RITIRO ON LINE                                                                                                   
aprile 2019

                                                                                                                                                                                                                                                

 

Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.   Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi. 

 

Mi fermo.

Do uno sguardo alla mia giornata, ai segni di resurrezione

e ai momenti di mediocrità.

Santo Spirito, donami una consapevolezza nuova.
(da "Apri il cuore - Preghiere"  di Romena)

 

Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

 

 

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SCEGLIERE DI RISPONDERE.

 

Continuiamo a pregare seguendo alcune lectio liberamente tratte da riflessioni di don Giuseppe Pulcinelli, sacerdote della Chiesa di Roma.

Buona meditazione e buona preghiera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.  (Marco 10,17-30)

 

17Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò:

 «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». 18Gesù gli disse: «Perché mi chiami

buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 19Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere

 adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre». 20Egli allora gli disse:

 «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». 21Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo

 amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e

 vieni! Seguimi!». 22Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti

 beni.

23Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono

 

 ricchezze, entrare nel regno di Dio!». 24I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse

 

 

loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! 25È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago,

 

che un ricco entri nel regno di Dio». 26Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?».

 

27Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».

 

 

28Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». 29Gesù gli rispose: «In

 

verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per

 

causa mia e per causa del Vangelo, 30che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e

 

sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MEDITATIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio !  Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".

 

 

«SE NE ANDÒ VIA TRISTE»:

una vocazione mancata a causa della ricchezza

 

Gesù, mentre andava per la strada…

Il brano dell'incontro tra un tale e Gesù «mentre andava per la strada» è riportato dai tre vangeli sinottici, con Matteo (19,16-22)  e Luca (18,18-23)  che attingono alla versione di Marco (10,17-22), anche con varianti significative.

Il racconto prende l'avvio con Gesù che si trova in viaggio dalla Galilea alla Giudea (Mc10,1), verso Gerusalemme, dove lo attende un destino di morte (Mc8,31; 9,31).

L'incontro avviene sulla strada: c'è un uomo che corre verso di lui, uno che rimane anonimo, di cui non apprenderemo molto dal punto di vista biografico  [ per Matteo è un “giovane” (Mt 19,20.22), mentre Luca ci dice che è un “notabile”  (Lc18,18) e Marco dice semplicemente “un tale” (Mc10,17) ] , ma sappiamo comunque che è un ebreo pio, osservante della Legge; solo alla fine sapremo anche che è molto ricco.

Evidentemente non vuole perdere l'occasione di parlare con Gesù. Ciò presuppone che abbia già sentito parlare di lui; forse ha  assistito alla scena precedente con la benedizione dei bambini e l'insegnamento su come accogliere il regno di Dio: (Mc10,13-16)  e che sia rimasto affascinato da questo maestro straordinario; lo stima come uomo di Dio e vuole incontrarlo a tutti i costi. Per questo corre da lui; addirittura gli si getta davanti, inginocchiandosi come avevano fatto i malati, gli indemoniati  o chi implorava la guarigione  per un familiare. Questa volta - si badi bene, l'unica in tutti i vangeli  - c'è  uno che si inginocchia davanti a Gesù non per  cercare la guarigione fisica, né per un aiuto materiale: quest'uomo non ha bisogno di nessuna  di  queste cose.

 

Cosa chiede

Va da Gesù per ricevere qualcosa di più importante, qualcosa che egli ha  posto in cima ai suoi pensieri e desideri. Da questa postura sottomessa si rivolge a Gesù chiamandolo «maestro buono». Di certo, con tale qualifica positiva l'uomo fa appello alla bontà di Gesù perché sia disponibile anche  nei suoi confronti  a occuparsi  di lui e della sua richiesta. Un appellativo che però Gesù respinge, prendendo spunto per  un  insegnamento: «Perché mi chiami  buono?  nessuno  è  buono se non Dio solo» (Mc10,18). «Dio solo » era il centro della professione di fede giudaica dello Shema' Yi­ sra'el (De6,4-5), tanto più dello stesso ebreo Gesù (Mc12,28-34). Così egli risponde rettificando l'affermazione di quell'uomo:  soltanto Dio è buono, essendo lui solo la fonte della bontà e poiché solo in lui c'è salvezza, mentre gli uomini non sono mai totalmente buoni, anzi sono cattivi, malati di egoismo e di superbia.

