RITIRO ON LINE - marzo 2024     










Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi. 

 

    (Casa della Madia)

O Gesù, Via Verità e Vita,

sostieni i nostri passi su di Te,

rivelaci il Tuo sguardo misericordioso su di noi,

e vivi in noi affinché la nostra vita sia la Tua

ma soprattutto la Tua sia la nostra.

 (Chiara Bertoglio – Un minuto con Dio)

 

Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

 

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I SALMI INSEGNANO A PREGARE

Continua la piccola serie di Lectio suggerite dalla lettura di alcuni salmi. Per fare ciò prendiamo liberamente spunto da alcune riflessioni di padre Ubaldo Terrinoni, (OFM cappuccini), raccolte nel suo libro “I salmi insegnano a pregare”.

 

 

LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.      Salmo 15 (14)

 

v. 1 (la guida dei pellegrini domanda):

1 Signore, chi abiterà nella tua tenda?

Chi dimorerà sulla tua santa montagna?

 

vv. 2-5 a (il sacerdote risponde):

 2Colui che cammina senza colpa,

pratica la giustizia

e dice la verità che ha nel cuore,

3non sparge calunnie con la sua lingua,

non fa danno al suo prossimo

e non lancia insulti al suo vicino.

4Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,

ma onora chi teme il Signore.

Anche se ha giurato a proprio danno,

mantiene la parola;

5non presta il suo denaro a usura

e non accetta doni contro l’innocente.

 

v. 5b  (la conclusione a sorpresa):

 

Colui che agisce in questo modo

resterà saldo per sempre.

 

 

 

 



MEDITATIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio! Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore"

 

  Salmo 15 Signore, chi abiterà nella tua tenda?

Premessa

 

Il salmo ci invita a trasferirci spiritualmente davanti alle porte alte e solenni del tempio di Gerusalemme, dove è arrivato un corteo di pellegrini e, prima di entrare, la loro guida chiede al sacerdote in servizio alle porte del tempio, precise risposte sulle adeguate disposizioni spirituali per essere degni di essere ammessi alla presenza di Dio. È quasi un esame di coscienza per il singolo pellegrino che intende oltrepassare la soglia della divina dimora.

In realtà, presso tutti i popoli più antichi si registra questa esigenza di esaminarsi prima di entrare in dialogo con la divinità.

Sul pronao dei templi egiziani si potevano leggere iscrizioni del seguente tenore: «Colui che qui entra deve essere puro; all’ingresso del tempio del gran dio occorre purificarsi come si conviene».

Anche nel trattato delle “benedizioni” nel Talmud viene rivolto l’invito al pio ebreo di entrare libero nel luogo sacro: «non ascenda l’uomo sul monte del tempio né con le scarpe, né con la borsa, né con la polvere nei piedi» (Berakhòt, IX,5).

Nelle chiese cristiane si incidevano iscrizioni come la seguente sull’orlo delle pile dell’acqua santa: «Lava le colpe e non solo il volto».

 

Il salmo 15, come il 24, rappresentano un esempio della «liturgia d’ingresso o liturgia  della porta o liturgia  penitenziale». Anche il profeta Isaia dichiara di avvertire profondamente le esigenze della santità di Dio e fa affiorare il bisogno irresistibile di purificarsi da ogni colpa:

 «Chi di noi può abitare presso un fuoco divorante? Chi di noi può abitare tra fiamme perenni?  Colui che cammina nella giustizia e parla con lealtà, che rifiuta un guadagno frutto di oppressione, scuote le mani per non prendere doni di corruzione, si tura le orecchie per non ascoltare proposte sanguinanti,  e chiude gli occhi per non essere attratto dal male»   (Is 33,14-15).

 

Il profeta Michea coglie dalla bocca del popolo di Dio l’amaro ricordo delle ripetute ribellioni e dei peccati. Così il popolo, non potendo dichiarare la propria innocenza, si appella all’espiazione attraverso vari sacrifici. Ma Dio non si placa con i sacrifici; egli non ricerca le opere di culto, bensì la conversione e la pratica della giustizia; non l’umana alterigia né l’arroganza, ma  la  modestia e l’umile sentire di sé:

 

«Con che cosa mi presenterò al Signore, mi prostrerò al Dio altissimo?

Mi presenterò a lui con olocausti, con vitelli di un anno?

Gradirà il Signore migliaia di montoni e torrenti di olio a miriadi?

Gli offrirò forse il mio primogenito per la mia colpa, il frutto delle mie viscere per il mio     peccato?

Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono  e ciò che richiede il Signore da te:

praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio»  

(Mi 6,6-8).

