RITIRO ON LINE                                                                                                   
gennaio
2013  

Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.   Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.

 

 

Signore del mondo,
all'alba del nuovo anno,
le mie mani si aprono
per accogliere,
come le ampolle di una clessidra,
il tempo che vorrai donarmi.
Non ti chiedo
qualche minuto in più
ma ti chiedo di più
per ogni minuto:

donami fede
per credere anche di fronte alle disillusioni,

donami speranza,
per non cedere alla rassegnazione,
donami carità
per rialzarmi ad amare
dopo ogni caduta
nel fango dell'egoismo.
Amen.

 (da “Hai un momento, Dio?”)

 

Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

 

LA SPERANZA

IL DONO DELLA SPERANZA 

 

La speranza è una virtù di cui spesso non ci si occupa, se non nei tempi in cui questa sorella minore ma lungimirante sta male o viene a mancare. Non ci si accorge subito se la speranza si allontana dal nostro cuore; poi il vuoto si fa più insistente e raggiunge la nostra mente, si impadronisce di molti pensieri e affatica l'anima. La sua assenza prolungata indebolisce il gusto della vita e produce un grande senso di inutilità del tutto.

Quando si è in questa situazione la diagnosi è chiara: sta venendo meno la speranza.  

 

       

 

 

 

 

 

 

LECTIO  Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano che mi viene proposto   (Gv 16, 12-20)

 

«12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo

 

 Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi

 

annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello

 

che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

 

«16Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete». 17Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro:

 

«Che cos'è questo che ci dice: "Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete", e: "lo me ne vado al

 

Padre"?». 18Dicevano perciò: «Che cos'è questo "un poco", di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire».

 

19Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: "Un poco e non mi

 

vedrete; un poco ancora e mi vedrete"? 20In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si

 

rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia».

 Parola di Dio

 

 

 

 

 

 

 

 

MEDITAZIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio !   Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".

 

Il dono della speranza

 

Sappiamo per il futuro che «quando verrà lo Spirito della verità ci guiderà alla verità tutta intera».

Dove sta l'inizio della speranza? La speranza inizia dallo sguardo. La speranza incomincia quando apro gli occhi e guardo le cose: guardo gli oggetti più semplici, come il pane o l'acqua, e gli oggetti che uso tutti i giorni; oppure guardo la gente, o il cielo, o le strade della città, e guardando mi viene il sospetto che tutte quelle cose che vedo e che mi sembrano così evidenti nella loro interezza, in realtà mi tengono nascosto qualcosa. Qualcosa che non dicono; o per lo meno che non dicono subito.

Mi viene il sospetto che la realtà non sia così opaca, così chiusa, così strumentale. È come se uno sguardo superficiale non mi bastasse più o mi proibisse una lettura più vera di me stesso e del mondo. Al contrario mi viene il sospetto che quello che vedo e che tocco mi spinga verso una maggiore profondità, verso una più alta trascendenza, verso un nuovo orizzonte che devo ancora conoscere: un orizzonte non solo dello spazio, ma anche del tempo. È come se il presente mi costringesse per forza verso un futuro.

 

Ecco allora che, in quel momento, sono costretto assolutamente a entrare nel futuro, per convincermi che le cose “sono di più delle cose”, che un oggetto è “di più di un oggetto”, che le persone sono anche diverse da come le penso. Mi convinco che anche il dono della mia esistenza è di più del mio stato d'animo, e non è solo il sentimento che provo in quel momento.

 

Sono invincibilmente costretto al futuro, come se qualcuno mi tendesse una mano, come se mi chiamasse, come se mi aiutasse ad attraversare un guado pericoloso e difficile. Umanamente parlando, mi accorgo che sono le cose e più ancora gli altri, che - senza saperlo - stanno svolgendo per me il servizio della speranza. Altri che sono passati, altri che ci sono adesso e anche altri che mi verranno incontro.

 

In quel momento, e solo in quel momento, sono in grado di capire che la speranza è sostanzialmente una relazione: non solo una relazione reale, ma soprattutto una relazione possibile. A questo punto mi accorgo che nella mia esistenza c'è qualcos'altro da me: persone e cose, che mi sono estremamente preziose.

