.” . Quella della tentazione è quindi vicenda spirituale, guidata e dettata dallo Spirito. È a pieno titolo «combattimento spirituale», «vita spirituale». La vita spirituale, infatti, è la vita che lo Spirito suscita dentro di noi, a volte esponendoci al rischio, ma sempre accompagnandoci nella dura battaglia contro il Maligno. I nostri percorsi e cammini spirituali vivono in questa precarietà, in questa tensione, nella tentazione concreta legata alla vita quotidiana.

 

La tentazione

Vale la pena allora dare forma e contenuto a questa parola inquietante: «tentazione». La tentazione è un mettere alla prova per saggiare il cuore, per educare sul cammino di osservanza del comandamento: illustra il senso del comandamento di Dio in ordine alla libertà dell'uomo. Se è vero che Gesù è il nuovo Mosè, e che il racconto delle sue tentazioni richiama quelle avute nel deserto dal popolo di Israele, allora questo racconto dice anche che la strada della libertà aperta nell'esodo deve proseguire ancora per entrare nella terra promessa. Questo camminare, questo lasciarsi istruire, è il modo con cui si entra nella vita. La tentazione rivela la qualità della libertà e dell’adesione all’alleanza. In quanto «prova», la tentazione è sempre anche tentativo: da parte dell'avversario che cerca di distogliere dal cammino di libertà del credente, e da parte di Dio che azzarda, si fida, dà fiducia all'uomo che dispone il proprio cuore al combattimento armato soltanto della forza della sua parola.

Entriamo ora nel vivo della descrizione del combattimento. Lo faremo provando a identificare dapprima la strategia del nemico e in un secondo momento la difesa di Gesù.

 

La strategia del Nemico

Il Nemico non si muove a casaccio. Sa benissimo quel che fa, ha in mente un piano preciso per provare a far cadere Gesù. E la prima strategia che adotta è quella dell'attesa.

L'Avversario è paziente, sa aspettare. Matteo non dice che tenta Gesù durante i quaranta giorni, ma al termine, quando Gesù ha fame, quando è più debole e stanco. Satana resta nascosto a lungo, finché non intuisce un possibile spiraglio di azione. Mostra di non avere fretta. Sa attendere per chiudere la partita: gli interessa avere ciò che egli stesso propone a Gesù (potere, forza e successo) in maniera definitiva, totale.

E’ in questo momento, dopo una lunga attesa, che decide di agire. E prova ad instillare nel cuore di Gesù il veleno del dubbio.

Le parole di Satana sono tutte centrate sul dubbio, sono legate ad un «se». Mirano a distruggere le certezze di Gesù, a mettere in discussione la sua consapevolezza. Vogliono insinuare nel suo animo l'incertezza, lasciano intendere che forse si è sbagliato. Cercano di condurlo distante dalla serena coscienza di sé per spingerlo a rinnegare  la sua  natura di Messia sconfitto, umiliato, in cammino verso la croce. Fanno balenare allettanti scorciatoie, che il Vangelo non sopporta, in nome di una presunta esigenza di chiarezza. Suggeriscono la necessità di un imporsi, anziché la strada umile della  consegna  di sé alla volontà di Dio.

Tutto questo avviene attraverso un uso sottile, ma scorretto e strumentale della parola di Dio stesso. Satana conosce la parola di Dio, ma la piega al proprio ragionamento, alla propria logica. Nelle sue mani cessa di essere Parola libera e creatrice per diventare strumento, mezzo di convincimento. Diventa esercizio retorico, dialettico. E di conseguenza diviene finta, incapace di proferire qualunque accento di verità e di bene.

E attraverso questo uso improprio della Parola, l'Avversario tende a portare Gesù alla deriva: da una parte, gli prospetta ricchezza, successo, potere; dall'altra, insinua nel suo spirito la tentazione della depressione. In tutte e tre le tentazioni, infatti, il diavolo invita a guardare in basso: le pietre che stanno a terra, il vuoto sotto il pinnacolo del tempio, i regni della terra dalla cima del monte. «gèttati giù»,  suggerisce, non sollevare lo sguardo, non alzare gli occhi a colui che ti può liberare. Risuona l'invito a cedere allo spirito della tristezza, al baratro del lasciarsi andare, alla mestizia che designa l'uomo stolto, perché il saggio, come albero piantato lungo il corso d'acqua, anche nell'anno della siccità non intristisce.

