RITIRO ON LINE                                                                      
maggio
  2010  

 

Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.

Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.

 

Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.

Ho detto al Signore: «Il mio Signore sei tu,

solo in te è il mio bene».

Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:

nelle tue mani è la mia vita.

Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi:

la mia eredità è stupenda.

Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;

anche di notte il mio animo mi istruisce.

Per questo gioisce il mio cuore

ed esulta la mia anima.

Mi indicherai il sentiero della vita,

gioia piena alla tua presenza,

dolcezza senza fine alla tua destra.

  (dal Salmo 16)

 Veni, Sancte Spiritus

Veni, per Mariam.

   

LECTIO     Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano dal Vangelo di Luca  (Lc 15, 25-32)   -   (terza parte)

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”»..      Parola di Dio.

 

MEDITATIO                  Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: “Il Grande Silenzio”! Il protagonista è lo Spirito Santo.

Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza.

Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarsi plasmare dal suo stesso "cuore".

 

Approfondimento del testo

 Il figlio maggiore si trovava nei campi. (v. 25)

II campo è il luogo dove si lavora il suolo, dove l'uomo nella fatica del proprio sudore si procura il cibo quotidiano. Se da un lato è la fatica del campo che fa sperimentare all'uomo tutta la sua dimensione di creatura, dall'altro lo inebria nella sensazione di essere padrone, creatore. Proprio per questo motivo nella Bibbia troviamo sia i campi che biondeggiano, pronti per la mietitura, sia i campi come luogo di violenza, scenario di battaglia. Anche Caino lavorava nei campi ed è stato travolto da una specie di gelosia. Anche il figlio maggiore torna a casa con una predisposizione interiore simile, così che appena i suoni della musica e delle danze della festa di casa lo raggiungono si arrabbia.

C'è uno stato nell'uomo che lo assorbe completamente nel suo mondo, nei suoi pensieri, dove si consolida il sentimento di essere a posto, giusto, meritevole di riconoscimento. E’ un at­teggiamento che può essere sperimentato frequentemente, ma che tuttavia è sintomo di chiusura, di isolamento. È una predisposizione dell'anima che impedisce non solo una retta comprensione degli eventi, ma anche di se stessi. La reazione che scaturisce da questa predisposizione consiste in genere nel sentirsi importunati dagli altri, disturbati. Per questo ci si arrabbia, si controbatte, e si cercano le autodimostrazioni, le autoaffermazioni. È un atteggiamento piuttosto statico, che impedisce di adattarsi, di essere flessibili, di relazionarsi.

 

Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha  riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. (vv. 25-28)

Si verifica il radicalizzarsi dell'atteggiamento negativo del figlio in un isolamento sempre più esplicito. C'è festa, ci sono danze, cibi squisiti, musica... lui si trova vicino a tutto questo, vicino a casa, ma non vuole entrare. C'è il fratello che è tornato e il padre che lo festeggia.

Quale è l'atteggiamento dell'uomo che non gli permette di gioire del bene dell'altro? Come mai è così faticoso entrare nella festa altrui? Tante volte nella Bibbia si trova l'invito di venire alla festa, di partecipare al banchetto, ma spesso le parabole di Gesù che parlano dei banchetti e delle feste si concludono con una certa durezza verso coloro che si ostinano a non prenderne parte perché hanno difficoltà a gioire con l'altro, a rallegrarsi del bene dell'altro. Si tratta di coloro che non sono ancora penetrati dall'amore, che non sono ancora entrati nella logica dell'amore e della misericordia. Chi ha sperimentato il perdono, chi ha sentito il gesto della misericordia, chi ha vissuto un bene che gli è arrivato come dono immeritato, comprende il bene dell'altro, comprende il ritorno del peccatore e prende parte alla festa del padre. Una persona che non percepisce se stesso come essere fondato sull'amore non ha la possibilità di vedere il bene e di gustarlo: è l'esempio del figlio maggiore che considera più importanti tante cose piuttosto che il ritorno del fratello sano e salvo.

Il figlio maggiore, che sembra un uomo di lavoro, sottomesso alle regole, alla fatica quotidiana, si rivela adesso anch'egli un "dissoluto", cioè un disordinato, perché davanti alla festa del padre che ha riavuto il figlio non vuole entrare, non vuole prendere parte ad una gioia che dovrebbe essere anche sua perché ha riavuto il fratello sano e salvo. Si percepisce in questo gesto che lui non vive secondo l'ordine della salvezza, cioè nella relazione padre-figlio-fratelli, ma ritiene più importante qualche altra cosa che gli impedisce di entrare nella casa, cioè di entrare da salvo, da redento.