 

Queste alterità rappresentano per me molto di più delle cose che uso, molto di più delle relazioni che nutro e molto di più dell'esistenza che vivo: rappresentano per me qualcosa che mi spinge più in là. Tra le molte cose che mi spingono più in là ci sono la testimonianza della fede e l'esempio della carità.

 

In queste testimonianze riconosco, oggi e nel passato, molta gente che di generazione in generazione hanno visto e creduto. Ora questi altri mi riportano oltre le cose, oltre gli stati d'animo, oltre le mie tristezze; mi portano anche oltre le mie paure: anzi, a dire il vero mi portano anche oltre se stessi e la loro storia. Questi altri mi contagiano, e se vivo di fede questi altri, che sono il prossimo di Dio, come nuovi angeli della risurrezione mi portano nuovamente a Gesù. Più precisamente mi conducono al Cristo Risorto, che ancora non vedo, ma che imparo ad attendere con amore e a invocare con gratitudine.

 

E da lui mi aspetto tutte le cose necessarie per vivere: non una di più e non una di meno. Questo lasciarmi portare ancora a Gesù è così forte che mi apre al futuro, cioè a quella parte di me che neppure conosco o che mi sembra impossibile. E lì finalmente capisco e mi convinco che la speranza non solo è una relazione generica, ma se la speranza è vera e incorruttibile, altro non è che una solida e amata relazione con il Signore Gesù.

 

Posso ancora credere e sperare; non a prescindere dagli oggetti, dalle cose o dalle persone, ma proprio a partire da loro, da quello che tocco e da quello che vedo.

Posso ora credere, pur nel dolore e nella contraddizione del mondo, che la speranza è ragionevole; anzi, la speranza è veramente sperabile. Allora mi fa bene riscoprire, anche a proposito della speranza, che Gesù ha lasciato una parola, proprio in quell'ultima sera prima di andare a morire per me.

 

Nel capitolo 16 del Vangelo di Giovanni troviamo, sulla speranza, tre parole del Signore.

La prima: la speranza sa attendere («ho ancora molte cose da dirvi»).

La seconda: la speranza conosce l'assenza («un poco e non mi vedrete più»).

La terza: la speranza vince il mondo («avete tribolazioni ma abbiate coraggio»).

  

 

La speranza sa attendere: «Molte cose ho ancora da dirvi»

 

«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.» La speranza sa attendere, è capace di aspettare. Non ha fretta di fare sintesi sulla vita, sulla morte, sul mondo, su tutto. La speranza è una porta aperta.

Non avere speranza significa chiudere subito tutte le porte e decidere di restare da soli.

Ora, secondo Gesù, soprattutto nella giovinezza, la speranza si alimenta nella predisposizione a pensare che ci sono ancora cose da sapere, come singoli e come umanità. Il credente incomincia a sperare se crede davvero che Gesù, mediante il suo Spirito, ci può dire e ci può far capire ancora qualcosa.

 

Gesù ci dice di non chiudere la mente e di non ritirarci dalle relazioni; ci dice di stare attenti perché può ancora veramente capitarci qualcosa. Tutti noi siamo piccoli. Non siamo noi che portiamo la speranza: è la speranza che porta noi tra le sue braccia. La speranza non viene dal nostro intimo: la speranza viene dal di fuori; non ha la forma della riflessione, ma piuttosto quella della rivelazione.

 

Se vogliamo vivere di speranza accettiamo che ci siano dei pesi che ancora non siamo in grado di portare: la complessità della vita, la ricchezza dell'esperienza, la forza della sopportazione, l'amore non ripagato, il dramma della morte. Anche il permanere dell'ingiustizia nel mondo, la tristezza dell'arroganza e perfino il dubbio della fede sono tutti pesi che ancora non riusciamo a portare. Questi pesi un giorno li porteremo, ma non li porteremo da soli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso».

