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dicembre 2017

                                                                                                                                                                                                                                                

 

Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.   Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi. 

 

Donami un cuore puro,

che io possa vederti;

e un cuore umile,

che io possa sentirti;

e un cuore amante,

che io possa servirti;

e un cuore di fede,

che io possa dimorare in te.

 

Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

 

 

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“Le donne sono quelle del Vangelo di Luca;

la gioia è quella che scaturisce dal loro incontro con Gesù”

 

Proseguiamo la preghiera suggerita da alcune lectio tratte da episodi del Vangelo di Luca, nelle quali il filone comune è la GIOIA DELLE DONNE CHE INCONTRANO GESU’.

Oggi lasciamoci toccare da Elisabetta e da suo marito Zaccaria, dalla loro capacità di superare la fase della “delusione umana” per i progetti di vita che non decollano, e dalla loro docilità nel “restituire” a Dio il dono da Lui ricevuto.

Queste riflessioni sono liberamente tratte da alcune lectio di don Davide Caldirola, della Chiesa di Milano.

Buona meditazione e buona preghiera.

 

 

 

LECTIO   Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.  (Luca 1,5-25)

 

5Al tempo di Erode, re della Giudea, vi era un sacerdote di nome Zaccaria, della classe di Abia, che aveva in

 moglie una discendente di Aronne, di nome Elisabetta. 6Ambedue erano giusti davanti a Dio e osservavano

 irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. 7Essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e

 tutti e due erano avanti negli anni.

8Avvenne che, mentre Zaccaria svolgeva le sue funzioni sacerdotali davanti al Signore durante il turno della sua

 

 classe, 9gli toccò in sorte, secondo l’usanza del servizio sacerdotale, di entrare nel tempio del Signore per fare

 

 l’offerta dell’incenso. 10Fuori, tutta l’assemblea del popolo stava pregando nell’ora dell’incenso. 11Apparve a lui

 

 un angelo del Signore, ritto alla destra dell’altare dell’incenso. 12Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da

 

 timore. 13Ma l’angelo gli disse: «Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti

 

darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni. 14Avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno della sua nascita,

 

15perché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà colmato di Spirito Santo

 

fin dal seno di sua madre 16e ricondurrà molti figli d’Israele al Signore loro Dio. 17Egli camminerà innanzi a lui con

 

lo spirito e la potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e

 

preparare al Signore un popolo ben disposto». 18Zaccaria disse all’angelo: «Come potrò mai conoscere questo?

 

Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni». 19L’angelo gli rispose: «Io sono Gabriele, che sto dinanzi a Dio

 

e sono stato mandato a parlarti e a portarti questo lieto annuncio. 20Ed ecco, tu sarai muto e non potrai parlare

 

fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro

 

tempo».  

 

21Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. 22Quando poi uscì

 

e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto.

 

23Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. 24Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne

 

nascosta per cinque mesi e diceva: 25«Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di

 

togliere la mia vergogna fra gli uomini».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MEDITATIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio !  Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".

 

 

Elisabetta, la fecondità inaspettata

(Luca 1, 5-25)

 La parola spezzata

Partiamo dal nome. Elisabetta significa «Dio è uno su cui si può giurare», oppure «Dio è la mia fortuna, la mia sazietà».

In realtà Elisabetta, nel momento in cui ci viene presentata, sta vivendo l'esperienza di un Dio che non mantiene le promesse, e che non è così affidabile come sembra. Questa donna non vede compiute in sé le promesse di sazietà e di fortuna racchiuse nel proprio nome, e forse non se la sente più di giurare su questo Dio che  l'ha resa sterile, incapace di regalare al mondo un figlio. È una donna che ha molto, ma a cui manca la cosa più importante. E di sicuro non è felice.

Lei stessa definirà  «vergognosa» la propria condizione. Questo Dio in cui crede pare averle girato le spalle.

 

Guardiamo da vicino questa coppia di vecchi. Sono «giusti davanti a Dio». Pregano, credono, possono stare con fierezza alla sua presenza. Zaccaria è un sacerdote del tempio, un personaggio di una certa importanza, sicuramente conosciuto, probabilmente stimato nel piccolo villaggio dove abita. Il suo «stare davanti a Dio» con la moglie Elisabetta forse evoca perfino un tratto pio, devoto, una religiosità non formale, alla quale si aggiunge una vita «irreprensibile», che esprime nella fedeltà e nella carità delle scelte quotidiane una fede pratica, viva, coerente. I «precetti» di cui parla Luca, che a noi possono  sembrare  soltanto  norme esteriori, in realtà sono l'ossatura, lo scheletro  portante  della fede del pio giudeo. Gesù stesso dirà di non volerne cancellare neppure uno, di non voler  togliere  dalla loro scrittura neppure un segno.  Qualcuno  potrebbe dire che c'è una traccia di paura o di perfezionismo in questa irreprensibilità, quasi un  eccesso  di  scrupolo nel voler fare tutto bene. Resta il fatto, a ogni modo, che Elisabetta e Zaccaria ci sono descritti come veri e propri esempi di vita religiosa,  di fede in Dio.

