RITIRO ON LINE                                                                                                   
marzo
2011  

 

Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.   Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.

Quando t’invoco, rispondimi, Dio della mia giustizia!

Nell’angoscia mi hai dato sollievo;

pietà di me, ascolta la mia preghiera.

Fino a quando, voi uomini, calpesterete il mio onore,

amerete cose vane e cercherete la menzogna?

Sappiatelo: il Signore fa prodigi per il suo fedele;

il Signore mi ascolta quando lo invoco.

Tremate e più non peccate,

nel silenzio, sul vostro letto, esaminate il vostro cuore.

Offrite sacrifici legittimi e confidate nel Signore.

Molti dicono: «Chi ci farà vedere il bene,

se da noi, Signore, è fuggita la luce del tuo volto?».

Hai messo più gioia nel mio cuore

di quanta ne diano a loro grano e vino in abbondanza.

In pace mi corico e subito mi addormento,

perché tu solo, Signore, fiducioso mi fai riposare.

(dal Salmo 4)  

Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

 

I Poveri - II volto del povero: appello e richiesta di giustizia 

II povero: un volto familiare, forse fin troppo, al punto da diventare tristemente consueto. Un volto che chiede di essere riscoperto, attraverso le pagine del Deuteronomio, come appello alla giustizia possibile.

 

    

  

 

 

 

 

 

LECTIO   Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano che mi viene proposto.      (Deuteronomio 15,7-11)

 

7Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso in una delle tue città nella terra che il Signore, tuo Dio, ti dà, non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso, 8ma gli aprirai la mano e gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova. 9Bada bene che non ti entri in cuore questo pensiero iniquo: “È vicino il settimo anno, l’anno della remissione”; e il tuo occhio sia cattivo verso il tuo fratello bisognoso e tu non gli dia nulla: egli griderebbe al Signore contro di te e un peccato sarebbe su di te. 10Dagli generosamente e, mentre gli doni, il tuo cuore non si rattristi. Proprio per questo, infatti, il Signore, tuo Dio, ti benedirà in ogni lavoro e in ogni cosa a cui avrai messo mano. 11Poiché i bisognosi non mancheranno mai nella terra, allora io ti do questo comando e ti dico: “Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nella tua terra”.

Parola di Dio

 

 

 

 

 

 

MEDITAZIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio !   Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza.

Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".

 

Per entrare nel testo

Siamo di fronte a una di quelle sezioni della Scrittura che non incrocia i nostri usuali itinerari di lettura: il codice legislativo deuteronomico (dal cap.12 al 26) contenente una serie di disposizioni lontane dalla nostra sensibilità, contrastanti con i moderni principi che fondano i più elementari diritti umani.

Rovesciando la prospettiva, possiamo tuttavia affermare che il lettore della Scrittura, convocato dalla Parola nella sua interezza, è chiamato a trovare e discernere un senso più profondo in queste pagine, un significato che chiede di superare la lettera, per attingere allo spirito contenuto in tali parole, così da lasciarsi interpellare e scoprire come questa parola di Dio, di primo acchito insignificante o addirittura irritante per le nostre orecchie, abbia ancora oggi a che fare con il nostro vissuto.

Ci troviamo nella sezione centrale del codice deuteronomico riguardante la remissione del debito, la schiavitù e le feste, cui seguono testi che disciplinano l'esercizio dell'autorità in Israele. II nostro passo, in particolare, è strettamente collegato ai versetti riguardanti la remissione.

 

Il povero: volto che ci interpella

II testo si apre con un immediato riferimento alla presenza di un altro, diverso dall'israelita destinatario della norma, un altro che si trova insieme a lui: Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso. Un "altro" è il bisognoso e, in quanto tale, non si colloca sullo stesso piano dell'interlocutore cui il testo si rivolge; la motivazione di questa presenza, e al contempo di questa differenza, è chiaramente una disparità nella distribuzione dei beni.