 

La speranza sa attendere, non è passiva ma non è impaziente. È umile ed è una sorella che sta sempre in preghiera. Attendiamo e invochiamo sempre lo Spirito: egli ci aiuterà. Gesù ci ha detto che «Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà alla verità tutta intera». La nostra speranza diventerà sempre più cristiana e sempre più spirituale, perché ci farà entrare progressivamente nella volontà di Dio. Gesù ha insegnato ai suoi discepoli ad attendere in preghiera il dono dello Spirito: questa è la vera intelligenza della fede. La speranza sa attendere: «Molte cose ho ancora da dirvi».

 

 Ci sono molti segreti del mistero di Dio e del cuore umano che si capiscono a poco a poco: tutti insieme sarebbero troppo pesanti. Gesù ha rispetto, lo sa. Lungo la vita di ciascuno il suo Spirito ci porterà avanti a tempo debito: manifesterà realmente i tratti del cuore di Dio. Allora quando capisco in umiltà queste dimensioni dell'anima, desidero aprirmi davvero a una conoscenza nuova e più matura e a un più fervido amore verso il mistero di Dio e la persona umana di Gesù. Incomincio a nutrire la speranza con pazienza e pace, con misericordia e benevolenza. Per questo mi preoccupo di dedicare il tempo a conoscere Dio e a coltivare me stesso. Incomincio a pensare senza nervosismo, cerco di leggere senza fretta, provo a chiedere ma con fiducia, mi dispongo a pregare ma con perseveranza.

 

In un vero discernimento, lo Spirito di Gesù mi aiuterà a leggere la mia storia. Cercherò di capire cosa succede dentro di me e accanto a me. Non mi domanderò innanzitutto che cosa mi sta capitando, ma piuttosto cercherò di capire che cosa mi insegna il Signore attraverso quello che mi capita; che cosa posso imparare, perché certamente Gesù mi vuol dire qualcosa.

 

A me, non ad altri. La speranza si alimenta sempre a nuove rivelazioni.

 

 

La speranza conosce l'assenza: «Un poco e non mi vedrete più»

 

La speranza, anche se è scritta sempre nelle cose, talvolta nella vita assomiglia a un fiume carsico: prima è impetuosa e affascinante, poi improvvisamente scompare, o è debole e sotterranea, o è sopraffatta dalla fatica del quotidiano. È stanca e sfìduciata. La speranza si indebolisce quando non c'è il Signore e quando il suo Spirito è lontano. Si pensa perfino che questa terza sorella goda di cattiva salute. In certe stagioni della storia può essere vero: quando non c'è Gesù la speranza perde il suo soggetto e il suo respiro. Gesù ci invita con divina saggezza a reggere questa umana intermittenza.

 

La speranza conosce l'assenza: l'assenza di Gesù e insieme l'assenza dello Spirito. L’assenza del Signore è avvertita non solo nel cuore delle persone, ma talvolta è ancora più pesante quando investe un'intera cultura. Nei momenti di assenza del Signore sperimentiamo la confusione di noi stessi. Allora tutti noi soffriamo e stiamo male perché ci mancano il respiro della nostra anima e la difesa dello Spirito. Ma Gesù lo aveva previsto; in quei momenti di vuoto le cose restano soltanto cose, i giorni sono soltanto giorni, e i sacramenti si inaridiscono dall'interno o non vengono celebrati e il nostro culto diventa vuoto, perché è senza carità. Allora quando siamo così, sofferenti per la debolezza della nostra speranza, dobbiamo ricordarci che non siamo alla fine del tempo e che non dobbiamo tirare le conclusioni di una vita; ma soltanto vigilare sulla fede.

 

Come i discepoli di allora diremo tra noi: «Che cos'è questo che ci dice: "Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete"», e attenderemo nell'assenza del Signore e senza pigrizie, come ha detto Gesù, quel «poco ancora» che ci separa dalla visione.

 

L'assenza di Dio nella storia degli uomini è una cosa seria. Facciamo fatica a vedere Gesù in molti tratti della cultura del mondo contemporaneo. A volte siamo smarriti: non si vedono vie di uscita da molte situazioni e da infiniti problemi umani, personali e sociali; e viene da dire che per questa generazione non c'è spazio per nessuna misericordia.