La fine di questa parabola è segnata da un crescendo di drammaticità: la casa si riempie di festa per il figlio minore, per il libertino che si è distrutto nel suo progetto di autorealizzazione, ma allo stesso tempo rimane fuori dalla casa il fratello che sembrava “a posto”. Si sta rivelando il fatto che il padre, nonostante la duplice discendenza, non aveva neanche un vero figlio. Uno di questi se n'è andato, l'altro ha vissuto a casa come un servo, estraneo ai sentimenti del padre. Il figlio minore diventa servo perché si è ribellato al padre identi­ficandolo con il padrone, l'altro si è sempre considerato tale, un onesto garzone. Ma è il rientro del primo a smascherare la verità dell'altro.

Si svela che il problema del figlio maggiore è prevalen­temente intellettuale: è intestardito nella sua mentalità, nel suo modo di vedere e giudicare le cose. La persona testarda difende i propri pensieri, atteggiamenti, perché nel profondo sa che si tratta di pensieri e atteggiamenti suoi, e perciò li deve difendere. La persona con una chiusura preconcetta verso il nuovo è una persona di sistemi e strutture, di abitudini e schemi consolidati. Mentre chi percepisce la propria identità soprattutto nell'essere d'amore è una persona dell'estasi, che scopre le proprie capacità e tutta se stessa all'interno di un relazionarsi d'amore. Una persona così non si intestardisce, perché la sua intelligenza è un'intelligenza dinamica, che si realizza nel riconoscimento dell'altro. Ha una capacità di pensare nel paradigma nella pasqua, nell'esodo: si tratta cioè di uscire da se stessi, di liberarsi dalle proprie necessità e dai propri bisogni, di incamminarsi verso l'altro, di orientare se stessi radicalmente verso l'altro. Nell'alleanza Dio educa l’uomo ad avere una mente aperta, un'intelligenza che non si chiude mai perché sempre pronta al riconoscimento di Dio. Nel figlio maggiore è proprio questa dimensione ad essere del tutto assente: non riesce a vedere al di là degli orizzonti del proprio io, rinchiuso all'interno degli schemi della sua mentalità di lavoro, di fatica, di osservanza, di paragoni, di presunzione di meriti.

Ed è per questo che il padre fa un altro gesto straordinario, tentando l'impossibile per coinvolgere il figlio testardo, per farlo uscire dalla sua chiusura: il padre allora uscì a pregarlo (v. 28). Di nuovo il padre è raffigurato in un'immagine di amore e di misericordia: l'amore soffre sempre per l'assente, per chi è lontano. È il padre che esce dalla sua casa, che lascia la festa e va dal figlio che ancora non conosce se stesso come tale. Abbiamo un momento di vera teologia della paternità: la rivelazione del padre che soffre per l'insistenza del figlio nel suo atteggiamento servile e isolato, senza partecipare all'abbondanza dell'amore. Il padre, commosso, supplica il figlio di entrare nell'amore. Proprio in questa immagine possiamo vedere ciò che si ripete dall'inizio della Bibbia fino alla fine. L'uomo è costantemente tentato di scegliere altre vie, altri concetti, altri propositi per compensare il mancato riconoscimento del vero padre. Infatti, l'uomo si è creato tanti idoli, tanti sistemi filosofici, tante deviazioni pur di non entrare nella logica dell'amore, di non progredire con una mente d'amore.

Il figlio maggiore è un'immagine sorprendentemente contraddittoria: è infatti un "credente-ateo”. Sembra un uomo religioso, ma in effetti non crede, non ha un atteggiamento di riconoscimento dell'altro. Non esce infatti fuori dai propri schemi mentali. Quanto può essere tragico l'inganno nella vita spirituale quando si pensa di avere una mentalità perfetta, di essere giusti, ma non ci si relaziona con la Persona di Dio. Il rischio di ogni fede è di mistificare Dio a tal punto da perderlo di vista, fino a restare occupati solo con delle dottrine. Quando si diventa schiavi delle proprie regole, sia pure sacrosante, non si sa più vivere, si perde il nesso con la vita, quella normale che vivono tutte le persone.  Si rimane facilmente soli, chiusi dentro ai palazzi di cristallo dei sistemi, delle abitudini, delle regole prestabilite.