 

Un uomo in ricerca

Lo sconosciuto esprime dunque la sua richiesta: «Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?» (Mc10,1 7). Interessante notare che egli non formula una domanda generica ma esprime una finalità individuale e pratica: «Cosa devo fare io...?». Non è una questione di tipo scolastico, ma tocca la sfera personale di colui che si sente implicato. Per cui egli si aspetta una risposta altrettanto personalizzata, il che presuppone che chi domanda sia disposto a fornire altri particolari di sé, come farà soltanto dopo. Insomma, va da Gesù con entusiasmo e con la convinzione che questo maestro conosca la volontà di Dio e gliela voglia trasmettere. Egli desidera ardentemente la vita eterna, e mostra una grande disponibilità a darsi da fare per ottenerla.

La vita eterna è un sinonimo della salvezza, che per un ebreo era legata all'appartenenza al popolo dell'alleanza e all'osservanza della Legge .

Dietro la domanda del pio ebreo possiamo intravedere senz'altro l'universale domanda di ogni essere umano sul senso della propria vita, su ciò che è durevole e per cui valga la pena impegnarsi; su ciò che significa la vera vita, quella capace di superare l'angoscia della morte, il male, la sofferenza. L'uomo sente la limitatezza  dell'esistenza come un'assurdità, una contraddizione di ciò che prova nel suo intimo quando vive le relazioni, gli affetti, le aspirazioni più profonde del suo cuore. Quest'uomo, come ogni essere umano, si porta dentro una grande sete di qualcosa di grande e di bello che dia un senso pieno alla sua vita, una sete di infinito.

Ritiene che per ottenere questa vita eterna debba fare qualcosa. È convinto che occorra una prestazione da parte sua, e implicitamente si dichiara pronto a effettuarla; il verbo «ereditare» tuttavia implica anche che questa vita piena è qualcosa che non ci si può dare da soli, ma si può soltanto ricevere, come si riceve un'eredità, in base a una relazione. È un dono, è il dono che Dio fa a chi si riconosce  povero, mentre chi è ricco e pensa di ottenerlo dando in cambio qualcosa, credendo di meritarlo, non lo può concepire e dunque ricevere.

 

I comandamenti della Legge

Gesù, dopo avere rettificato la qualifica di «maestro buono», gli dà la risposta su come si accede alla vita eterna, premettendo che in realtà egli la conosce già. Si tratta infatti di osservare i comandamenti della Legge, ben noti agli ebrei: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre».  Gesù ne cita cinque tra i dieci dati da Dio a Mosè (De5,16-20), più uno extra, «non frodare» (De24,14), che è affine al «non rubare» (si nota quindi una certa insistenza sui beni materiali). Da notare che il comando positivo riguardante l'onorare i genitori, diversamente dalla successione della lista mosaica, viene spostato dopo quelli negativi, e che tutti insieme riguardano i rapporti con il prossimo: la vita eterna si gioca sul comportamento tenuto verso gli altri .

A queste parole di Gesù l'uomo ribatte: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza» (Mc10,20); e la scena potrebbe concludersi qui, con l'interlocutore  che  poteva dichiararsi d'accordo e sentirsi rassicurato da Gesù perché stava procedendo bene (come in Mc12,28-34). Oppure Gesù avrebbe potuto far notare a quell'uomo che quelle sue parole mostravano la sua presunzione e superbia, dal momento che, come aveva premesso prima, solo Dio è buono mentre nessun uomo può dire di esserlo; in effetti chi può affermare di aver sempre osservato tutti i comandamenti fin dalla fanciullezza? Ma il racconto non prosegue in questo modo, Gesù non si mette a fargli la morale... Anzi, da ciò che sta per dire - «Una cosa sola ti manca» - sembra che dia pieno credito a quella affermazione.

 

La chiamata a lasciare tutto e a seguire Gesù

Dopo averlo ascoltato, «Gesù, fissando lo sguardo su di lui, lo amò». Non che finora non l'avesse guardato in volto, soltanto che ora si sofferma su di lui fissandolo con maggior intensità, negli occhi , come se quella risposta spontanea, convinta, che implicitamente persiste nel domandare, abbia risvegliato un sentimento nuovo in Gesù.

