RITIRO ON LINE                                                                                                   
febbraio
2013  

Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.   Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.

 

Porgi l’orecchio, Signore, alle mie parole:

intendi il mio lamento.

Sii attento alla voce del mio grido,

o mio re e mio Dio,

perché a te, Signore, rivolgo la mia preghiera.

Al mattino ascolta la mia voce;

al mattino ti espongo la mia richiesta

e resto in attesa.

Guidami, Signore, nella tua giustizia.

Gioiscano quanti in te si rifugiano,

esultino senza fine.

Proteggili, perché in te si allietino

quanti amano il tuo nome:

Signore, come scudo lo circondi di benevolenza.

 

(dal salmo 5)

 

Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

 

 

 

LA SPERANZA

IL DONO DELLA SPERANZA 

 

La speranza cristiana dà all'uomo la capacità di vivere la tensione del tempo presente, fra il rischio del proprio fallimento e la fiducia nella promessa di Dio.

 

 

       

 

 

 

 

 

 

LECTIO  Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano che mi viene proposto   (Gv 16, 29-33)

 

«29Gli dicono i suoi discepoli: «Ecco, ora parli apertamente e non più in modo velato. 30Ora sappiamo che tu sai tutto

 

 e non hai bisogno che alcuno t'interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio». 31Rispose loro Gesù;

 

 «Adesso credete? 32Ecco, viene l'ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete

 

 solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me. 33Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo

 

 avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo! »

 

Parola di Dio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MEDITAZIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio !   Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".

 

 

La speranza vince il mondo: «Avrete tribolazioni, ma abbiate coraggio»

 

Se vogliamo vivere di speranza è assolutamente necessario eliminare dalla nostra mente ogni forma di presunzione. Innanzitutto la presunzione della fede: la presunzione di conoscere Dio apertamente. Questa presunzione si insinuò anche nei discepoli: «Gli dicono i suoi discepoli: "Ecco, ora parli apertamente e non più in modo velato [... ] e non hai bisogno che alcuno t'interroghi"».

Non è così: chi vive di speranza non finisce mai di fare domande a Dio. Più si va avanti nella vita più le domande diventano poche, ma sono domande così grosse che fanno spavento. Gesù ci avverte: se volete vivere di speranza siate semplici e umili, perché non ai sapienti e agli intelligenti di questo mondo, ma ai piccoli e ai poveri viene rivelato il mistero del Regno.

Gesù ci avverte: «Viene l'ora in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo». Il Signore sa come è difficile ogni forma di comunione tra gli uomini. Ci sono momenti della vita in cui si sta volentieri tutti insieme accanto a Gesù: sono i tempi in cui le amicizie sono spontanee, momenti in cui il Vangelo favorisce entusiasmi istintivi e facili aggregazioni.

Anche Gesù ha vissuto momenti di pesche miracolose e moltiplicazioni abbondanti; questo aggregava i suoi discepoli e li faceva stare bene. Ma la parabola della vita progressivamente rende più esigente l'amore, e ciascuno si misura per quello che è: ognuno prende la sua strada, ciascuno si trova di fronte alle sue responsabilità. Anche Gesù sembra non avere più la forza e il successo di un tempo; tutto si fa più complesso, e al di là di ogni buona intenzione si fa fatica a rimanergli vicino. Ci vuole coraggio a stare ancora tutti insieme con lui.

Si può avvertire tra i credenti un senso di dispersione: ci si accorge di non essere più così uniti, i pensieri incominciano a differenziarsi, il mondo privato si smarca dalle tendenze culturali e sociali. Altre cose e altre sicurezze sembrano più importanti che non la comunione ecclesiale. Il culto e le assemblee, invece di aprire a orizzonti di vera carità, vengono piuttosto in aiuto alle proprie insicurezze. Ci si può disperdere, senza saperIo o senza volerlo, lontani da Gesù.

