RITIRO ON LINE - giugno 2023     










Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi. 

 

    (Mausoleo di Santa Costanza – Roma)

 

Sono pigro, Signore. E so che non va bene.

Sono pigro nel lavoro e sono pigro negli impegni.

Sono pigro nelle amicizie e nelle relazioni ..

Sono pigro anche con Te, Signore: Ti vengo a trovare di rado

…………………..

 (Eric Pearlman)

Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

 

==========================================================

INCONTRI  DI  GESU’  LUNGO  LE  STRADE  POLVEROSE DELLA  PALESTINA

 

In parrocchia recentemente è stata proposta una serie di Lectio incentrata sugli incontri di Gesù con alcuni “personaggi” colti nella concretezza della loro vita quotidiana, narrati nel Vangelo di Luca. Sono dei “ritratti dal vivo”! In questi personaggi si possono riscontrare molti  aspetti presenti anche nella vita di ciascuno di noi, nonostante la distanza temporale.  Sono spazi di concreta umanità ma anche di svelamento della verità.

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.  Lc 18,9-14

 

    9Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MEDITATIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio! Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore"

 

 

GESÙ, IL FARISEO E IL PUBBLICANO

NEL TEMPIO

 

 

INQUADRIAMO IL RACCONTO

La parabola del fariseo e del pubblicano rappresenta un brano evangelico pungente, che scuote fortemente e totalmente la vita religiosa e spirituale.

E’ indirizzata alla categoria di credenti che si sentono spinti dalla loro giustizia e dalle loro opere a mettere la fiducia in se stessi piuttosto che in Dio.

Facciamo una premessa, che, come una chiave di lettura, consenta di coglierne tutti i risvolti. Ogni persona credente struttura e imbastisce la propria interiorità stabilendo e organizzando i rapporti che la collegano a tre punti di orientamento della sua vita: a Dio, agli altri e a se stessa. Sono tre relazioni NON separate o autonome, ma si rapportano, si articolano fra loro, si integrano. Se una delle tre non è esercitata in modo vero e giusto, ne segue che le altre due subiscano un influsso negativo, a detrimento di una sana e armonica configurazione interiore.

Nel caso che un individuo non stabilisca un giusto rapporto con Dio, come quando ha paura di lui oppure si sente servo più che figlio o lo percepisce un essere lontano e indifferente, privo di amore, compromette non solo la sua unione con lui, ma anche con se stesso e con gli altri, creando conflittualità e tensioni in sé e fuori di sé.

Così è anche quando l’uomo si relaziona agli altri in modo sbagliato, dettato dalla concorrenza, dal confronto, più che daIl’amore fraterno, finisce per considerare se stesso con un senso di superiorità, ponendosi su di un piedistallo ed ergendosi a giudice di tutti.

Ne deriva che la preghiera stessa si fa altezzosa e superba, non ben accetta e gradita a Dio, ma solo appannaggio per disprezzare e condannare coloro che non sono reputati alla pari della sua altezza spirituale.

La radice di tutti questi mali è data da un errato concetto di sé, quando cioè l’uomo non si riconosce per quello che veramente è: un essere misto di pregi e di difetti. Quando  esaspera gli uni a discapito degli altri, come quando si ritiene perfetto in tutto. Chiuso in se stesso, non riesce a instaurare nei confronti degli altri quell’amore, quella stima, quella comprensione autentica che Dio chiede. E’ impedito di vederli nella loro singolarità, ostruito da uno sguardo annebbiato. Egli pensa sempre a se stesso.

La cosa ancora più dannosa sta nel fatto, conseguente al suo orgoglio, di mettere Dio al di sotto di sé e a suo servizio, non in modo palese e sfacciato, ma nel senso di suggerire o, al limite, di imporre a lui le regole di come debba giudicare e agire.

Questo modo di comportarsi si riscontra mirabilmente nel fariseo che si reca al tempio a pregare, in confronto e in contrasto con il pubblicano.

 

ENTRAMBI  ALLA PRESENZA DI DIO

Il racconto di due uomini che vanno a pregare non intende occuparsi solo della preghiera e di riflesso dell’atteggiamento cultuale nei confronti di Dio. Il tema della preghiera è certamente presente, anzi è l’aspetto principale, visto quale strumento che permette di scandagliare le intime movenze dell’animo; esso rappresenta il banco di prova sul quale si pone e si valuta la vera religiosità, il sentimento più profondo dell’uomo.