Quest'uomo ha  tutto ciò che una  persona può desiderare: non solo la  ricchezza  materiale (come si apprenderà subito dopo) ma, essendo fedele ai comandamenti, ha soprattutto una grande onestà e rettitudine morale; è davvero un giusto davanti alla Legge. Di fronte al mondo appare benedetto da Dio in tutto: i beni, la salute, l'intelligenza, la virtù. In più, le sue parole rivelano il desiderio di progredire sempre più verso il bene. Ha tutto per essere felice... ma il suo cuore è inquieto, sperimenta un certo vuoto, intuisce che c'è qualcos'altro, vuole di più: cerca la vera sapienza.

E adesso è Gesù a essere affascinato da lui, come è sempre affascinato da chi cerca la verità, la sapienza, la vera vita: «Gesù, fissando lo sguardo su di lui, lo amò». Già prima lo aveva guardato con la consueta attenzione amorevole con cui guarda le persone che incontra; ora però prova un nuovo sentimento di amore. Gesù è preso da un grande affetto per quest'uomo, lo ammira, lo stima (un entusiasmo analogo Gesù lo prova di fronte a Natanaele: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità»: Gv 1,47) . Forse ha vissuto anche lui nella sua umanità questa fase giovanile di ricerca e di inquietudine di chi vuole fare  sempre  la volontà di Dio. Perciò fissa lo sguardo su di lui, e prima di indicargli la strada per la felicità, prima di dirgli ciò che ancora gli manca, lo abbraccia con il suo amore, quasi a comunicargli il coraggio di cui avrà bisogno per cogliere l'attimo fuggente e assumersi il rischio: fissatolo, lo amò.

 

La vocazione

Qui c'è il mistero della vocazione, di ognuno/a che si sente chiamato/a a seguire il Signore: il percepire questo sguardo personale di amore su di sé, il sentirsi amati, stimati, prediletti. È un'esperienza decisiva, necessaria; anzi, indispensabile in ogni autentica vocazione: prima di essere un invito pressante, o un precetto, essa è infatti stupore di fronte a un amore inatteso, sorpresa di vedere la gioia nel volto di colui che invita a entrare in questa relazione di amicizia.

 

L’amore è esigente

Ma l'amore, ogni vero amore, è anche esigente, chiede molto, chiede tutto:

«Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!»

(Mc10,21).

Ciò che gli manca non è in ordine alla salvezza o alla vita eterna, non appartiene infatti ai comandamenti, ma è qualcosa di nuovo che quell'uomo non ha ancora vissuto né conosciuto, e che è contenuto in quello sguardo tutto speciale che ha sentito rivolto su di sé: lì c'è l'energia per compiere qualsiasi cosa, anche la più rischiosa e gravosa. Non si tratta più di osservare una legge, ma di amare e seguire una persona; quell'amore lo chiama a essere discepolo seguendo Gesù, ovunque vada, condividendo la sua vita e la sua causa.

«Vieni! Seguimi!».

Questo è l'invito dell'amore più grande, che rende possibile la scelta decisiva verso la pienezza... e scegliere vuol dire decidersi tra due possibilità, che Gesù in questo caso mostra come incompatibili tra loro: per seguirlo occorre liberarsi dal legame con le ricchezze, le sicurezze materiali e la propria giustizia. Occorre fare discernimento, riconoscere i propri attacca­ menti e capire che cosa riempie di più il cuore. Per chi si lascia coinvolgere da questo amore, quella cosa che manca, la rinuncia da compiere, in fondo si rivela essere poca cosa, perché ognuno si può rendere facilmente conto che «c'è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35). Per cui la gioia pregustata è più che sufficiente a far compiere il grande passo, lasciare tutto il resto e seguire l'amore.

Il nostro testo narra in modo straordinario la storia di una chiamata, e i tre evangelisti la presentano come lezione esemplare. Come aveva fatto con altri che avevano ascoltato il suo invito, con Simone e Andrea, con Giacomo e Giovanni (Mc1,16-20), con Levi (Mc2,14), Gesù chiama qualcuno a lasciare tutto e a seguirlo, per diventare suo discepolo. Tutto fa pensare che anche nel nostro caso c'è da attendersi una risposta positiva... ma questa volta qualcosa non funziona, sembra che Gesù chieda troppo.