Quando il Vangelo diventa esigente, quando Gesù non si rende più così disponibile ai miracoli che la folla ritiene degni di un re, allora tutti noi corriamo il rischio di disperderci. Cerchiamo altre strade, altre fughe, altre possibilità. Gesù è lasciato solo dai suoi amici. Noi, generazione dispersa, lasciamo solo Gesù. Perdiamo anche l'identità di noi stessi; speravamo (cfr. Lc 24) e ora non speriamo più.

È consolante sapere che Gesù ha previsto questa nostra stagione dell'anima, ha capito che per molta parte essa è dovuta alle nostre tribolazioni. Gesù conosce le nostre debolezze e sa anche che noi lo lasceremo solo: ci incoraggia, ci dona la pace, ci sostiene nella dispersione e nella tribolazione. Alla fine di tutto Gesù ci accoglierà e ci spiegherà ogni cosa. Gesù nelle sue ultime parole ci dice: se volete vivere di speranza non lasciatemi solo, state con me, costruite un rapporto quotidiano con la mia presenza e con la mia persona, siate sempre pronti a ricevere lo Spirito. La speranza cristiana non è un'ingenuità, ma è l'eco della preghiera del Signore.

La solitudine di Gesù è il vuoto del nostro amore e insieme è il luogo della sua intimità con il Padre. Il Signore ci chiede di superare questa solitudine con un amore sincero diventando sempre di più intimi al cuore stesso di Dio. Come autentici uomini e donne spirituali attraversiamo le nostre tribolazioni e superiamo le nostre difficoltà, nella certezza che Gesù vince ogni resistenza del cuore umano di tutta la storia.

Per questo Gesù, alla comunità che amava, lasciò questa ultima parola:

«Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!».

Anche la pace, insieme al coraggio, è un dono dello Spirito. La pace si accompagna alla semplificazione della vita, si esprime in una straordinaria laboriosità in condizioni spesso contraddittorie, si manifesta nelle anime mature riconciliate con se stesse e con le debolezze degli uomini. Quando si raggiunge la pace si prova un purificante distacco da tutto e da tutti, ma nel contempo si è particolarmente vicini alle persone e alle loro pene. Quando si raggiunge la pace si affrontano le cose con grande coraggio e insieme con infinito affidamento.

Alla fine Gesù ci rassicura, anche di fronte alla miseria di noi stessi: lui vede più lontano di noi. Nel totale affidamento della fede, nel sacrificio della carità e nella relazione della speranza, si manifesta quel radicale affidamento in cui Gesù ha ancora molte cose da dirmi. Gesù mi insegnerà a portare anche qualche lacrima. Scopro che la mia vocazione è il luogo più bello in cui si rende concreto l'amore di Dio per me. Con questa certezza purifico l'amore e attendo l'incontro definitivo con Gesù. So che il Signore mi aspetta. Attendo con speranza il momento ultimo dell'abbraccio.

 

 

Imparare la speranza

 

Nel mondo odierno molti soffrono per un senso di frustrazione esistenziale, ovvero per la disperazione di non trovare un significato per la loro vita, proprio quando il senso della vita è rivolto alla ricerca di un significato.

Mancando sicurezze a lungo termine, in un mondo in cui il futuro è pieno di pericoli, si sviluppa la mentalità della «gratificazione istantanea», dove ogni occasione non sfruttata qui e ora costituisce un'occasione perduta. È in crisi la dedizione a valori duraturi perché è in crisi l'idea di durata.

È in crisi l'immortalità, non come credenza ma come sapere orientativo del vivere, perché la fiducia nel carattere duraturo delle cose verso cui e con cui la vita umana può orientarsi, è minata dall'esperienza di ogni giorno.

Oggi la stragrande maggioranza vive in una serena assenza di speranza e la vita attuale appare come l'unica e l'ultima occasione dove quel che conta è trarre da essa tutto il possibile, non perdere nulla. Sempre di più, sempre più in fretta, sempre più superficialmente. È in questo contesto che va inquadrata e riletta la nostra vocazione di testimoni.