Il termine bisognoso, infatti, nell'Antico Testamento fa riferimento a chi, materialmente, si trova in condizioni di indigenza, a chi non possiede terre né raccolto e spinto da difficoltà economiche insormontabili giunge addirittura a rendersi schiavo per poter così saldare il suo debito; la condizione drammatica del bisognoso è descritta da 1 Sam 2, 8 come un giacere nell'immondizia, da cui il Signore solleva (Sal 113, 7).

Ancora più tragicamente il bisognoso è colui il cui diritto è violato e calpestato senza posa dai potenti (Ezechiele; Amos) dal momento che egli, nella sua situazione di estrema debolezza, non ha alcuna possibilità di difendersi in tribunale (per questo motivo Dio stesso si fa garante del diritto del povero, Sal 109, 31; 140, 13).

Egli viene tratto in inganno e distrutto dalla menzogna del disonesto («II disonesto progetta scelleratezze per sopprimere i poveri con parole menzognere», Isaia), è venduto dal ricco per un niente, per «un paio di sandali», come ci ricorda Amos; il sopruso giunge fino alla sua uccisione («Perfino sui lembi della tua veste si trova il sangue di persone povere, innocenti», Geremia).

Proverbi descrive attraverso un'immagine drammatica la relazione del potente, di chi si trova in una condizione di superiorità, nei confronti del debole e del povero:

«C'è una generazione che ha gli occhi alteri e sguardi superbi;

 una generazione: spade i suoi denti e coltelli da macellaio le sue mandibole, 

per divorare i deboli via dalla terra, 

per divorare i poveri e farli scomparire di mezzo agli uomini»

 

Il testo è terribilmente drammatico, attuale e allo stesso tempo preciso: per indicare la distruzione, l'annientamento, si poteva parlare di spade e coltelli nelle mani; l'immagine sarebbe stata forse più congruente. Invece è la bocca a contenere coltelli e spade; si fa dunque riferimento alla metafora del mangiare. Entriamo dentro l'immagine: i denti permettono di triturare ciò che si vuole assimilare, fino a che non sia privato della sua propria forma, fino a che non sia più identificabile, per poterlo così sfruttare fino all'ultimo, assimilarlo e distruggerlo.

 

Questo meccanismo è messo in atto nei confronti dei deboli, sfigurati e resi irriconoscibili; questo permette la tutela del potente, di chi opprime, perché una volta che l'oppresso non è più individuabile, nessuno potrà levare la voce e denunciare l'abuso.

Non solo i poveri sono resi irriconoscibili, ma sfruttati fino in fondo: l'oppressore assorbe, succhia da loro ciò che gli serve per vivere, inglobando il debole e cancellandolo dalla terra.

Tornando al nostro testo biblico, il tema centrale che siamo spinti ad affrontare da subito, senza giri di parole, è proprio quello della giustizia, definibile non semplicemente come «dare a tutti la stessa cosa», e neanche come «dare a ciascuno il suo»; la giustizia si configura nel testo chiaramente come una relazione tra due soggetti (l'interlocutore e il «bisognoso in mezzo a te»). Si vede, inoltre, che la questione della giustizia non consiste meramente nel rapporto di un individuo con i beni, ma piuttosto nella relazione che egli ha con gli altri per mezzo di questi beni, considerati dall'Antico Testamento fonte e segno di benedizione.

La relazione che il testo ci presenta è palesemente asimmetrica; ciò nonostante si parla di qualche tuo fratello. Fin dall'inizio, si intende chiarire che il bisognoso è come l'israelita; è «uno dei tuoi fratelli», cioè uno che appartiene alla stessa tua carne, uno nel quale è possibile contemplare il riflesso dell'immagine di un padre comune. Tuttavia, nella relazione con il bisognoso può accadere che le differenze siano talmente ampie ed evidenti che non si percepisca più il pregio inestimabile della somiglianza; essa è come celata dalla diversità, quasi nascosta da un'alterità che sembra insuperabile. Il testo viene a ricordarci incisivamente un'uguaglianza, troppo spesso dimenticata.