 

Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. (vv. 29-30)

Il figlio rivela la sua coscienza di se stesso come servo, si appoggia sul fatto che serve regolarmente, fedelmente, e che di suo padre non ha sprecato proprio niente se non ciò che il padre gli ha dato, cioè neanche un capretto per divertirsi con gli amici. Una religione servilista è come un pugno di sabbia negli occhi: fa immaginare di essere a posto invece di portarci ad ammettere di non vedere. Qui il figlio maggiore rivela di avere fondamentalmente la stessa identità del figlio ribelle: anche se in modo camuffato, si tratta di un figlio testardo che sta perseguendo il suo volere. Si tratta di un uomo rinchiuso nel suo mondo, con delle pretese, con dei sogni repressi, con dei desideri non realizzati, ma secondo lui meritatamente coltivati. Poiché all'interno del suo mondo è ligio alle regole del lavoro, si ritiene in diritto di coltivare i suoi desideri, i suoi progetti, le sue attese. Rivela così avere una mentalità mercantile, proprio agli antipodi della mentalità dell'amore. Il padre non gli ha dato un capretto per festeggiare con gli amici perché condivide con lui tutto il patrimonio. Il figlio maggiore non ha percepito che ciò che è del padre è suo perché non ha ancora capito che ha un padre. Osserva i comandi, le leggi e per questo gli è dovuto tutto ciò che desidera. Una religione basata su una mentalità servile e di pura osservanza è fondamentalmente un pretesto per coltivare un amor proprio e l'affermazione della propria volontà.

 

Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo;  (v. 31)

    Il figlio maggiore sottolinea di non aver sprecato niente di ciò che è del padre, contrapponendosi al figlio minore che ha sperperato tutti i tuoi averi. Ciò che il padre gli risponde è così sconvolgente che ci vuole una vita per comprenderlo: che cosa vuol dire per noi cristiani che tutto ciò che è del Padre è nostro? Il figlio minore ha preso le cose che gli appartenevano ed è rimasto senza niente. Ma, ritrovando il padre, riscopre le cose che davvero lo rendono figlio e gli danno il potere del figlio. Il figlio minore sta ora a casa in mezzo alle ricchezze, ai canti, alle danze perché arrivando al nulla delle sostanze è risalito al volto del padre, nel cui abbraccio ha ritrovato tutto. Ormai certamente non ragiona più secondo le categorie di ciò che è suo e di ciò che non lo è.

Il figlio maggiore insiste invece ancora sulle cose, ha ancora una logica reificata. E ciò che gli sta dicendo il padre rimane per lui probabilmente qualcosa di incomprensibile. Ciò che è del Padre è del Figlio. Questa è un'affermazione sulla quale viene basata gran parte della cristologia. Chi vede il Figlio vede il Padre, poiché Lui e il Padre sono una sola cosa. In Cristo, inseparabilmente unito al Padre, anche noi partecipiamo a ciò che è del Padre.

 

ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato  (v. 32)

Il padre, vedendo il figlio preoccupato per le cose, cerca di fargli comprendere che ciò che è importante è il fratello ritrovato, che la sua gioia è grande perché ha riabbracciato un figlio che credeva perduto, ma che questa gioia si compirà quando anche il figlio maggiore gioirà per il fratello ritrovato. Il padre si affretta a spiegargli che la sua preoccupazione per le cose è vana, dato che tutto ciò che è del padre gli appartiene. Il desiderio fondamentale del padre è infatti quello di avere figli e non servi. Perché solo così il padre è tale e la sua casa è una vera casa, quando i fratelli vi si ritrovano.

Ma la parabola non dice se il figlio è entrato. Non dice se la commozione misericordiosa del padre è riuscita a convincere il figlio di riconoscersi come tale di fronte al padre e come fratello accanto al figlio minore. In questo senso la parabola finisce in tutta serietà. Dio non può forzare l'uomo a tornare a Lui e vivere con Lui, non può forzare neanche ad amare gli altri. Questa è piuttosto una perenne tentazione della mente umana: definire il bene e imporlo a tutti, costringere tutti a fare lo stesso. Ma la dittatura del bene è la negazione dell'amore. Il bene supremo è l'amore e l'amore esiste solo all'interno della libera adesione. E la libera adesione implica un pensiero aperto, dinamico.