Imparare di nuovo la speranza non è una cosa semplice: I'incertezza del contesto culturale di oggi e le profonde trasformazioni ecclesiali impongono la necessità di individuare dove si annida una certa debolezza della speranza.

Bisogna individuare le cause di questa debolezza. Il punto di partenza della mancanza di speranza sembra risiedere in una certa malavoglia: una sorta di stanchezza confusa che alla fine blocca ogni rapporto e ogni relazione; qualcosa che congela, che spegne, che non fornisce più spontaneamente il flusso gioioso e impegnativo della vita. Oggi, per imparare di nuovo la speranza, soprattutto a partire dalle persone più giovani, mi pare si debba superare decisamente questa iniziale stanchezza. La stanchezza, peraltro, si appoggia e insieme favorisce una certa debolezza di identità dei soggetti che sono in gioco e di conseguenza produce la paura del futuro.

È la stanchezza del vivere che ci coglie quando il reticolo cieco delle relazioni personali e sociali non consente più di elevare lo sguardo oltre gli angusti confini del presente. È una stanchezza sottile, e per questo più inquietante, che si accompagna alla banalità della vita.

Così può capitare per molte persone che la stanchezza determini proprio la stessa immagine del mondo e della vita, per cui anche con la migliore buona volontà non si riesce più a vedere nell'esistenza altro che disgusto, nonsenso, infelicità.

Ogni atto rischia di apparire assurdo, ogni progetto inconcludente, ogni amore alla fin fine inutile o tristemente ridicolo. Infatti, sembra proprio che in un' epoca di turbamenti la vita quotidiana diventi un esercizio di sopravvivenza, in cui gli uomini si concentrano solo sul presente: in tale contesto si smarrisce la definizione dell'identità personale, con le sue componenti individuali e sociali, soggettive e relazionali.

In questo contesto, probabilmente la strada da percorrere per ridare senso e vivacità all'esperienza quotidiana è quella di rafforzare l'identità della persona, in una rete di rapporti in cui la persona impari a ricevere il senso e il gusto, in un intreccio di accoglienza e di offerta, all'interno del quale sia rafforzata la struttura della relazione. La qualità del quotidiano dipende dalla qualità delle relazioni.

Interrogarsi sulla verità delle relazioni significa innanzitutto ritrovare e sperimentare un nuovo modo di occuparsi di sé.

Non che l'uomo di oggi non si occupi di se stesso, tuttavia sembra essere vittima di una cultura che fa di se stessi il frutto di un continuo rispecchiarsi, alla maniera di chi è continuamente preoccupato di che cosa gli altri pensano di lui. Questa cultura del narcisismo sospinge in una zona d'ombra e di ambiguità nella quale l'occuparsi di sé assume il significato di una continua preoccupazione di sopravvivenza, destinata a reggere di fronte al confronto con altri.

La debolezza delle relazioni introduce il pericolo di una disintegrazione della persona, la quale non è più sovrana di fronte al tempo, agli eventi e all'organizzazione dei suoi giorni. Paradossalmente, ubriaca di libertà, non può andare oltre determinati confini imposti, non può uscire all'aperto, spaziare, progettare, dare senso all'oggi e al domani, legare il passato con il futuro. Così anche il quotidiano rimane slegato, un camminare senza mèta, un correre senza traguardo.

La debolezza delle relazioni frantuma il tempo, lo macina, lo rende un pulviscolo di attimi che non si depositano in nessun disegno.

Per innescare nuovamente la speranza bisogna intraprendere un itinerario faticoso ma indispensabile, dove il soggetto ritrova se stesso in una più solida relazione con gli altri.