Si sa che la preghiera non costituisce un’attività secondaria e marginale; in essa tutta la persona umana si manifesta ed emerge sia nel suo modo di rapportarsi con Dio, mostrando la sua disponibilità spirituale, sia nel modo di relazionarsi con il prossimo che il suo inserimento nella convivenza umana.

Infine la preghiera pone l’uomo in relazione con se stesso, con i suoi sentimenti più veri, con i pensieri che si annidano nel suo cuore.

 

DUE PERSONE MOLTO DIVERSE

Nella parabola sono raffigurate due persone ben definite e circostanziate dal punto di vista sociale, morale e religioso: un fariseo e un pubblicano. E’ ovvio che nasca il confronto tra i due. Il racconto inserisce un terzo personaggio, quello principale: Dio, che guarda, ascolta, giudica. È lui che dà il senso giusto all’insieme del quadro. Senza la sua presenza i due personaggi resterebbero avvolti dal loro involucro apparente e nessuno potrebbe scoprire il vero atteggiamento del loro spirito.

Da una parte c’è un bravo fariseo orante, stimato e apprezzato dalla gente per le buone opere che compie, dall’altra un odiato pubblicano, un ebreo nemico del popolo, venduto ai romani invasori, indegno di stare in quel luogo santo, il tempio.

Al termine Gesù fa intervenire Dio, che manifesta la sua misericordia e la sua giustizia.

A questo punto i due uomini si rivelano nella loro autenticità personale, senza più veli che la possano nascondere o camuffare.

Sia il pubblicano che il fariseo durante la loro preghiera pubblica, sono visti e scrutati ambedue: ciascuno nella sua relazione con Dio, una persona viva, che è lì, presente nel tempio; sono descritti separatamente, l’uno e l’altro; sono ravvicinati l’uno con l’altro, nei gesti e nelle preghiere messe a paragone; ognuno, il fariseo prima e il pubblicano poi, manifesta il proprio mondo interiore, denuncia se stesso, fa vedere il proprio modo di essere e di vivere, di considerare sé e gli altri.

 

INTRODUZIONE  ALLA PARABOLA

Nel v. 9 Gesù introduce la parabola, dandone anticipatamente la spiegazione, affinché nessuno dubiti del suo insegnamento: « Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri  (tutti i restanti)».

In questo versetto sono evidenziate le tre relazioni, di cui si è parlato nell’introduzione, e che denotano il modo di porsi di alcuni nei confronti di Dio, di se stessi e degli altri.

L’espressione «essere giusti» si riferisce all’osservanza della legge, esplicitazione della volontà di Dio, che dev’essere attuata nella sua totalità. Per adempiere pienamente la legge non è sufficiente obbedire solo ad alcune regole, osservare alcuni precetti e non tener conto di tutti i comandamenti, dimenticandoli, manipolandoli e occultandoli. Risulta assai facile manomettere la volontà di Dio, restringendola o dilatandola in conformità ad un’artefatta mentalità religiosa o al modo usuale di pensare della società, piuttosto che rispettarla nella sua integralità.

L’altra frase: « avevano l’intima presunzione », denuncia l’autostima o l’alta considerazione del proprio modo di comportarsi. Si parla di quelle persone che si sentono e si dichiarano perfetti esecutori dei comandamenti divini. Sono convinti perciò di essere nel giusto, possiedono un elevato concetto di sé e ne sono interiormente fieri. Dio dovrà solo approvare la loro ineccepibile condotta.

Non sospettano minimamente che ci possa essere qualcosa di non buono o di riprovevole, di cui la loro coscienza debba rimproverarli. Non si rendono consapevoli del loro stato di peccato e pertanto non muovono l’animo per invocare misericordia e salvezza. Essi si considerano a posto in tutto.

D’altra parte si dice che «disprezzavano gli altri», con evidente riferimento ai restanti uomini. Si nota immediatamente la disparità di giudizio verso se stessi e verso il prossimo. Di sé hanno un’idea eccelsa, che li pone al di sopra degli altri e si sentono autorizzati a guardare con disprezzo i rimanenti esseri umani, posti in un gradino inferiore.