Dio Padre si rivela nel Figlio come amore assoluto. Ma proprio perché Dio Padre è un amore che riconosce così radicalmente gli uomini fino alla possibilità che essi lo rifiutino, Lui si può rivelare nella sua verità come amore folle. Ed è così che si rivela che l'amore, anche se muore, vive, anche se calpestato, brilla e splende come il sole.

 

    

ORATIO    Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

 

Ti lodo e benedico il tuo nome, o Gesù

e con grande commozione ti rendo grazie

perché attraverso la tua vita e le tue parole

mi riveli il volto e il cuore di Dio Padre.

Signore, in me convivono tutti e due i figli di cui parli.

A volte sono come il figlio maggiore

che ragiona come se la fedeltà fosse un peso

e la vita con te, una fatica.

Così io vivo con te senza vederti come Padre,

lavoro con te senza gioirne.

La mia fede è ossequio rispettoso,

ma non mi fa esplodere di gioia.

O Gesù, contemplo il volto del Padre

e,tra incredulità e commozione, mi chiedo:

“Dio è così? Ama così tanto?”.

Signore, fa che non mi allontani mai più da te.

Per sempre racconterò a tutti l’amore che hai per me

perché, se grande è il mio peccato e la mia stupidità,

più grande ancora è la tua misericordia.

 (d. Canio Calitri)

 

 

 

 

 

 

CONTEMPLATIO        Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.

 È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo

a te, Dio Padre Onnipotente,

nell’unità dello Spirito Santo,

ogni onore e gloria

per tutti i secoli dei secoli.

AMEN

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questo brano, quello che mi ha colpito di più nella meditatio, che ho ripetuto nell’oratio, che ho vissuto come adorazione e preghiera silenziosa nella contemplatio e adesso vivo nell’actio.

 

        Riflessione pratica, molto spicciola, buona per una ACTIO "feriale".

Ho riflettuto e pregato sul mio "essere figlio" ed "essere fratello". Devo riflettere, però, anche sul mio "essere padre/madre" perché dal mio modo di pormi nei confronti dei miei "figli" (siano essi "figli naturali" o "figli spirituali"), essi potranno percepire (o non percepire, o percepire in modo sbagliato...) il mio amore "paterno/materno".

 - Sono attento a far capire ai miei "figli" che io li amo? Li amo non solo di un amore spirituale, ma anche e concretamente di un amore umano caldo,       sensibile, tangibile, visibile?

                - Sono attento ad offrire loro le mie attenzioni e i miei ringraziamenti (quanto è difficile ringraziare, per chi pensa di occupare un gradino un pò più alto...)?

                - Sono sensibile ai loro bisogni non solo materiali e spirituali ma anche affettivi e, perché no, ludici e ricreativi?

                - Si fa "festa" e si "danza" a casa mia? Le vacanze sono progettate sul mio gusto, o tengono conto anche dei bisogni diversi dei ragazzi?

 - Sono attento a prevenire le loro "fughe" e le loro "rimostranze" (le cui avvisaglie spesso sono evidenti da tempo),  concedendo  con gradualità la fiducia e la libertà richiesta?

- Faccio il possibile per insegnare loro l'uso responsabile del denaro e dei beni terreni, dandone l'esempio io per primo?

- La mia vita è concreto esempio di rispetto e attenzione per tutte le persone?

 

Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!

Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

 

Arrivederci!

 

(spunti da un ritiro quaresimale proposto alla comunità parrocchiale)

 

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Maria, donna del primo passo

(tratto da: don Tonino Bello – “Maria, donna dei nostri giorni”)

  

 

 Al primo capitolo del suo vangelo, Luca dice che, partito l'angelo da Nazaret:

Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.

Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta”

Nel testo originale greco dopo la parola Maria, c'è un participio: «anastàsa». Letteralmente significa, appunto: «alzatasi». A ben guardare la parola «anastàsa» ha la stessa radice del sostantivo «anàstasis», il classico vocabolo che indica l'avvenimento centrale della nostra fede e, cioè, la risurrezione del Signore. Sicché potrebbe essere tradotta tranquillamente con «risorta».

E allora, tenuto conto che Luca rilegge l'infanzia di Gesù alla luce degli avvenimenti pasquali, si può pensare che voglia alludere a Maria come simbolo della Chiesa «risorta» che, “in tutta fretta”, si muove a portare lieti annunci al mondo.