 

Oltre le radici della paura

 

La prima radice oscura della paura contemporanea è situata nell'opacità del materialismo, nel senso più ampio possibile della sua accezione, fino a raggiungere l'assoluta mancanza di forme di libertà e di mistero. Tutto è lì, misurabile, afferrabile, massiccio, pesante, manipolabile, oggetto di un potere possibile. Ora, dalla figura del materialismo emerge lo spettro della totalità: la totalità è quella figura antropologica in cui ogni alterità è negata.

Esiste soltanto l'io; un io che si fa sempre più grande e che progressivamente fagocita il tutto, a tal punto che non si percepisce più chi mangia e chi è mangiato. La paura si regge tra il confine dell'onnipotenza e l'immediato pericolo dell'annientamento.

Non essendoci più un altro, viene annullata la speranza: non c'è niente da sperare, tutto è già praticamente compreso, conquistato; è parte di me che dall'interno germina insoddisfazione. Tutto è ridotto alla confusa percezione di sé, a volte esaltante, a volte depressa. Il valore dominante è il valore di scambio: tutto si può sostituire. Posso comperare tutto. Mi posso vendere.

La totalità è un'esperienza ideologica: significa confondere la parte con il tutto, è l'incapacità di distinzione, la fatica a far sussistere qualcosa d'altro, l'assoluta mancanza di simbolicità; la totalità è la forma peggiore del materialismo, un materialismo dell'anima e del pensiero, dell'economia e del corpo, della comunicazione e del profitto. Dove si vive un'esperienza acritica di totalità prima o poi si uccide la speranza. 

Ci può essere la totalità del corpo: l'io ricerca esclusivamente l'appagamento della sensazione, una certa ebbrezza dell'attimo che sa confidare soltanto nel principio del piacere.

Ci può essere la totalità della coscienza, nel momento in cui l'io si ritiene dominatore di tutto e fa coincidere la realtà esclusivamente con le sue convinzioni acquisite, ponendosi così con un io conquistatore del tutto, senza lasciar spazio a nessuna forma di trascendenza. 

Si può parlare della totalità dell'immagine, dentro la quale l'io consuma esclusivamente il bisogno di apparenza, di successo, di riconoscimento, condannandosi a una continua sofferenza come frutto di un narcisismo mai sufficiente.  

Ci può essere la totalità della soddisfazione dentro la quale la persona si preclude qualsiasi digiuno e qualsiasi attesa e non riesce a gustare la bellezza di un reale futuro che impone qualche sacrificio nel presente.

Coltivare la speranza significa combattere contro queste totalità e riaprire la realtà a infiniti rimandi simbolici che danno anima a ogni materia e futuro a ogni identità. 

Quando una persona si rende prigioniera di qualsiasi forma di totalità, che è un mondo senza Dio, ritorna all'idolatria.

 La speranza nasce, al contrario, da un profondo realismo che è in grado di diffidare delle infinite possibilità promesse e non mantenute. Oggi molti oscillano tra il senso di onnipotenza e il rischio della depressione. Spesso la pubblicità rende stupidi favorendo infinite illusioni piuttosto che una buona speranza. Le illusioni portano in alto il soggetto, molto in alto; ma ben presto il soggetto cade di fronte al realismo quotidiano e non regge più il ritmo e il senso dei giorni feriali. Il sogno, il progetto, il futuro, invece di essere liberatori, danno vita ad allucinazioni incontrollabili.

La speranza ne risulta indebolita e lascia il posto alla paura.

 

 

La speranza è una relazione

 

La vita viene dall'altro e la salvezza viene dal di fuori: c'è un'alterità umana e trascendente che anima tutta la realtà. La speranza viene da una relazione matura, con gli uomini e con Dio.

Per questo è necessario innanzitutto ridare spazio e valore reale ad ogni forma di alterità. Si tratta di un esercizio complesso e difficile che abitua il soggetto, mediante tutte le sue facoltà espressive, a non ricondurre il tutto a sé, come se il mondo, il cielo, la terra, le persone, le società, fossero semplicemente una mia proprietà, un mio accessorio, una protuberanza di me stesso. La persona deve strutturarsi in modo tale che le venga spontaneo vivere lasciando che gli altri siano veramente altro da sé e orizzonti reali di relazione.