L'indigente è collocato in una delle tue città, alla lettera in «una delle tue porte». La porta non deve essere intesa semplicemente come un luogo di passaggio che consentiva l'ingresso alla città; nell'antichità, essa era il luogo "dell'azione", dove si svolgevano importanti attività: alla porta, infatti, si commerciava e si amministrava la giustizia, eventi questi caratterizzati in modo particolare da una possibile ambiguità.

Il commercio, ad esempio: un'attività in sé buona, necessaria per il funzionamento sociale, che può trasformarsi in un momento privilegiato di frode e ladrocinio, come ci ricordano i profeti Amos e Michea.

Allo stesso modo l'amministrazione della giustizia, pervertita dall'interno nel momento in cui viene condannato a morte l'innocente, il debole e l'indifeso senza che egli possa opporre resistenza.

Dove sta allora il bisognoso? Egli è collocato nello spazio dell'azione, la porta appunto, là dove è possibile agire; allo stesso tempo egli si trova in una situazione di attesa, su una soglia, luogo in cui può ricevere giustizia o ingiustizia, difesa o oppressione. Il povero non chiede, ma interpella con la sua presenza, con il suo silenzio mette in questione ogni forma di possesso.

All'interlocutore, interrogato dal volto del bisognoso, il testo ricorda che egli stesso è oggetto di una speciale benevolenza divina: ha ricevuto la terra in dono dal Signore (nella terra che il Signore tuo Dio ti da). Questo donare di Dio dovrà servire da modello nella relazione con il fratello bisognoso.

La menzione del dono della terra, inoltre, rimanda all'evento dell'Esodo, nel quale tutti gli israeliti hanno ricevuto la libertà. È evidente, dunque, che l'accadimento originario di un popolo, il momento fondatore che determina la sua nascita, rimane vuoto se non si realizza nella storia, se non si concretizza nella consapevole decisione di ogni singolo che può a sua volta liberare; ciascuno ha così la possibilità di portare a termine e compiere nella storia l'azione di Dio, quell'intervento liberatore a cui solo la generazione dell'esodo aveva assistito.

 

La giustizia possibile

Una volta delineata la presenza del fratello bisognoso e la relazione di giustizia che egli con la sua presenza domanda, il testo descrive in cosa consista questa giustizia.

Non indurirai il tuo cuore. Il cuore è per l'uomo biblico il centro della persona, il luogo del sentimento, ma più ancora della decisione. Il cuore indurito è associato, prima di tutto, alle orecchie: un cuore indurito, infatti, impedisce l'ascolto; evidentemente il volto del bisognoso chiede di essere “ascoltato”. L'ascolto è il primo passo verso l'altro. Per ascoltare, però, è necessario in una certa misura dimenticarsi, non mettersi al centro, con umiltà e serena consapevolezza di sé: il cuore indurito è esattamente l'opposto dell'atteggiamento di chi si umilia, di chi è capace di ritorno, di un avvicinamento verso l'altro. L'indurimento del cuore, infatti, porta a vagare per le proprie strade, quasi in solitudine, senza possibilità di incontro e relazione.

Il cuore duro è il cuore che tiene schiavo. Nel racconto della liberazione dall'Egitto, il faraone è descritto più volte come un uomo dal cuore indurito e ostinato che decide di tenere schiavo un popolo.

Non chiuderai la mano. Il cuore irrigidito che trattiene la libertà dell'altro, rendendolo schiavo, porta come conseguenza la mano chiusa. Certamente si chiude la mano per non dare, ma la mano rimane chiusa anche per colpire e per trattenere per sé, per non lasciar andare, per non lasciare libero. Ancora una volta la parola di Dio unisce strettamente giustizia e liberazione.

Ma gli aprirai la mano. Al contrario, si apre la mano sia per donare, che per lasciar cadere il proprio diritto su qualcosa, rinunciando al proprio legittimo interesse su ciò che si è prestato; aprire la mano è un gesto di resa di fronte all'altro, di abbandono delle difese (simboleggiate dalla durezza del cuore). Si apre la mano non per colpire, ma per accarezzare, per prendersi cura, e soprattutto si apre la mano per lasciare libero, per lasciar andare.