 

Chiamato alla radicalità

In realtà la radicalità dell'indicazione di Gesù non è un'esagerazione senza fondamento: lo She­ ma' Yisra'el che era stato evocato dalla prima risposta di Gesù, in cui al pio ebreo si comanda di amare Dio con tutte le forze, implicitamente conteneva la disponibilità a rinunciare anche ai propri averi  destinandoli a chi ne ha bisogno.

Forse l'uomo virtuoso voleva soltanto essere tranquillizzato. Magari si aspettava che Gesù gli dicesse: «Va bene così, fai già tanto, non hai bisogno d'altro, stai tranquillo, sei a posto; se vuoi, fai un po' più di elemosina...».

No, nessuna rassicurazione. Gesù non solo non lo rasserena; anzi, con il suo amore lo mette in crisi,  lo spinge  a osare, a fare il grande salto: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e  avrai un  tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». «Vuoi di più, vuoi tutto? Allora lascia tutto il resto, sbarazzati di ciò che possiedi e che ti possiede, e allora avrai il più grande tesoro in cielo e già sulla terra proverai l'ebbrezza dell'amore donato e ricevuto» (poco più avanti Gesù promette cento volte tanto anche nei beni necessari per la sussistenza: Mc10,30).

«Preferii la sapienza a scettri e troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto»  (Sap7,8). E’ questa la scelta a cui viene chiamato l'uomo che incontra Gesù e il regno di Dio, come colui che trova un tesoro in un campo, o colui che è sempre stato alla ricerca di perle di valore (Mt13,44-45).

 

Se ne andò rattristato

C'erano tutte le premesse: l'entusiasmo dell'uomo che sembrava pendere dalle labbra di Gesù, l'affetto che questi gli aveva dimostrato, tutto lasciava presagire una risposta positiva.

«Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni» (Mc10,22). Invece di rimanere a fissare il volto radioso di Gesù aprendosi all'energia che viene dall'amore, la sua faccia si rabbuia , come quando una nuvola nera copre il sole. Non regge lo sguardo d'amore di Gesù, abbassa gli occhi, rimanendo chiuso in se stesso, attaccato a ciò che ha, alle sue sicurezze.

Non è riuscito a fare il salto: i soldi non fanno la felicità; anzi, possono diventare la causa della tristezza, possono far perdere per sempre l'occasione più grande della vita. Egli abbandona l'impresa, costa troppo, se ne va afflitto. Proprio questa afflizione è il segno che l'invito di Gesù aveva toccato il suo cuore, che egli almeno per qualche istante aveva intuito e quasi pregustato la gioia di seguire il Maestro; ma poi la paura di perdere le sicurezze umane lo aveva bloccato. Le ricchezze non sono in sé cattive; lo diventano perché l'uomo tende a farne un idolo che va a occupare il posto che spetta solo a Dio. Non a caso Gesù in un'altra occasione aveva messo in guardia dal mettere la propria fiducia e sicurezza nella ricchezza materiale, perché bisogna scegliere da che parte stare: «non potete servire Dio e  la ricchezza» (Mt 6,24; Lc16,13; Mc 4,19). Quell'uomo ha fatto la sua scelta, si allontana, se ne va via triste. Gesù non cerca di fermarlo, rispetta la sua libertà.

L'accenno alla tristezza, in questo finale negativo, lascia tuttavia aperto uno spiraglio di speranza, una possibilità di cambiamento, di ripensamento: il ricordo doloroso di questo invito rifiutato potrà ritornare in futuro e potrà spingere l'uomo a volersi liberare da questa tristezza derivante dall'avere egoistico, per aprirsi finalmente alla gioia del dono.

 

L'insegnamento di Gesù rivolto ai discepoli

Distogliendo lo sguardo dall'uomo che si allontana, Gesù si guarda intorno, dove erano i suoi discepoli che probabilmente avevano assistito alla scena, forse anche al dialogo. Egli comunque ne trae spunto per metterli in guardia dal pericolo rappresentato dalla ricchezza (Mc10,23-27):

Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio»”.

E perché rimanga loro ben impresso questo insegnamento, fa il famoso paragone del cammello. Essi rimangono stupiti, sbigottiti di fronte a questa dichiarazione, tanto che si mettono a dire tra loro: «E allora chi può salvarsi?» . Come si può vivere spogliandosi di tutto?