L’affermazione dell'alterità che si gioca nella figura della fede come in quella dell'amicizia, nelle dinamiche dei pensieri come in quelle della volontà, è l'esperienza che permette il nascere e il nutrirsi di una reale relazione matura, soltanto all'interno della quale è possibile far scorrere il tempo. Se gli altri - l'uomo e Dio - sono semplicemente ridotti a una funzione di me, è impossibile ridare slancio e significato a ogni forma di speranza.

Un altro passo da fare per far crescere la speranza e ridare valore all' esistenza quotidiana, consiste in un'intelligente resistenza nei confronti di un pericoloso scetticismo ironico su di sé e sul mondo, che non permette mai di raggiungere «le cose in sé», di riconoscere le esperienze come vere, i sacrifici da fare come ragionevoli, le attese come intelligenti, le urgenze come necessarie, gli impegni come forme di responsabilità.

Bisogna difendersi da quello scetticismo (incredibile leggerezza dell'essere) che conduce a una forma di disimpegno di tutta la struttura affettiva ed emotiva della persona, in base al quale di fronte ad ogni assunzione di responsabilità è sempre più convincente il fatto che “non ne vale la pena”. Se questo scetticismo ironico e beffardo su di sé e sul mondo non viene neutralizzato, diventa mistificante ogni approccio con la realtà quotidiana, e alla fine si è condotti a una cattiva tolleranza, tipica di una fiamma che a poco a poco si spegne.

È un progressivo consumarsi senza luce.

 Un ulteriore sentiero da percorrere per valorizzare il consolidarsi della speranza è la capacità di costruire legami affettivi a lungo termine: l'amore si gioca sulla durata; l'amore alla fine è indissolubile. La dimensione affettiva permanente dà ampio respiro e maggior arricchimento emotivo al susseguirsi dei giorni e al senso unitario della vita. I giorni e la loro qualità vengono rigenerati: i giorni si trasformano in stagioni dell'anima, si distribuiscono in evoluzioni successive e diverse, che fanno del susseguirsi dei giorni una storia, e che trasformano la ricezione dei messaggi in un insegnamento più solido.

La tendenza in atto a non dare molto valore alle dinamiche  della fedeltà e all'approfondimento dei rapporti affettivi personali non favorisce il costituirsi dell'esistenza quotidiana come storia.

 Infine, si costruisce speranza andando oltre il senso di impotenza e oltre l'atteggiamento vittimistico che abbastanza spesso investono l'uomo contemporaneo. Questo stato d'animo si esprime nelle relazioni quotidiane sotto forma di lamentela, di noia, di insofferenza, di depressione. Il soggetto, particolarmente concentrato sull'immagine di sé, vive sempre con la paura di non essere all'altezza della situazione, teme il crollo, teme la brutta figura, anticipa nel timore la frustrazione e finisce per provocarla davvero; finisce per disperare e non riconoscere più il valore delle sue giornate.

Al contrario, è necessario acquisire una giusta concezione di sé, delle proprie possibilità e dei propri limiti; deve essere percepito chiaramente il confine tra sé e il mondo; questo procedere suscita speranza e scioglie l'illusione.

 

 

 Il volto della speranza

 

Il credente sa che per suscitare e mantenere viva la speranza deve ritornare a contemplare la misteriosa alterità che brilla sul volto di Gesù.

La speranza inizia, anche senza saperlo, dalla fede. La fede incomincia con quella predisposizione al fidarsi, che ciascuno di noi ha nel cuore.