Attraverso questo gesto, si riflette vivida nell'uomo l'immagine di Dio che, con mano potente, libera Israele dall'Egitto e dona la terra; a ragione dunque nei Proverbi si afferma: «Chi opprime il povero offende il suo creatore».

Così prosegue il testo: gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova. La legislazione deuteronomica comanda il prestito, non tanto il dono o l'elemosina, come l'azione fondamentale che indica apertura e relazione verso l'altro. Va chiarito che il prestito è senza interesse e si prevede la rinuncia a ogni diritto sul prestito ogni sette anni, con la precisa intenzione di evitare l'accrescersi della povertà.

Attraverso il prestito ci si relaziona con il fratello mettendo in primo piano la sua responsabilità di adulto; allo stesso tempo vengono stimolate la sua creatività, le sue capacità, a cui egli dovrà attingere per poter restituire quanto ricevuto.

Con l'istituto del prestito è possibile, inoltre, instaurare una relazione di reciprocità che si snoda nel tempo, ciò che non si verifica con il semplice dono, con l'elemosina, per cui la relazione si esaurisce nel momento stesso in cui comincia. Chi presta si priva di qualcosa che poi, in seguito, potrà ricevere di nuovo come dono; ecco la reciprocità, significata dalla mano aperta per prestare, e allo stesso modo aperta per accogliere di nuovo qualcosa in dono.

 

Le resistenze alla giustizia e il grido del povero

Se il Signore da un comando insistente sul dare (sia in forma negativa: «non indurirai il tuo cuore», «non chiuderai la tua mano», sia in forma affermativa: «aprirai la tua mano», «gli presterai quanto gli manca»), significa che il movimento interiore che porta a riconoscere il volto dell'altro che ci interpella, quel movimento che conduce a rispettare la sua libertà e a promuoverla, non è immediatamente spontaneo, tutt'altro! Ciò è terribilmente vero, al punto tale che al centro del nostro testo e dell'esortazione si collocano proprio le riluttanze del cuore.

Evidentemente il volto del bisognoso, del debole, dell'oppresso è una sfida decisiva, dal momento che ogni tipo di resistenza e di risorsa per evitare l'incontro e la relazione con lui, quasi istintivamente, si attiva. Bada bene che non ti entri in cuore il pensiero iniquo. Il pensiero iniquo nel cuore impedisce l'ascolto del volto del bisognoso, anche perché egli non parla, semplicemente "sta davanti" e richiama con la sua presenza.

Se prima il testo ci aveva descritto il cuore indurito, quello che palesemente, senza mezzi termini, rifiuta una relazione, adesso ci mostra il cuore cattivo, quello che rimugina, nascondendo un atteggiamento ancora più ingiusto e iniquo.

La situazione che si annida di nascosto nel cuore e che qui si descrive è ben più grave della mano chiusa: è vicino il settimo anno, l'anno della remissione. Il momento scelto da Dio per la liberazione (l'anno della remissione), affinché non ci siano più poveri nel Paese, affinché le differenze vengano azzerate e si possa, in un certo senso, ripartire da capo, viene pervertito e snaturato dal cuore cattivo e diventa esso stesso motivazione ragionevole per non liberare, non compiere il bene.

Questo progetto del cuore, che rimane accuratamente occultato, passa attraverso un occhio cattivo (e il tuo occhio sia cattivo). L'occhio misura, valuta, prende le distanze, conta (in questo caso che l'anno della remissione è vicino); ciò che si vede diventa la capacità di valutazione oltre alla quale non si riesce più ad andare. L'occhio cattivo è l'occhio avaro: siamo di fronte alla brama di possedere e trattenere tutto, non solo nel presente, ma anche nel futuro.

E il calcolo, unito alla cupidigia, inevitabilmente porta a non dare, a non liberare, sfigurando l'immagine e la somiglianza con quel Dio che dona. Il libro del Siracide ricorda che l'anima dell'avaro e del calcolatore è inaridita, non più feconda e portatrice di vita, ma solo di morte e sterilità.