 

La difesa di Gesù

Gesù non si lascia intimidire dall'aggressione del nemico e dall'astuzia della sua strategia. Anzitutto non risponde con parole sue, ma con lo «sta scritto», con la forza della parola pronunciata da Dio. Non è preoccupato di «preparare prima la propria difesa» davanti all'avversario, perché la Parola è suo scudo e difesa; non confida nella brillantezza del proprio eloquio, ma nella certezza di parole che non passano, che vengono dalla bocca di Dio. Davanti alla parola di Satana che mira  a distruggere  le certezze (la logica del «se»), si pone con la parola costruttiva e creatrice di Dio; davanti alla tentazione di guardare in basso, leva lo sguardo alla Parola che viene dall'alto, da Dio. È parola che è abituato a conoscere, a masticare: è la prima che arriva alla bocca e al cuore di fronte alla tentazione.

Di più: Gesù non appare minimamente preoccupato di fuggire davanti alla tentazione.  Si lascia condurre dallo Spirito, anzitutto; ma Matteo ce lo presenta perfino docile, apparentemente  remissivo  di  fronte a Satana. Gli permette di accostarsi, di condurlo sul pinnacolo del tempio e sull'alto monte: lo lascia fare. Ma sarà Gesù stesso, alla fine, a gridare il suo «vattene». Gesù sa che non è possibile vincere la tentazione soltanto fuggendo. Prima o poi va affrontata, accettata: bisogna entrare e rimanere nella prova per poterla superare.

Ancora: nelle tre repliche a Satana, Gesù nomina sempre il nome di Dio: «la bocca di Dio», la prima volta, e «il Signore Dio tuo» nelle due successive. È un nome che Satana non pronuncia mai.

Il nome di Dio, la sua paternità, è per Gesù forza, certezza di vita e di sapienza, garanzia di vittoria nella tentazione. È «in suo nome» che intende dire qualcosa, che intende parlare.

E mentre Satana persegue la logica del «se», al termine delle tentazioni Gesù dimostra di avere la forza di comandare, di avere una parola non dubitativa ma affermativa: la forza di un comando autorevole. Talmente autorevole che Satana esce di scena e giungono gli angeli a servirlo. Il suo è un linguaggio che dimostra di avere autorità: i Vangeli stessi non  mancheranno di segnalare come sia stato così il suo insegnamento durante tutta la vita pubblica («Non come quello degli scribi...»). È lo stesso linguaggio che ritroviamo a proposito dei miracoli in cui scaccia gli spiriti del male.

 

Le tentazioni e i passaggi

Di fronte a ciascuna delle tre tentazioni, Gesù non si limita a una strategia puramente difensiva, ma opera un ribaltamento, un «contropiede» che disorienta l'avversario e alla lunga lo sconfigge definitivamente.

 

Nella prima prova Gesù opera il passaggio dal possesso al dono.

Ciò di cui l'uomo vive, la speranza di cui si nutre, non è solo il pane. Non che l'uomo non viva di pane, ma la sua libertà è messa alla prova perché il pane che sfama il suo cammino, la speranza di cui ha bisogno per vivere, va intesa e vissuta come dono di Dio, come ciò che esce dalla sua bocca, come il dono che Lui ci concede. La tentazione è vivere come se il pane fosse nostro prodotto, nostro possesso, qualcosa che assimiliamo senza riconoscerne l'origine, la sor­ gente, il dono. La tentazione si esprime nel tentativo di strumentalizzare il pane, i beni, le cose, le persone, perché siano il compimento di noi stessi.

Il passaggio per superare questa tentazione è quello dal possesso al dono, al riconoscere costantemente l'origine di ciò che abbiamo e di ciò che riusciamo a fare e ad ottenere. La vita non è possesso ma dono.

Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”

 

Nella seconda prova Gesù passa dall'affermazione di sé alla “scioltezza”.

La seconda tentazione è quella di forzare Dio, di costringerlo al miracolo, di mettere la sua onnipotenza a servizio dei nostri desideri e della nostra affermazione. È solo un caso che sia collocata nel tempio, che sia la più «religiosa» delle tentazioni? La libertà dell'uomo quando desidera male, costruisce un Dio a sua immagine, ne sfigura il volto, lo intende come strumento della propria soddisfazione. La risposta di Gesù a questa che è la più articolata delle tentazioni, sostenuta pure da una citazione della Scrittura, è una risposta all'insegna della scioltezza. È costituita da un'affermazione lapidaria, che invita a lasciare in pace Dio, a restare tranquilli, a non metterlo alla prova. Se c'è bisogno del suo intervento ci penserà Lui, nei modi e nei tempi che ritiene opportuni. Tu non tentarlo, non metterlo alla prova, lascialo lavorare in pace.

Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”

 

Nella terza prova Gesù propone di passare dall'idolatria al servizio.