Può capitare che nella vita qualcuno ti prenda per mano, in un momento in cui sei molto contento o in un tempo in cui hai molto bisogno. Quando cerchi respiro al di fuori di te, quando hai bisogno di altro o di un Altro, può capitare che qualcuno ti conduca davanti a Gesù. Ti dica che lì, in Gesù, c'è la Parola di Dio fatta carne. Gesù ti appare come la grande sorpresa di Dio, colui che è all'origine della fede e della speranza, colui che nella sua vita ci ha lasciato un esempio, affinché camminassimo sulle sue tracce.

Solo il continuo e rinnovato ascolto del Verbo della vita, solo la contemplazione costante del suo volto permetteranno ancora una volta di comprendere chi è il Dio vivo e vero, ma anche chi è l'uomo. Con questo incontro, molto più grande delle sue consuete misure, l'uomo si apre all'alterità di Dio e al suo destino eterno. La contemplazione del volto di Gesù nutre la più alta speranza umana: si tratta di quella speranza che è in grado di raccogliere tutta la vita e di portarla oltre la morte.

La contemplazione del volto di Gesù, il quale ritornerà nel suo splendore risorto, diventa allora il criterio interpretativo generale della vita di ogni persona e di tutta la storia umana. È la promessa di un definitivo compimento dell'uomo e del mondo. La vita, la mia vita, è continuamente gettata nel futuro. Da ciò che già mi è accaduto io imparo a trarre elementi e motivi che mi aprono a un futuro non ancora compiuto. Se contemplo il volto di Gesù, crocifisso e risorto, la vita mi appare sostanzialmente come una promessa.

Il dono dello Spirito di Cristo, lo Spirito santo, riversato nel mio cuore, mi sbilancia progressivamente oltre una certezza assolutamente umana ed esclusivamente storica, per appoggiarmi in un abbandono completo e fiducioso nel mistero dell'amore assoluto di Dio. Un amore che sta e starà di per se stesso, sempre.

La presenza vivace dello Spirito mi spinge a diffidare di una vita senza senso; piuttosto mi induce a una maturazione finale trattenuta in serbo dalla forza creatrice di Dio, che è in grado di far risorgere mille volte nella vita terrena, e per sempre dopo la morte fisica.

Per questo la speranza cristiana, contemplata sul volto crocifisso e risorto di Gesù, non teme nessuna esperienza negativa umana; al contrario, è in grado di attraversarla e di portarla nei giorni difficili della storia: infatti è sorretta da Colui che ci viene incontro. Non è solo uno sforzo di ottimismo, è invece la relazione con chi è in grado di offrire non principalmente benessere immediato, ma salvezza eterna.

La speranza cristiana dà all'uomo la capacità di vivere la tensione del tempo presente, fra il rischio del proprio fallimento e la fiducia nella promessa di Dio. Attraversa l'accettazione anticipata della morte, come passaggio obbligante e non depressivo, come riconsegna assolutamente libera della propria povertà, che non perde mai la sua dignità e non misconosce il valore della storia.

 

 

 

ORATIO     Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

 

“Per chi spera in te, Signore, tribolazione e forza stanno sempre insieme.

 

Difficoltà e coraggio riempiono la stessa giornata.

 

La nostra speranza non è ripiegata sulla nostra solitudine, ma si sostiene sulla certezza della tua promessa.

 

Ti prego, o Signore, aiutaci ad attraversare questa nostra età della vita e della storia, prendendo con fiducia e libertà le nostre decisioni,

 

e assumendo con gioia le nostre responsabilità.

 

I pensieri della nostra mente vincano ogni ansia dell'anima, e il nostro affetto sia sempre rivolto a te.

 

La nostra preghiera riconduca alla pace, perché le anime che vivono in pace sono ancora pronte a raccogliersi da ogni momentanea dispersione.”

 

 

 

CONTEMPLATIO     Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.

 È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo

a te, Dio Padre Onnipotente,

nell’unità dello Spirito Santo,

ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.

AMEN

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.

Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!

Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

Arrivederci!

 

 

(spunti liberamente tratti da una riflessione di mons. Pagani)