La parabola mostra, in seguito, che il fariseo non risulta poi tanto giusto davanti a Dio; inoltre fa vedere che non ama, anzi disprezza il pubblicano e con lui tutti gli uomini che non sono uguali a sé. La sua “rispettabile persona”, e non Dio, diventa il metro di paragone, il punto indiscusso di riferimento per ogni valutazione.

 

DOVE CI TROVIAMO

Il racconto, fin dall’inizio, specifica il luogo dove avviene il fatto e fornisce l’identificazione dei personaggi: «Due uomini salirono al tempio a pregare, uno era fariseo e l’altro pubblicano». Ci si trova a Gerusalemme, la città santa, il cuore del popolo ebraico. Più concretamente la scena è ambientata nel tempio, santuario dove abita il Signore. É usuale che i giudei si recassero al tempio per pregare. Quì si compiva la celebrazione sacrificale quotidiana, al mattino e alla sera.

É logico che si dovesse salire al tempio, essendo posto più in alto rispetto all’abitato. Salgono, insieme a molti altri, questi due individui.

Entrambi si pongono davanti a Dio e aprono il loro animo. La rispettiva preghiera dell’uno e dell’altro evidenzia la situazione nella quale ognuno si trova a vivere. Le parole che essi pronunciano, manifestano il loro mondo interiore, la loro vita, quello che sono. Ne segue una descrizione incomparabile delle loro persone, dei loro comportamenti, dei loro pensieri. Sono collocati in posti diversi, eppure sono messi a raffronto. Difficilmente potrebbero essere presentati con una discordanza più marcata.

 

LA PREGHIERA  DEL  FARISEO

La parabola si sofferma a Iungo sulla preghiera del fariseo (vv. 11-12). Anzitutto ritrae la sua posizione fisica: sta in piedi nell’atrio degli israeliti, in prospettiva del santuario. Non ha paura di Dio, è sicuro della sua giustizia, è un osservatore scrupoloso della legge. Per queste ragioni ha il diritto di entrare e farsi avanti.

Il testo dice «stando in piedi», cioè ritto ed elevato. É la classica posizione della preghiera ebraica, che indica la dignità dell’israelita ed era stata permessa da Dio. Il fariseo «pregava tra sé», continua la narrazione con l’intento di esplorare i moti del cuore. In questo modo si fa intravedere che il fariseo, pregando, sembra rivolgere le parole a se stesso, compiacendosi con sé e mostrando di essere soddisfatto.

Si rivela una preghiera essenzialmente egocentrica, che non esce da sé per raggiungere Dio. Quell’uomo, profondamente ripiegato su di sé, non è capace di guardare al di là, sebbene stia in piedi e dirimpetto al santuario.

Il suo discorso comincia con queste parole: «O Dio, ti ringrazio», parole che suonano abbastanza strane. L’atto di ringraziare, infatti, presuppone il riconoscimento del dono ricevuto, mentre il fariseo, pur intonando il ringraziamento, di fatto non si rivolge al Signore, ma esprime con grande sfrontatezza una solenne lode di sé. Si autocompiace di tutto ciò che ha fatto di bene e non loda Dio, ma la sua persona, sebbene prenda lo spunto da una fittizia gratitudine verso l’Altissimo. In lui non c’è spazio per magnificare e riconoscere la generosità divina; non fa cenno alcuno ai doni che Dio gli ha elargito. La sua preghiera, al contrario, contiene un elenco di ciò che egli ha fatto.Iin questo modo pensa di ottenere meriti da Dio, con l’unica intenzione di essere da lui apprezzato. In fondo il suo modo di pregare non esprime altro contenuto che quello di un invito rivolto a Dio di prendere in considerazione le proprie buone azioni.

Possedendo un animo egocentrico, vede gli altri come suoi rivali, suoi concorrenti, non persone da amare, da assistere, da aiutare. Il rapporto che ne consegue resta determinato dalla sua superiorità morale e spirituale. Confrontandosi con essi, dichiara quali siano le loro cattive azioni da cui egli valorosamente si astiene. La conclusione sconcertante della sua lunga esposizione di meriti, che era iniziata con il ringraziamento a Dio, si riduce a una sprezzante svalutazione del prossimo.

Lo dice espressamente: «Non sono come gli altri uomini»; è un fariseo, un separato dal resto. E’ fiero di appartenere a un gruppo particolare. Egli è un pio praticante della legge, un uomo spirituale, dedito all’ascolto della parola di Dio spiegata dagli scribi competenti.