Di fronte alla prevaricazione anche il povero, fino ad ora senza voce, grida al Signore chiedendo giustizia: egli griderebbe al Signore contro di te. Questa richiesta del povero ci rivela che il calcolo, il trattenere per sé, è un'opera di ingiustizia tanto quanto l'oppressione "attiva" nei confronti dell'indigente: di fronte a tutti e due gli abusi egli grida a Dio chiedendo che il suo diritto violato venga ristabilito.

Si prospettano le conseguenze di questo comportamento: e un peccato sarebbe su di te, ma ciò non costituisce un deterrente sufficiente per un cuore avido, per un occhio scaltro e interessato, tant'è che nella storia di Israele le ingiustizie economiche ai danni dei poveri continueranno, moltiplicandosi dopo l'ingresso nella terra.

Per questo si insiste sul comando: dagli generosamente e, mentre gli doni, il tuo cuore non si rattristi, invitando ad abbandonare ogni calcolo, ogni resistenza e paura di perdere il proprio interesse, con un gesto possibile solo se il cuore si lascia coinvolgere, non misurando il dono sul proprio tornaconto.

 

Il povero: luogo di rivelazione

Le resistenze anche spontanee del cuore non sono insormontabili. Proprio per questo: il mio comportamento può diventare la cosa in virtù della quale il Signore benedice (qualcosa di simile capita a Zaccheo in Luca: con quel denaro, che era stato per lui luogo di frode e ingiustizia perpetrata, egli ristabilisce la giustizia restituendo il quadruplo). Questo accade semplicemente donando: non è realistico aspettare che passi la paura del diverso, il timore di perdere qualcosa, attendendo la sicurezza che non vi sia alcun margine di rischio.

Così la mano aperta che dona, diventa la mano benedetta in ogni lavoro e in ogni cosa. Il Signore benedice senza calcolo (ogni lavoro, ogni cosa) di chi è capace di mettersi in gioco altrettanto senza calcolo. L'indigente, il bisognoso diventa così tramite della benedizione divina.

Ma ecco la chiusura del testo, che può risultare spiazzante: i bisognosi non mancheranno mai nella terra . In Dt 15, 4-5 il Signore assicurava: «Non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi... purché tu obbedisca fedelmente alla voce del Signore». Evidentemente il fatto che l'indigente non mancherà mai dalla terra significa inevitabilmente che non si obbedirà alla voce del Signore. Il bisognoso, la sua presenza, il suo volto denunciano e rivelano la mancanza di obbedienza e di ascolto nei confronti di Dio.

Allo stesso tempo, il povero non mancherà mai perché non mancherà mai per nessuno la possibilità di essere benedetto, in virtù del suo incontro con il più piccolo; non mancherà mai per nessuno la possibilità di essere immagine di Dio, figlio di un Padre che dona.

Di nuovo si esorta ad aprire la mano (apri generosamente la mano), a donare libertà e dignità al fratello povero che è legato all'interlocutore da una relazione di reciproca appartenenza (tuo fratello, tuo povero, tuo indigente). È una relazione di custodia scambievole, in cui ciascuno dona la libertà all'altro: il povero libera chi possiede beni dal possesso e dalla schiavitù di questi beni e quest'ultimo libera il fratello indigente dalla dipendenza esclusiva da lui, promuovendolo come persona, come un altro che gli sta di fronte.

È suggestiva l'espressione conclusiva del passo che fa allusione all'adempimento della promessa: dalla «terra che il Signore ti da» si passa alla tua terra. Si possiede il dono di Dio, si entra nella promessa, solo donando a nostra volta, liberando chi è oppresso, permettendo così che egli, reso pienamente fratello, entri nella dignità del figlio che riceve l'eredità.

Nel compimento della relazione con l'altro, nel coraggio della relazione con il bisognoso, il povero, l'oppresso si compie il rapporto con Dio ed è possibile finalmente godere dei beni promessi. Ecco perché i poveri non potranno mancare mai dalla terra: perché essi diventano il luogo di adempimento della promessa di Dio.