 

Non tutto va come ci aspettiamo

Ma qual è l'esito di questa vita? È la tristezza. La loro è un'esistenza sterile, che non genera, che non ha sbocchi. È sprecata, buttata via, senza futuro. Cosa ci hanno guadagnato, cos'hanno  costruito con la loro preghiera e le loro opere giuste? Se ne vanno con vergogna, senza traccia di fierezza o di gioia. Tristi.

Un altro esito di questa loro vita religiosa è dato dalla chiusura dei loro orizzonti di speranza. È vero: sono stati fedeli a lungo, lo sono tuttora. Ma ormai sono anziani, e invecchiando senza gioia avvertono tutta la cupezza di un futuro senza sbocchi, senza nessuno a cui lasciare in eredità il loro enorme patrimonio di fede.

 

L’annuncio: Dio non abbandona il suo popolo

L'apparizione nel tempio a Zaccaria (Lc 1,8-22) segna una prima svolta nella vita della coppia. Registriamo due note relative a questa scena descritta da Luca.

 

Un primo dato è questo: anche nel luogo più solenne e importante del tempio si può non avere fede, non credere. È proprio questo che l'angelo Gabriele rimprovera a  Zaccaria  (al  pio  Zaccaria,  al sacerdote Zaccaria!): «Non hai creduto alle mie parole» (Lc 1,20).

 

Un secondo dato: Zaccaria capisce subito che questa nascita  non  rallegrerà solo lui e la sua famiglia («Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio») ma «molti si rallegreranno della sua nascit (v. 14). Significa che questo bambino sarà come espropriato ai suoi stessi genitori, che di lui non potranno scegliere neppure il nome: «e tu lo chiamerai Giovanni» (v. 13). Non si pone l'accento, quindi, su una sorta di premio o di restituzione che Dio, finalmente, mette in atto nei confronti di Zaccaria e di Elisabetta. Luca accenna anche a questo, ma preferisce insistere su un altro elemento: il bambino che nascerà è parte di un progetto di cui i genitori sono solo strumenti:

«sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre 16e ricondurrà molti figli d’Israele al Signore loro Dio. 17Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto».

Zaccaria ritorna a casa dopo la visione: «23Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. 24Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì». È il momento del concepimento. L'atto dell'intimità, del dono reciproco, dell'amore, che i due anziani hanno vissuto molte volte nella loro esistenza, trova la sua pienezza. Viene quasi da dire: il suo compimento. Questo passaggio viene definito per Elisabetta come «l'uscita dal disonore», dalla vergogna. È il recupero della dignità perduta.

25«Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna fra gli uomini».

 

Gli eventi successivi descritti da Luca possiamo raccoglierli in  due grandi scene.

 

La prima è quella della Visitazione. Nell'incontro con Maria, Elisabetta prova gioia attraverso il fremito del figlio che porta in grembo. Talvolta è così: non siamo noi a provare gioia, ma è la gioia che si impadronisce di noi. La scena ci rivela inoltre una varietà enorme di sfumature della gioia: la bellezza del saluto, la felicità dell'incontro, la serenità del tenersi compagnia, la fioritura nella preghiera e nel canto.

 

La seconda è quella della nascita e della circoncisione di Giovanni. C'è un bel passaggio nel testo di Luca: i vicini e gli amici «udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia» (vv. 57-58).  Si congratulano con Elisabetta non perché è riuscita a compiere un'impresa, ma perché il Signore le ha fatto un dono! Questo evento «apre la bocca», dà voce alla gioia. Non solo la gioia di  Zaccaria che torna a parlare e a cantare, ma anche quella dei tanti che discutono di quanto è accaduto, e di Elisabetta stessa che, uscita dalla vergogna, osa esprimersi ad alta voce e afferma ciò che deve dire senza paura, con determinazione: «si chiamerà Giovanni!» (v. 60).

 

Dalla mensa della parola, briciole di gioia

Quale gioia ci regala la figura di Elisabetta?

 

Una prima indicazione la raccogliamo pensando alla tristezza della vita irreprensibile di questa coppia di credenti devoti. C'è una gioia che ci consente di uscire dalle secche di una religione triste.

Qualcuno di noi ha letto il Don Chisciotte di Cervantes. Il protagonista è spesso chiamato  dall'autore «il cavaliere dalla triste figura».  È il soprannome che un caro amico ha affibbiato - non senza un pizzico di malizia - al proprio parroco, che pure stima moltissimo. Mi dice: «Non ci sono dubbi sulla sua serietà, sulla sua dedizione, sulla sua intelligenza, sul suo amore ai poveri.  Ma non ride mai, e neppure sorride.   E se ci prova è peggio. Quando in predica parla della gioia lo fa con un tono così lugubre e un'aria così triste che ti fa venire  addosso la disperazione».