 

 

Struttura letteraria 

La struttura letteraria del salmo è lineare e chiara. Si apre con una domanda (v.1), che molto probabilmente la guida dei pellegrini rivolge ai custodi del tempio. Segue la risposta (vv.2-5b) costituita da un piccolo codice morale, dove sono enunciati alcuni principi in chiave positiva, altri invece in chiave negativa. Si evidenzia chiaramente il loro carattere etico: chi sa coltivare il rapporto col prossimo si trova nelle condizioni di avere  facile  accesso  alle dimore del Signore. I  maestri d’Israele  vedevano in questo salmo un compendio dell’intera Legge data da Dio al suo popolo per meritare di entrare nella «sua terra».

Il salmo termina con una conclusione (v.5c) un po' a sorpresa. La risposta del custode del tempio doveva garantire l’ingresso dei pellegrini nel sacro recinto e invece questi si sentono dichiarare che colui che pratica il piccolo codice sociale sta saldo nella vita, senza paure e senza incertezze.

 

Commento   v.1  la domanda d'ingresso

«Signore, chi abiterà nella tua tenda? Chi dimorerà sulla tua santa montagna?».

 

I pellegrini che sono giunti alle porte del tempio non chiedono semplicemente di «visitare» la casa di Dio come farebbe un turista, ma avanzano la richiesta di potervi «dimorare» e «piantare la tenda» (cioè abitare, fermarsi a lungo).

I due corrispondenti verbi ebraici (“essere ospite temporaneo”) e (“soggiornare sotto la tenda”) erano i verbi ai quali si appellava lo straniero per ottenere il diritto di cittadinanza. Anche Dio dichiara di voler avere stabile dimora in un preciso spazio della terra:

 

Io sono il Signore degli eserciti che abita sul monte Sion (Is 8,18);

Io sono il Signore vostro Dio che abita in Sion (Gl 4,17);

Ricordati del popolo..., del monte Sion, dove hai preso dimora (Sal 74,2).

 

In considerazione di questa lodevole aspirazione da parte dei pellegrini, l’apostolo Paolo dichiarerà più tardi alla comunità di Efeso che i cristiani sono realmente «concittadini di Dio»: «voi non siete più stranieri o ospiti, ma siete cittadini dei santi e familiari di Dio»  (Ef 2,19).

 

Paolo vuol dire che giudei e pagani, una volta diventati cristiani, sono inseriti in Cristo e risultano un solo popolo in profonda comunione con il Signore e tra di loro. La duplice provenienza (giudaismo e paganesimo) scompare e tutti si considerano e si sentono «a casa» col Signore.

 

Nella domanda ricorre il termine «tenda»: era il luogo dell’incontro di Dio con Mosè e Aronne durante il pellegrinaggio verso la terra promessa. Era il santuario «mobile» d’Israele. Veniva designata anche come «tenda del convegno» per sottolineare l’intima familiare amicizia tra Dio e l’uomo, tra Dio e Mosè ricoperti e protetti dalla stessa tenda. Il termine poi rimase in uso anche dopo la costruzione del tempio per lasciare intatta l’esperienza della cordialissima ospitalità orientale.

 

v v. 2-5a   la risposta del custode del santuario

Il piccolo codice morale che il custode propone ai pellegrini, i quali aspirano ad «abitare» in comunione di vita con Dio, si apre con un’affermazione generale, di principio, che risulta come il presupposto essenziale: cioè è degno di varcare la soglia del tempio «colui che cammina senza colpa e pratica la giustizia» (v. 2a). 

 

Si  tratta  non  di una normativa legalista, bensì di un preciso elenco di esigenze etico-religiose  che coinvolge il mondo interiore del singolo pellegrino.

«Contrariamente alla prassi delle altre religioni  orientali e anche ad alcuni testi giuridici  biblici che esigevano solo una purità esteriore e imponevano una sequenza di norme rituali e di abiti liturgici,  il  salmo  15 avanza, invece, la richiesta di un serio esame di coscienza sul Decalogo, cioè sull’impegno nei confronti di Dio e del prossimo, sulla coerenza quindi tra fede  professata  e morale  praticata!» (G. Ravasi).

 

Prima indicazione: nei vv. 2b-5a segue la serie delle prescrizioni e si nota, con gradita sorpresa, che tutte riguardano le relazioni che ogni giorno si intrecciano con il prossimo e coinvolgono l’intero arco della vita del singolo. Tre indicazioni si riferiscono ai pericoli della lingua: la prima è “parlare lealmente” (purità di cuore) (vv. 2b-3).

 

Dunque, al primo posto sussiste l’impegno di produrre dal cuore unicamente messaggi che onorano la verità; essere persone vere, proferendo sempre la verità. Il cuore, secondo l’antropologia biblica, è la sede delle scelte, è sinonimo di coscienza, è il centro unificante della persona nella sua totalità. In conclusione,  il pellegrino deve fare un serio e severo esame di coscienza partendo dal suo intimo: dal cuore.