La terza tentazione è quella del potere, della potenza come forma di missione. E’ l'idolatria. Gesù propone un'altra strada, quella del servizio. Non vuole assumere la forma dell'uomo di potere, ma del servo. Il modo per essere signore e padrone è quello di cingersi i fianchi e servire, il modo per conquistare i regni della terra non è quello di cercare il primo posto ma l'ultimo. Gesù rifiuta come idolatria qualsiasi tentazione di potere, di preminenza e afferma radicalmente la sua scelta dell'ultimo posto, quello del servo. La missione di Gesù serve al primato di Dio, rende testimonianza alla sua unicità e centralità. Lascia tutto, anche se stesso, nelle mani del Padre.

“Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”

 

La prova e la fatica

Rileggere il brano delle tentazioni significa maturare atteggiamenti di fede permanenti, cogliere uno stile da assumere che non è legato a momenti particolari di «emergenza» della vita, ma presiede alla vita stessa, dal principio alla fine. Proviamo ad indicarne qualcuno.

La vita è combattimento spirituale; è segnata da un costante rimanere nella prova e nella tentazione, come più volte la Scrittura stessa richiama:

Figlio, se ti presenti per servire il Signore, prepàrati alla tentazione (Sir 2,1).

È una condizione alla quale non ci è dato di sottrarci, che non possiamo mai sciogliere o compiere in maniera definitiva.

È importante ribadire questa idea, perché spesso riscontriamo un malinteso di fondo riguardo alla nostra vita spirituale. Ci illudiamo che tutto debba procedere serenamente, che avere dei dubbi, dei momenti di difficoltà, delle suggestioni negative, delle prove, sia segno di poca fede, di debolezza, di lontananza da Dio. È vero il contrario.

 

Ricordiamo cosa dice, ad esempio, la Lettera agli Ebrei:

Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno (Eb 4,15-16).

 

Oppure raccogliamo le parole del saluto iniziale della Prima lettera di Pietro:

Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po' afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede…, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo (1Pt 1,6-7).

 

Paolo nella Prima lettera ai Corinti ci rassicura quando scrive:

Nessuna tentazione vi ha finora sorpresi se non umana; infatti Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d'uscita e la forza per sopportarla (1Cor 10,13).

 

Giacomo ribadisce questa idea quando afferma:

Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza. E la pazienza completi l'opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla (Gc 1,2-4).

 

L'arma della Parola

Nel combattimento spirituale ci viene posta tra le mani un'arma infallibile e  insostituibile: quella  della Parola. È un'arma a doppio taglio: il brano delle tentazioni ci mette in guardia da un uso «diabolico» di essa. Ne siamo sempre servi, mai padroni. E nello stesso tempo ci dice che di fronte alla prova Gesù stesso rinuncia a dire parole sue, per ribattere a Satana con le parole della Scrittura. L'arma della parola è arma infallibile contro le tentazioni, ma è arma da tenere sempre ben affilata, a portata di mano. Occorre perizia nell'usarla: come per tutte le armi, un uso improprio crea gravissimi danni. Questa perizia la possiede solo colui che in questa parola si immerge ogni giorno, la visita, la abita, la medita, conservandola nel suo cuore.

 

Il deserto

Le tentazioni di Gesù sono collocate nel deserto. Sappiamo bene quanto sia ricca ed evocativa questa parola nel linguaggio biblico. Il riferimento immediato è al popolo di Israele e al suo cammino di quarant'anni dall'Egitto alla terra promessa. Il deserto è passaggio necessario, indispensabile perché un cammino di libertà possa compiersi, attraverso tutte le fatiche legate all'uscire (la migrazione, l'accettazione di un nuovo inizio, la separazione da quanto dà sicurezza..) e all'entrare (un mondo da conoscere, una terra da scoprire, una novità che può far paura... ). Ma il deserto è anche il luogo che designa il pellegrinaggio dell'uomo, il suo vagare incerto, il suo smarrirsi e perdere la strada.

Nell'esperienza di Israele il deserto è anche il luogo in cui il popolo cresce, e da bambino diviene adulto; è il luogo in cui riceve la legge, è il luogo in cui impara a conoscere Dio, a lasciarsi dissetare e nutrire da lui. È anche il luogo che se, da una parte, rivela la presenza delle forze ostili, dall'altra, permette nel silenzio e nel nascondimento di scoprire la possibilità di una maggiore intimità con Dio, sempre minacciata dall'esperienza dell'idolatria e del peccato. Il deserto è tutto questo, e molto di più.