Bernanos parlava delle nostre parrocchie  descrivendole come «divorate dalla noia». Non è una questione di scarsità di iniziative o di poca vena creativa. È che certe volte nei nostri ambienti si respira una sorta di vivacità triste, tale per cui anche le opere più belle vengono neutralizzate da chi le compie con tratto cupo e afflitto, col volto corrucciato e preoccupato, con la frenesia e la tensione di chi deve raggiungere a tutti i costi un risultato, col risentimento nei confronti di chi non collabora, mentre noi «siamo qui a lavorare gratis dal mattino alla sera».

Elisabetta e Zaccaria, forse loro malgrado, ci insegnano a diffidare di una fede irreprensibile che non conosce la gioia.

 

Una seconda «briciola di gioia» che ci viene consegnata da questo testo è legata alla fecondità inaspettata. C'è una salutare «non coincidenza» tra i tempi nostri e quelli di Dio. È stato così per Abramo, per Mosè, per tanti altri amici del Signore. Non possiamo mai chiudere i conti troppo presto con un Dio che fa fiorire un grembo sterile, che fa sgorgare l'acqua dalla roccia, che promette una discendenza infinita a un uomo giunto quasi alla fine dei suoi giorni. Possiamo contemplare con occhio diverso il nostro lavoro e i frutti che tardano a venire, il nostro impegno apparentemente senza risultato, le nostre preghiere e le nostre opere che non hanno avuto un buon esito. Forse Dio ci sta preparando qualcosa che non osiamo nemmeno immaginare.

Questa fecondità inattesa, però, non è per noi, per nostro vanto. Giovanni Battista non è possesso privato di Elisabetta e Zaccaria: è subito portato via da loro, come  precisa  Luca al versetto  80 del primo capitolo: «Cresceva e si fortificava nello spirito in regioni deserte».

Altrove, non tra i suoi, a casa sua. Il figlio così atteso e desiderato non è per loro, e forse proprio questo è il segno di una fecondità autentica, non secondo le attese umane né nel suo compiersi né nel suo crescere. Spesso chi pianta un albero non potrà sedersi alla sua ombra  o gustarne  i frutti.

Un ultimo sentiero di gioia. Elisabetta parla della sua nuova condizione come quella di chi è uscito dalla vergogna. C'è una felicità che risiede nel tornare a guardare la vita a testa alta perché il Signore ci ha fatto grazia. Elisabetta può uscire dalla vergogna anzitutto perché l'ha provata. E già in questo si dimostra figura esemplare per noi che viviamo in un tempo senza vergogna, dove i vizi vengono fatti passare per virtù, dove sembra che l'avidità, l'assenza di scrupoli, il disprezzo della legge e della dignità delle persone, lo spreco di risorse per mostrare la propria superiorità siano ottimi strumenti di affermazione anziché derive umane di cui avere paura. Per uscire dalla vergogna  bisogna  averla provata. Bisogna portarne il peso, versarci sopra lacrime, patirne la zavorra.

Ma Elisabetta può uscire dalla vergogna perché sa di essere strumento di Dio. «Così com'ero», sembra dirci, «Dio mi ha presa, mi ha trasformata e mi ha fatto grazia. Da me stessa non potevo nulla. È lui che ha fatto tutto. E per questo gioisco pienamente in lui».

Anche noi possiamo gioire perché Dio ci ha fatto uscire dalla vergogna. Come scrive in un passaggio di rara bellezza il Salmo 66 (65) ai vv. 10-12:

O Dio, tu ci hai messi alla prova;

ci hai purificati come si purifica l'argento.

Ci hai fatto cadere in un agguato,

hai stretto i nostri fianchi in una morsa.

Hai fatto cavalcare uomini sopra le nostre teste;

siamo  passati per il  fuoco e per l'acqua,

poi ci hai fatto uscire verso l'abbondanza.

«Ci hai fatto uscire verso l'abbondanza». Un'altra traduzione scrive: «Ci hai dato sollievo». Questa abbondanza e questo sollievo sono la gioia di chi rinasce e ricomincia da capo, perché Dio ha tolto la sua vita dalla vergogna e l'ha resa feconda oltre ogni attesa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

Tu che sei al di sopra di noi,

tu che sei uno di noi,

tu che sei anche in noi,

che tutti ti vedano anche in me,

che io ti prepari la strada,

che io possa render grazie

per tutto ciò che mi accadrà.

Che io non dimentichi i bisogni degli altri.

Conservami nel tuo amore, come

vuoi che tutti dimorino nel mio.

Possa tutto il mio essere

volgersi a tua Gloria

E possa io non disperare mai.

Perché io sono sotto la tua mano

e in te è ogni forza e bontà.

 (Dag Hammarskjold)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONTEMPLATIO     Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.  È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,  

nell’unità dello Spirito Santo,

ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.  Amen

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.

Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!

Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

Arrivederci!  

 

(spunti liberamente tratti da alcune lectio di don Davide Caldirola, della Chiesa di Milano)