 

Il Signore conosce le nostre domande e vede svuotarsi dall'interno i propositi del nostro agire e i pensieri dei nostri progetti. Vede che stiamo indagando su di noi, sulla vita, sulla storia, su di lui. Dio non c'è; o per lo meno non c'è più come prima. Non è un ateismo sistematico: si tratta di un vuoto di senso, che si sperimenta ogni mattina.

 

Ci accorgiamo che la nostra fede spesso si trasforma nel tempo, che non è più come in altre stagioni della nostra vita. Si può sentire Dio come irrinunciabile, anche se lontano; si può attraversare il dubbio, l'apatia, la stanchezza, la sfiducia.

 

Gesù non è estraneo al nostro disagio e alle nostre lacrime; però, fosse anche per un poco appena, è assente.

Da parte sua fa una promessa: la nostra tristezza si cambierà in gioia.

 

In questi contesti dell'anima la speranza diventa più debole e per questo più necessaria. Impariamo a vivere l'assenza. Si può anche percepire in maniera nuova come è importante la grazia: si capisce che il futuro a cui si è inevitabilmente costretti è più che mai nelle mani di Dio. Allora si può vivere l'assenza veramente in modo spirituale. Reagisco di fronte al pericolo della paura, perché so che la paura mi inganna, mi indebolisce, mi debilita per intero.

 

Più che mai nella fede, diffidando di ogni tristezza, guardo al futuro sapendo che lo Spirito mi guiderà. Imparo a sostenere qualche domanda in più rispetto a un senso religioso spontaneo. Mi predispongo a nuove esperienze più umane e mature.

 

Vivo attivamente in attesa. Sono nuovamente nella speranza.

  

 

 

 Per la riflessione

 

Secondo Gesù la speranza si alimenta nella predisposizione a pensare che ci sono ancora cose da sapere, come singoli e come umanità. Il credente incomincia a sperare se crede davvero che Gesù, mediante il suo Spirito, ci può dire e ci può far capire ancora qualcosa. Credo che lo Spirito di Gesù può dirmi ancora qualcosa in questo momento della mia vita?

 

La speranza sa attendere. Gesù ha insegnato ai suoi discepoli ad attendere in preghiera il dono dello Spirito: questa è la vera intelligenza della fede. Sono capace, anch’io, di attendere i tempi di Dio?

 

Cerco di capire che cosa mi insegna il Signore attraverso quello che mi capita? che cosa posso imparare, perché certamente Gesù mi vuol dire qualcosa?

 

L'assenza di Gesù e l'assenza dello Spirito sono avvertite dal mio cuore e sperimento la confusione in me stesso.  Mi ricordo, quando sono in questa situazione, che non devo disperarmi, ma piuttosto “tenere duro” e vigilare sulla fede?   Vivo attivamente l’attesa dell’aurora?

 

 

 

ORATIO    Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

 

Mio Dio, prendi possesso del mio cuore.

Fa che vinca le mie resistenze

mi abbandoni al tuo amore.

Fa che io ti desideri, ti attenda,

ti ascolti, ti accolga.

Aiutami a non vivere più

in una sorta di affanno continuo,

a non lasciarmi scoraggiare

dagli ostacoli e dai rischi.

Fammi capire

che non sono gettato allo sbaraglio

nel vortice della vita.

Tu sei sempre con me, o mio Dio,

e io sono nelle mani del mio Dio,

mani affettuose come quelle di una madre

che culla e nutre suo figlio.

“Come un bimbo in braccio a sua madre,

così riposi la mia anima tra le tue braccia”.

(don Canio Calitri)

 

  

CONTEMPLATIO     Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.

 È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo

a te, Dio Padre Onnipotente,

nell’unità dello Spirito Santo,

ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.

AMEN

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.

Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!

Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

Arrivederci!

 

 

(spunti liberamente tratti da una riflessione di mons. Pagani)