Forse si può affermare che sotto quella parola “anastàsa” si condensi il compito missionario della Chiesa la quale, dopo la risurrezione del Signore, ha il compito di portare nel grembo Gesù Cristo per offrirlo agli altri, come appunto fece Maria con Elisabetta.

La parola «anastàsa» sta, comunque, a sottolineare una cosa: la risolutezza di Maria. È lei che decide di muoversi per prima: non viene sollecitala da nessuno. È lei che s'inventa questo viaggio: non riceve suggerimenti dall'esterno. E’ lei che si risolve a fare il primo passo: non attende che siano gli altri a prendere l’iniziativa.

Dall’accenno discretissimo dell'angelo, ha avuto la percezione che la sua parente doveva trovarsi in serie difficoltà perciò, senza frapporre indugi e senza stare a chiedersi se toccava a lei o meno dare inizio alla partita, ha fatto bagagli, e via! Su per i monti di Giudea. «In fretta», per giunta, come traduce qualcuno, “con preoccupazione”.

Ci sono tutti gli elementi per leggere, attraverso questi rapidi spiragli verbali, lo stile intraprendente di Maria. Senza invadenze. Stile confermato del resto, alle nozze di Cana quando, dopo aver intuito il disagio degli sposi, senza essere da loro pregata, giocò la prima mossa e diede scacco.

Santa Maria, donna del primo passo, ministra dolcissima della grazia preveniente di Dio, «alzati» ancora una volta in tutta fretta, e vieni ad aiutarci. Abbiamo bisogno di te. Non attendere la nostra implorazione. Anticipa ogni nostro gemito di pietà. Prenditi il diritto di precedenza su tutte le nostre iniziative.

Quando il peccato ci travolge e ci paralizza la vita, non aspettare il nostro pentimento. Previeni il nostro grido d'aiuto. Corri subito accanto a noi e organizza la speranza attorno alle nostre disfatte. Se non ci brucerai sul tempo, saremo incapaci perfino di rimorso. Se non sarai tu a muoverti per prima, noi rimarremo nel fango. E se non sarai tu a scavarci nel cuore cisterne di nostalgia, non sentiremo più neppure il bisogno di Dio.

Santa Maria, donna del primo passo, chi sa quante vol­te, nella tua vita terrena, avrai stupito la gente per avere sempre anticipato tutti gli altri agli appuntamenti del perdono. Chi sa con quale sollecitudine, dopo aver ricevuto un torto dall'inquilina di fronte, ti sei «alzata» per prima e hai bussato alla sua porta, e l'hai liberata dal disagio, e non hai disdegnato il suo abbraccio. Chi sa con quale tenerezza, nella notte del tradimento, ti sei «alzata» per raccogliere nel tuo mantello il pianto amaro di Pietro. Chi sa con quale batticuore sei uscita di casa per distogliere Giuda dalla strada del suicidio: peccato che non l'abbia trovato. Ma c'è da scommettere che, dopo la deposizione di Gesù, sei andata a deporre dall'albero anche lui, e gli avrai composte le membra nella pace della morte.

Donaci, ti preghiamo, la forza di partire per primi ogni volta che c'è da dare il perdono. Rendici, come te, esperti del primo passo. Non farci rimandare a domani un incontro di pace che possiamo concludere oggi. Brucia le nostre indecisioni. Distoglici dalle nostre calcolate perplessità. Liberaci dalla tristezza del nostro estenuante attendismo. E aiutaci perché nessuno di noi faccia stare il fratello sulla brace, ripetendo con disprezzo: tocca a lui muoversi per primo!

Santa Maria, donna del primo passo, esperta come nessun altro del metodo preventivo, abile nel precedere tutti sulla battuta, rapidissima a giocare d'anticipo nelle partite della salvezza, gioca d'anticipo anche sul cuore di Dio. Sicché, quando busseremo alla porta del cielo, e compariremo davanti all'Eterno, previeni la sua sentenza. «Alzati» per l'ultima volta dal tuo trono di gloria  e vieni incontro a noi. Prendici per mano, e coprici col tuo manto. Con un lampo di misericordia negli occhi, anticipa il suo verdetto di grazia. E saremo sicuri del perdono.

Perché la felicità più grande di Dio è quella di ratificare ciò che hai deciso tu.