Come quei discepoli di allora, anche l'uomo di oggi possiede averi e si deve fare queste domande. Chi può arrivare ad accettare esigenze tanto radicali? Gesù risponde citando ciò che Dio dice ad Abramo di fronte alla sterilità di Sara e alla vecchiaia di entram bi: «Nulla è impossibile a Dio» (Gn18,14). La salvezza non è nella disponibilità degli uomini, frutto di loro prestazioni, ma  la si riceve come un dono da parte di Dio. Ricompensa per chi lascia i beni per seguire Gesù.

 

E noi?

Pietro a questo punto pensa alla propria condizione e a quella dei compagni, la mette a confronto con il rifiuto da parte di quell'uomo. Così prende la parola per sottolineare che essi invece hanno risposto positivamente a quell'invito così esigente: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (Mc10,28). Davvero essi avevano lasciato famiglia, lavoro, affari, sicurezze materiali - tutte cose buone e benedette -, certamente non senza fatica e rinunce, e questo Gesù è pronto a riconoscerlo (lo ha fatto lui prima di loro!) , promettendo a tutti quelli che lo fanno per lui e per il Vangelo il centuplo in ricchezza di  rapporti umani e in esperienza di provvidenza già su questa terra, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel mondo futuro.

La moltiplicazione (il centuplo) va intesa non in senso aritmetico ma in senso simbolico, che non vuol dire soltanto ideale: il discepolo che  lascia  tutto per il Vangelo conoscerà una fraternità molto più ampia di quella della parentela, e sperimenterà un'ospitalità molto più grande di quella della sua casa materiale. Le persecuzioni, le difficoltà e le prove non mancheranno, ma saranno sempre accompagnate da quella pace che viene dallo stare con il Signore.

Nel seguito del vangelo si capirà che tale distacco dai beni e dagli affetti terreni, non è la sola rinuncia, né la più grande, che il discepolo dovrà fare; il cammino accanto al maestro lo porterà infatti a compiere una spoliazione più esigente, quella dalla ricerca di se stesso, dal potere e dal desiderare la riuscita umana.

 

Ogni vocazione richiede le sue specifiche rinunce

Occorre dire che i vangeli ci testimoniano che tale distacco dai beni terreni non è richiesto a tutti allo stesso modo: si può infatti essere discepoli di Gesù anche rimanendo in famiglia e senza seguirlo nella sua itineranza (si vedano la famiglia di Betania, Zaccheo ecc.). Tutti i discepoli sono certamente chiamati al distacco dalle cose terrene, ma poi ciascuno deve chiedersi come concretamente nel suo stato di vita è chiamato a vivere la povertà evangelica. Ma tutti sono chiamati al distacco più radicale, che è quello della fede, in modo particolare di fronte al dolore e alla morte.

 

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ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

Ho osservato dalla giovinezza i tuoi

 comandi. Anche io.

Tanti bei risultati, una vita quasi da

 manuale. Anche io.

Ma forse non ti ho mai incontrato davvero!

Perché tu porti gioia,

pienezza e vita in abbondanza

mentre io mi sento inquieto.

Sempre a misurare il mio comportamento.

Non sento di meritare la vita eterna

e non sento neanche, qui e ora,

gioia per la mia vita virtuosa.

Per questo ora corro e mi butto

ai tuoi piedi

e ti pongo la domanda che

da tempo mi tormenta.

Che mi manca?
Mi aspettavo una risposta rassicurante,

una regola precisa!

E invece tu mi proponi

una logica di abbandono totale,

un amore per te che mi faccia

 commettere una follia:

vivere solo di te e per te.

Aiutami a non andare via

con le mie tristezze,

a non stringere alleanza con loro

ma con te.

A non poggiarmi su realtà fragili

che mi lasceranno,

ma a sentirmi così amato da te

da non poter far altro

che vivere solo di questo

tuo inaudito Amore.

(Stefania Perna - "50 preghiere per i cercatori di speranza")
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONTEMPLATIO     Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.  È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,  

nell’unità dello Spirito Santo,

ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.  Amen

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.

Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!

Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

Arrivederci!  

 

(spunti liberamente tratti da una lectio di don Giuseppe Pulcinelli, della Chiesa di Roma)

   

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