In tale contesto si capisce come il fariseo ritenga gli altri « ladri, ingiusti, adulteri », rapaci, non osservanti del settimo e decimo comandamento; li consideri ingiusti, probabilmente in riferimento all’ottavo comandamento di «non testimoniare il falso»; li giudichi adulteri, in disaccordo con il sesto e il nono comandamento. Dall’alto della sua santità e della sua perfezione, guarda la massa delle persone, immerse in numerosi vizi e peccati, lui invece sta al sicuro. Li ritiene colpevoli senza avere l’autorizzazione di farlo, poiché il giudizio spetta solo a Dio; li ha trovati tutti peccatori senza possibilità di giustificazione e li ha condannati senza appello.

A tutto questo aggiunge un paragone più circostanziato e concreto: dice di non essere «neppure come questo pubblicano». Prende di mira il povero pubblicano e si sente superiore a lui; lo disprezza sinceramente. Non riesce a entrare nell’animo di costui, ma lo guarda come peccatore pubblico.

C’è una grande differenza tra un fariseo e un pubblicano; non vuole confondersi con questa razza di grossolani peccatori; ci tiene a ribadire che non è come quell’uomo. In realtà non lo è, non nel senso da lui inteso di essere superiore, al contrario di non essere giustificato e salvato come il pubblicano. Senza volerlo, dice la verità e svela la sua reale povertà interiore.

Persiste nell’enumerazione non più di ciò che non è, ma delle cose che ha fatto e continua a fare: « Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo  ». Non dice chi è, ma è attento a tutto il male che non ha effettuato e a tutto il bene che realizza. Fa sfoggio delle buone azioni che compie regolarmente, riafferma la sua fedeltà agli obblighi religiosi con una autogiustificazione compiaciuta: assolve puntualmente al dovere del digiuno e al pagamento delle decime.

Le azioni compiute dal fariseo sono in sé buone, ma lo spirito con cui le svolge è intriso di orgoglio e fa di quelle azioni un motivo di presunzione e di autosufficienza. Esse diventano così un’insidia per lui, che, sicuro di sé, si fa arrogante nei confronti degli altri e cieco verso i compiti voluti da Dio, soprattutto insensibile alle proprie debolezze e al bisogno di essere aiutato e salvato dal Signore.

 

L’ATTEGGIAMENTO DEL  PUBBLICANO

Al v. 13 l’attenzione si sposta sull’altro personaggio, il pubblicano. Costui faceva parte di quegli ebrei che avevano accettato di lavorare per l’invasore romano, svolgendo l’ufficio di esattori delle tasse. Avidi di lucro, servi del potere dominante, i pubblicani riscuotevano, oltre i soldi, molta antipatia, ostilità e disprezzo da parte della gente. Erano ladri e anche aguzzini.

Il fatto che un pubblicano osasse entrare nella casa dove abita la Presenza del Signore, in mezzo alla santa assemblea, costituiva un affronto a Dio e a tutto il popolo, in modo speciale alla purità del fariseo. Questi non poteva non accorgersi di quell’individuo malsano e disprez- zato, come probabilmente avranno fatto molti altri assieme a lui.

Il testo descrive il contegno del pubblicano:  « Il pubblicano invece, fermatosi a distanza… ». Sta in piedi, come il fariseo, però si ferma a distanza; percepisce la lontananza che lo separa da Dio, non ha la forza di avvicinarsi, sa di essere indegno per stare in quel luogo. Si pone lontano anche dagli altri fedeli, ai quali ha fatto del male. Consapevole delle sue miserie, se ne sta umile in disparte.

In secondo luogo è detto che «non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo». Con lo sguardo abbassato in terra per la vergogna, egli non ardisce contemplare il santuario, perché sarebbe un atto di vicinanza e di comunione con il Signore, di cui egli è immeritevole. Si sprofonda nella propria indegnità. Tuttavia non si tratta di un ripiegamento su se stesso, poiché il suo cuore è diretto verso Dio per chiedere misericordia.

In segno di pentimento e di dolore si batte il petto, la sede dei sentimenti del suo peccato. Questo proviene da lui solo; non si autogiustifica né incolpa gli altri. É lui che ha sbagliato, la colpa è tutta sua. Con tali gesti esterni egli vuole esprimere una profonda disposizione interiore alla contrizione.