 

Seconda e terza indicazione. Vi sono poi altri due pericoli da evitare attentamente, dato che incidono in  modo significativo  nella vita familiare e comunitaria: la calunnia o diffamazione e l’insulto al prossimo (v. 3a); l’esperienza insegna che calunnia e insulto, con i loro strali velenosi, causano sovente intimi, profondi dolori e pesanti umiliazioni, e determinano scompiglio e tensione nella famiglia. Perciò è necessario evitarli accuratamente e coltivare invece sincerità  di parola e verità di vita, perché garantiscono serenità e rispetto nei rapporti sociali.

 

Seguono poi altre indicazioni dalle precise connotazioni sociali.  Chi  desidera sentirsi accolto nella tenda del Signore deve scegliere di stare con gli amici di Dio, prendendo decisamente le distanze dai suoi nemici (v. 4a «onora chi teme il Signore»); deve rimanere fedele al giuramento fatto a qualunque costo, anche se dovesse rivelarsi difficile e oneroso oltre misura (v.  4b «anche  se ha  giurato a proprio danno, mantiene la parola»).

 

Inoltre, deve esprimere  aperta condanna nei confronti del prestito a interesse, cioè dell’usura (v. 5) «non presta il suo denaro a usura», perché questa è all’opposto del principio di solidarietà, che deve vigere tra i membri dello stesso popolo, come viene confermato  in  vari testi biblici:  «Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo. . . Voi non dovete imporgli alcun interesse» (Es 22,24); «non prendere [del tuo fratello] interessi né utili» (Lv 25,36; cf. Dt 23,20-21; Ez 18,2.13.17; Pr 28,8; Ne 5,2-12).

 

Vi è un’ultima importante indicazione di ordine sociale per i pellegrini alle porte del tempio: è la corruzione di testimoni o di giudici a danno dell’innocente. Si sa che la fonte biblica è tutt’altro che tenera nei confronti di costoro; la corruzione morale viene ripetutamente condannata dalla normativa d’Israele. I profeti e i sapienti non perdono occasione per riprovare  e denunciare  regali,  «bustarelle»  e «tangenti»:

«Guai a coloro che assolvono per regali un colpevole e privano del suo diritto l’innocente» (Is 5,23; 33,15);

«l’iniquo accetta regali sotto banco per deviare il corso della giustizia» (Pr 17,23);

addirittura il deuteronomista lancia un’amara maledizione per colui che si lascia corrompere:

«maledetto chi accetta un regalo per condannare a morte un innocente. Tutto il popolo dirà: Amen» (Dt 27,25).

 

A ben considerare questo esame di coscienza, si nota con sorpresa che i singoli articoli non chiedono pratiche ascetiche ardue, non esigono preghiere, sacrifici e penitenze al limite dell’impossibile. Tutt’altro! Avanzano invece delle richieste alla portata di tutti, in quanto puntano esclusivamente sulla qualità morale delle relazioni umane.

«La ricerca di Dio precisa B. Maggioni si gioca nel modo di relazionarsi con gli uomini. Sorprende che la figura del credente  che il  salmo  tratteggia  sia semplicemente la figura di un uomo vero (...). Quest’uomo credente è semplicemente caratterizzato da qualità profondamente umane. …la volontà di Dio è che siamo veramente uomini».

 

v. 5b      la conclusione

Il singolo pellegrino che ha sostato devotamente all’ingresso del tempio, per procedere a un serio esame di coscienza, si sente rassicurato da una promessa finale riassuntiva:

«Colui che agisce in questo modo resterà saldo per sempre».

 

Il sacerdote afferma che la traduzione in pratica di vita del codice morale  non farà vacillare  l’edificio della personalità del giusto, perché questi sarà sostenuto e benedetto da Dio.

La garanzia di una vita stabile, sicura,  che non corre rischi né incertezze di alcun genere riassume dunque l’articolato esame di coscienza presentato ai pellegrini. La loro vita (come è per una casa) non deve essere fondata sulla sabbia, bensì sulla roccia monolitica, come insegna Gesù stesso nel Vangelo di Matteo (Mt 7,24-27).

Altri autori dei salmi confermano che Dio è la roccia salda su cui si può costruire la propria  vita;

«(o Dio) mia  rupe e mia  fortezza tu sei» (Sal 31,4);

«lui solo è mia roccia e mia salvezza, mia difesa: mai potrò vacillare» (Sal 62,3);

«Dio è roccia del mio cuore, mia parte per sempre» (Sal 73,26).

 

 

Attualizzazione: pregare il salmo oggi – il grazioso episodio di una bimba sensibile

Si racconta che una bambina del villaggio di Taizè, in Francia, dove risiede la nota comunità religiosa ecumenica, ha appreso la notizia che nella residenza di quei monaci è giunta da Roma una importante personalità: il  superiore generale dei frati cappuccini. La notizia è sulla bocca di tutti. In realtà,  questo  superiore  si  è recato là per trascorrervi del tempo dedicato esclusivamente alla preghiera.