 

 

Conclusione

II testo ci presenta una relazione di custodia del fratello debole che è l'inverso, quasi il rovesciamento, del peccato di origine nei confronti della fraternità. «La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra» (Genesi): la terra, luogo dell'adempimento della promessa, diventa luogo dell'ingiustizia reiterata, della violenza e oppressione gratuita; la domanda di fronte a tutto ciò è: «Dov'è tuo fratello?».

Due figure possono aiutarci a sintetizzare e tenere nel cuore questa parola di Dio: la prima è Caino, che chiude la mano per colpire a morte il fratello; la seconda è Gesù, il Salvatore, icona della mano aperta, che si è lasciato aprire le mani sulla croce per sempre, portando anche nel suo corpo glorioso i segni della trafittura, dell'apertura, per indicare all'uomo la via della giustizia.

 

Per la riflessione

Il volto del bisognoso: mi soffermo di fronte al volto del fratello bisognoso. Sono disposto ad andare oltre le differenze per scoprire in lui lo stesso volto del Padre, la mia stessa immagine?

Cuore indurito e mano chiusa - le difese: di fronte al fratello bisognoso quanto sono disposto a mettermi in gioco in una relazione? Cerco di prendere coscienza del mio stare sulla difensiva, per non lasciarmi coinvolgere? Piuttosto che arrendermi all'altro, preferisco indurire il cuore e alzare le difese?

Mano aperta e liberazione: cerco di percepire quanto mi costa ogni singolo gesto di liberazione, quanto mi costa rendere l'altro simile a me, portarlo al mio stesso livello instaurando una relazione di libertà e reciprocità... Talvolta è più semplice, sbrigativo e forse addirittura comodo creare relazioni di dipendenza, fosse anche dipendenza da un sentimento di gratitudine, di riconoscenza... È drammaticamente più facile legare che sciogliere, schiavizzare che liberare.

La parola: mi metto davanti alle mie parole, i miei progetti, le scuse che talvolta mi impediscono di lasciarmi coinvolgere nella relazione con il debole e il bisognoso.

L'anno della remissione è vicino: ovvero il "ritorno" possibile di un'azione di giustizia. Forse sapere che quasi certamente non riceverò niente indietro per ciò che ho fatto porta con sé una sensazione di paura, di insicurezza, che cresce con il crescere dell'entità del dono. Mi fermo in ascolto di ciò che abita il mio cuore.

II povero, luogo di rivelazione: mi muovo verso il povero per scoprire in lui il volto di Dio; egli diventa per me luogo di rivelazione: Dio mi parla attraverso l'indigente, si rivela a me; accostarsi al povero acquista, così, un significato ben diverso dalla semplice filantropia o pietà. Mi rendo disponibile ad accogliere la rivelazione di Dio che mi viene dal povero? O piuttosto mi lascio sopraffare dal fastidio, dall'irritazione, dal calcolo?

 

 

ORATIO    Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte le frasi che mi hanno fatto meditare.

Prendimi per il verso giusto, Signore,
perché sai che ho un brutto carattere.
Non dar retta alle mie sfuriate,
non ascoltare le mie lamentele,
non badare ai miei scatti d'ira.

Prendimi per il verso giusto, Signore,
Tu solo sai leggermi dentro
perché sei tu che mi ha scritto.

Guarda dentro la mia anima
e raccontami come mi vedi.
Convincimi che non sono da buttare.

Mostrami il progetto originale,
l'idea che hai avuto di me
quando mi hai scolpito dal niente.
Manda qualcuno ad annunciarmi
che sono una creatura intrisa di bellezza.

Voglio vedermi buono
per crederti alla tua bontà,
voglio sorprendermi misericordioso
per credere alla tua misericordia.

Prendimi per il verso giusto, Signore,
perché tu sai che ce n'è almeno uno.

Da quel punto in poi,
possiamo fare la pace.

(da “Hai un momento, Dio?”)

 

 

 CONTEMPLATIO    Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.

 È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo

a te, Dio Padre Onnipotente,

nell’unità dello Spirito Santo,

ogni onore e gloria

per tutti i secoli dei secoli.

AMEN

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.

Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita! 

 Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

Arrivederci!

 

(spunti da un percorso formativo della Caritas Italiana)