Infine il pubblicano dirige al Signore una invocazione, ridotta all’essenziale: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». Con il cuore contrito e umiliato, di più veramente non sa dire, poiché davanti alla Presenza del Signore la parola viene meno. Del resto egli riconosce che nel suo caso le parole a nulla gioverebbero. Si rimette semplicemente a Dio, con la fiducia trepida che Egli scruta i cuori degli uomini e, se vuole, tutto perdona.

Si dichiara sinceramente  « peccatore». Non espone un elenco di opere buone o cattive, del male fatto o del bene schivato. Egli confessa il suo stato di vero peccatore, senza nascondimenti o mascheramenti o giustificazioni varie. Conosce anche la gravità del peccato, che può essere perdonato solo da Dio, perché solo Dio gli può concedere la riconciliazione. Il suo desiderio è quello di rappacificarsi con Dio. Nella preghiera cerca unicamente di ritrovare la comunione con lui.

 

L’ASPETTO ESTERIORE E I SENTIMENTI INTERIORI

Fatto curioso: un uomo, esternamente ruvido e moralmente senza scrupoli, dimostra un animo sensibile nel riconoscere il proprio peccato e disponibile al perdono divino. Mentre l’altro, il fariseo, ineccepibile nel comportamento religioso e sociale, nasconde una durezza  di cuore e una sicurezza di sé impressionanti.

Con il v. 14 Gesù offre una soluzione a questo enigma. Conclude severamente: « Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato ». Con una formula solenne, pronuncia una sentenza di grande valore, non solo per coloro che in quel momento lo ascoltavano, ma per tutti i discepoli, per gli uomini religiosi di tutti i tempi. Egli dichiara decisamente in che modo Dio valuti il comportamento degli uomini, diversamente da come venga giudicato dagli uomini stessi. Questi vedono l’aspetto esteriore, Dio esamina i sentimenti interiori. In questo modo si capisce quale debba essere l’atteggiamento umano giusto davanti a Dio.

Il contenuto della sentenza è anzitutto di assoluzione piena per uno dei due personaggi: il pubblicano discende dal tempio e torna a casa giustificato. Il Signore è propizio a lui peccatore sinceramene pentito e lo rende giusto, riammettendolo nella divina amicizia. Ne esce un uomo trasformato, santo, purificato, restituito alla vita di fede. La preghiera del misero è stata ascoltata da Dio, che dona a lui la totale salvezza.

 

NON C’E’ CONDANNA MA SOLO SILENZIO

Per quanto concerne il fariseo, Gesù non fa alcuna dichiarazione, non pronuncia neppure una condanna esplicita, neanche una risposta. Sottolinea soltanto la differenza di costui dal pubblicano. Si ha l’impressione che Dio sia impotente a dire o a fare qualcosa per il fariseo. Quest’uomo si allontana dal tempio e rientra a casa senza aver incontrato e voluto incontrare il Signore. Pensando orgogliosamente di essere giusto, compie effettivamente un atto di ingiustizia verso Dio, verso se stesso e verso il prossimo.

Gesù conclude affermando  che se uno si insuperbisce, ossia si vanta in modo vanaglorioso, Dio lo umilierà. All’opposto, se uno si umilia, Dio lo esalterà.

Ciò che conta è la verità di Dio e la sua giustizia, non il pensiero e il giudizio degli uomini.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

 

……..

Sono pigro anche con Te, Signore:

Ti vengo a trovare di rado,

e le mie preghiere

suonano stanche e ripetitive.

Sono pigro, in tutto.

Per natura, per negligenza forse,

e per la mia pesantissima fragilità.

Ma ti assicuro, Padre,

che non lo faccio apposta:

io non vorrei essere così.

 

A questa pigrizia dilagante

oppongo, di tanto in tanto,

qualche slancio

di autentico affetto

e di sincera devozione.

Forse non basta.

Forse è poco.

Ma è questa la sola cosa

di cui sono capace.

E so che per Te conta.

Anche se è poco. Anche se è niente.

 

(Eric Pearlman – Un minuto con Dio)

 

 

(Eric Pearlman – Un minuto con Dio)

 

 

 

 

 

 

 

 

CONTEMPLATIO Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente, 

nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti

i secoli dei secoli.  Amen

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.   Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!  Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...   Arrivederci!                                                                   

 

(tratto da Lectio sul Vangelo di Luca proposte in parrocchia)

                    

 

                                    ==========================================================