 

Dare valore alle cose che altrove non ne hanno

Cosa recuperiamo, per noi, mentre guardiamo a Gesù nell'ora della tentazione? Raccogliamo un solo dato, semplicissimo. Il deserto è il luogo che permette di dare valore alle cose che altrove non ne hanno, o sembrano  averne  poco, e inverte e scombina la scala dei valori sulla quale normalmente si regolano gli uomini.  Capita così che non sono più tanto  necessari i soldi, i beni, le ricchezze, le troppe cose da portarsi dietro, le stesse parole da pronunciare (a chi, se non c'è nessuno che le ascolta?). E invece prendono rilievo le gocce d'acqua, i rari incontri al passaggio di una carovana, un piccolo luogo per ripararsi dal vento, un angolo d'ombra per sfuggire all'implacabile calore del sole.

La tentazione nel deserto della vita, la si combatte imparando a riqualificare, in uno sforzo incessante di conversione, i valori a cui ci attacchiamo, sui quali intendiamo costruire, ridefinendo con onestà e fermezza i punti di riferimento delle nostre giornate:

-       a cosa mi sto attaccando…,

-       di cosa mi fido davvero…,

-       cosa sto cercando nella vita…,

-       quali sono le cose e le persone che contano nella mia esistenza...

L'ora della tentazione riapre tutte queste grandi domande e, di conseguenza, rappresenta l'ennesima opportunità che ci viene offerta per dare consistenza alla nostra esperienza credente, per ritrovare l'essenziale. E per scoprire la misericordia di Dio nel momento della caduta.

Perché è inutile nasconderselo: spesso per noi «entrare» nella tentazione sfocia nel «cadere» nella tentazione. Il deserto ci racconta, per nostra fortuna, di un Dio che offre sempre una nuova possibilità, che ama alla follia il suo popolo di dura cervice, lamentoso e distratto. Non ci fa male, nel momento della tentazione, scoprire tutta la nostra fragilità e la nostra debolezza.

 

Santità e tentazione

La santità si trova al cuore stesso della tentazione, non ci aspetta al di là della nostra debolezza, ma al suo interno. Sfuggire alla debolezza significherebbe sfuggire alla potenza di Dio che è all'opera solo in essa. Dobbiamo imparare a dimorare nella nostra debolezza, ma armati di una fede profonda, accettare di essere esposti alla nostra debolezza e nello stesso tempo abbandonati alla misericordia di Dio. Solo nella nostra debolezza siamo vulnerabili all'amore di Dio e alla sua potenza.

 

La maschera

Un ultimo sentiero di approfondimento. Non abbiamo finora dato rilievo al numero 40 e a tutto quanto può rimandare nel linguaggio della Scrittura e della storia della salvezza. Limitiamoci a considerare una coincidenza nota a tutti. Normalmente la liturgia ci fa proclamare questa pagina di Vangelo all'inizio dei 40 giorni di Quaresima che conducono verso la celebrazione del mistero pasquale. Sono giorni che arrivano dopo la settimana di carnevale (ormai dilatata a dismisura ... ). Cadono le maschere e inizia la Quaresima. Non ci si può più nascondere. Ci sono momenti della vita in cui la maschera che ci siamo appiccicati addosso deve essere strappata, perché ci sono abitudini, scelte, attaccamenti che non ci permettono di vivere in autenticità e pienezza. Il rito delle ceneri che apre la Quaresima ci ricorda che al di là di ogni possibile travestimento «polvere siamo e polvere ritorneremo». Chiediamo allora al Signore di illuminarci, di farci comprendere, nell'ora della tentazione e della prova, qual è la maschera da far cadere per tornare a poter vivere davvero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

Chi abita al riparo dell’Altissimo

passerà la notte all’ombra

 dell’Onnipotente.

Io dico al Signore:

«Mio rifugio e mia fortezza,

mio Dio in cui confido».

Egli ti libererà dal laccio

del cacciatore,

dalla peste che distrugge.

Ti coprirà con le sue penne,

sotto le sue ali troverai rifugio;

la sua fedeltà ti sarà scudo

e corazza.

Non temerai il terrore della notte

né la freccia che vola di giorno.

«Sì, mio rifugio sei tu, o Signore!».

 

Egli per te darà ordine ai

suoi angeli

di custodirti in tutte le tue vie.

Sulle mani essi ti porteranno,

perché il tuo piede non

inciampi nella pietra.

«Lo libererò, perché a me si

è legato,

lo porrò al sicuro,

 

perché ha conosciuto il mio nome.

Mi invocherà e io gli

 

darò risposta;

nell’angoscia io sarò con lui,

lo libererò e lo renderò glorioso».

 

(dal Salmo 91)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONTEMPLATIO     Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.  È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,  

nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.  Amen

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.

Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!  Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

Arrivederci!  

 

 

(spunti liberamente tratti da una lectio di don Davide Caldirola, della Chiesa di Milano)

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