Lei non resiste alla curiosità di vedere questa personalità  di cui si  parla  tanto  nel villaggio.  Va  a cercarlo, s’informa, lo individua e una mattina lo trova tutto solo in ginocchio davanti al Tabernacolo. Crede che davvero sia il momento buono per... lei.

 

Gli  si avvicina in  punta di piedi e si inginocchia  accanto a lui per pregare come prega lui. Il buon frate cappuccino intuisce subito l’innocente curiosità della piccola e, in un gesto di squisita paternità, apre il suo lungo e ampio mantello e vi nasconde la bambina e per qualche minuto pregano insieme. Lei, felicissima per questo gesto di predilezione, torna a casa e racconta ai genitori e alle amichette l’insperata gradita sorpresa. E poi ferma nel suo diario il memorando incontro con queste parole: «Oggi per la prima volta ho pregato sotto la tenda di Dio».

Questa bambina, senza saperlo, ci  insegna  che, per celebrare degnamente la liturgia nella tenda di Dio, occorre che ciascuno viva e si senta in intimi rapporti fraterni con tutti i membri della comunità. E questi rapporti non si improvvisano in chiesa, ma vanno preparati «fuori». Bisogna sentire il vivo desiderio di stare da fratelli alla presenza di Dio, ricoperti dall’unica «tenda» del tempio come una sola famiglia.

 

Come celebrare la liturgia al tempio?

Nel piccolo codice di vita proposto ai pellegrini in riferimento a Dio, tutte le prescrizioni riguardano  i rapporti  con il prossimo.  Si capisce chiaramente che il metro che regola i rapporti col prossimo è lo stesso che poi ci ritroviamo applicato con Dio nel tempio. L’apostolo Giovanni, più tardi, scriverà lapidariamente nella Prima lettera:

«Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Chi ama Dio, ami anche suo fratello» (l Gv 4,20-21).

 

«È paradossale ma vero scrive A. Pronzato —; a colui che intende essere ospite gradito di Dio e si informa su come deve condursi nel luogo santo, gli viene risposto di esaminarsi su come si conduce fuori del tempio. Cioè dal tenore della serie delle prescrizioni del codice morale emerge con chiarezza solare che ha diritto... di varcare la soglia del sacro recinto soltanto chi sa stare “fuori”, intrecciando cordiali rapporti con tutti; per rimanere con Dio, bisogna dimostrare di saper stare con il prossimo».

 

Solo così il  pellegrino  può entrare per dialogare con Dio e per celebrare solenni liturgie sotto la tenda. È così che si può parlare di una vera festa che parte dal cuore e di un edificante spettacolo di raccoglimento e di devozione. Ed è giusto che sia così, perché se si bara con la  vita, allora il culto liturgico diventa una farsa; allora i gesti, i canti e le parole della liturgia hanno una risonanza negativa  nel nostro spirito.

 

«Se le nostre mani non sono “pulite” tutti i gesti che si compiono nella liturgia diventano una parodia; se la nostra lingua non è “pulita”,  la preghiera  fatta con gli  altri diventa una... bestemmia;  se i nostri canti non risuonano dentro di noi come armonie melodiose, diventano una orribile stonatura alle  orecchie  di Dio Padre»  (A.  Pronzato). 

 

Dunque, è saggio presentarci  al  tempio con le mani, con il cuore e con la bocca perfettamente puliti. Del resto, è inutile fingere! Dio sa «quel che mi porto in cuore nei riguardi del prossimo: se porto affetto o veleno, perdono o vendetta, generosità o gelosia, il proposito di comprendere o di sopraffare, il desiderio di dimenticare i torti o di farli pagare: occhio per occhio. E in queste condizioni d’animo chi entrerà nel luogo santo? Come levare gli occhi e implorare misericordia? E come dire: “Rimetti a noi i nostri  debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, senza sentire la menzogna bruciare le labbra?» (G. Albanese).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

  

Ma come ti è saltato in mente, mio Dio, di dirci

“Ama il prossimo tuo come te stesso” ?

Se non riusciamo neppure a guardarci nello specchio,

a vedere davvero chi siamo, e ad amarci?

A scomoda verità preferiamo sempre bugie rassicuranti.

Bugie consapevoli perché in ognuno di noi

sussurra sempre la Tua voce…   ……

Tirami fuori da questo baratro,

tirami fuori perché non è il mio mondo, quello per cui vivo e sogno!

(Lalla Desiderato  – Un minuto con Dio)

 

 

 

 

 – Un minuto con Dio)

CONTEMPLATIO Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente, 

nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti

i secoli dei secoli.  Amen

 

 

 

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.   Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!  Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...   Arrivederci!                                                                   

  

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