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santo Natale
2011  

 Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.   Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.

Ti adoro, Gesù, mio Dio fatto bambino,

povero e debole come me!

Tu entri nella vita con il grido di ogni bambino

che invoca attenzione e protezione.

Come duemila anni fa anche oggi accetti

che non ci sia posto per te,

ma non per questo rinunci a nascere ancora,

ad amarmi così come sono

e a farmi dono della tua pace e della tua gioia.

Grazie, Gesù.

 (don Canio Calitri)

 Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

  

 

 

 PER LORO NON C’ERA POSTO NELL’ALLOGGIO

  

 

 

 

 

 

LECTIO   Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano che mi viene proposto.

 

LA PAROLA DI DIO  (Lc 2,1-7)

        1In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 3Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.

  

  

 

 

 

 

 

 

MEDITAZIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente.  Leggo la realtà umana quotidiana alla luce di quanto la Parola mi ha detto.

Metto la “diapositiva” della vita di tutti i giorni, davanti all’immagine solida del messaggio della Scrittura, in modo che la Parola possa illuminare la realtà umana quotidiana.

 

LA PAROLA DELL’UOMO  (Giampaolo Trevisi – racconti di un vice questore)

Cinque metri quadrati in meno

«Ci ho messo cinque anni ad uscire dal nero di un lavoro nero e dal buio di una casa nera, da dividere con altri cinque amici più neri di me, cinque anni in cui non sono potuto tornare a casa, nemmeno quando sei stata così male da aver paura di perderti per sempre, cinque anni a nascondersi dietro tutti e dietro niente, cinque anni per trovare una casa con un po' di finestre e un lavoro che non avesse un termine, cinque anni per un pezzo di carta con la mia foto e la mia nuova vita sopra, una vita con una scadenza, di anno in anno e di paura in paura.

Con il tempo, poi, ho iniziato a lottare per te, te che mi mancavi come la luce, così tanto che non esistevano più né giorni né notti, ma solo quei pochi, bellissimi istanti in cui potevo telefonarti e avrei voluto insieme alla mia voce arrivare vicino alle tue labbra, che mi parlavano piano e mi chiamavano amore.

Ho aspettato, mese dopo mese, di avere lo stipendio che mi avevano detto fosse necessario, litigando, gridando come un pazzo e rischiando di perdere il posto di la­voro, pur di vederlo tutto intero nella mia busta paga. 

Ho trovato, poi, una casa e l'ho sistemata, ordinata e pulita... pulita tutti i santi giorni, come se il giorno dopo fosse stato il giorno del tuo arrivo e ho piantato, annaffiato e cresciuto cinque piante diverse e strane, ma senza fiori, una per ogni anno in cui ho desiderato vederti, sole dopo sole e luna dopo luna.

Oggi, però, un'altra volta ancora mi hanno mandato via, senza darmi grandi spiegazioni, senza un sorriso, senza un saluto, di nuovo via, con la mia cartellina gialla e all'interno il mio amore nascosto dentro un timbro e carte, tante carte, vidimate, tradotte, legalizzate e consumate.

Ho pensato a quanto più di queste carte le nostre centinaia di lettere, che ogni giorno ci mandiamo per raccontarci la nostra vita vissuta a metà, potrebbero spiegare meglio il nostro amore e la nostra storia, lettere che vorrei si potessero incrociare nel ciclo dei loro rispettivi viaggi inversi, facendo abbracciare per un istante le virgole... almeno loro.

Eppure, prima di questo nuovo appuntamento, avevo buttato giù con delle spallate le porte, avevo alzato i soffitti, spingendo con le braccia, avevo staccato mattonelle con le unghie, distrutto muri con le mani, avevo costruito pareti, mattone dopo mattone, intorno a un piccolo terrazzo, stendendo il cemento con le dita; avevo scavato buche su ogni pavimento, in ogni angolo, sino a farmi uscire il sangue dal cuore, avevo strillato e pianto, così forte da rompere perfino i vetri. E alla fine la mia casa, ricoperta di tue foto e nostri sorrisi abbracciati, non è ancora idonea ad amarti.

Così dicono... che non sia idonea ad ospitare un'altra persona, ancora non abbastanza grande per poterti far venire qui e per farmi addormentare e svegliare accanto a te sempre e per sempre, non abbastanza grande per ricongiungermi con te: il mio amore dal quale in realtà non mi sono mai diviso veramente.

Mi viene da ridere, pensando ai loro ripetuti "no" rispetto al tempo passato insieme io e te, dividendo tutto, perfino l'aria da respirare e l'acqua da bere, dormendo in uno stesso letto e dentro uno stesso sogno.

Mi viene da piangere e mi viene voglia di morire, invece, pensando sempre ai loro ripetuti "no" per cinque metri quadrati in meno su un certificato triste, che rico­pre di nero i colori della vita di noi due, che abbiamo imparato ad amarci e a vivere in una casa fatta di terra, grande come una marca da bollo su cui mettere un timbro e circondata da piante diverse e strane, ma piene di fiori».

Questa lettera accanto a cinque piante secche è stata trovata tempo fa all'interno di una casa piccola nella periferia di Verona. Di chi ci abitava dentro nessuna notizia; sembra un senegalese e da quanto risulta non sembra che sia mai tornato in patria, non l'hanno più visto al lavoro e non ha scritto nessuna altra lettera alla moglie.

 

 

ORATIO    Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio.

Sono Tuo o mio Dio:

nella notte senza sonno,

nel giorno privo di sole,

nel tempo che non ha pace,

fra gli uomini che mi cacciano,

dove piangono i bimbi,

assieme alle mamme che si disperano,

nelle valli della guerra,

fra l'uomo che si fa deserto,

quando le ombre coprono la luce,

lungo le strade degli uomini soprafatti,

 

là dove è morta la speranza,

dietro l'acqua che ha distrutto,

vicino al fuoco che annienta,

oltre le prime dune del deserto,

in mezzo a l'uomo che Ti detesta,

abbracciato a l'uomo che Ti distrugge,

là dove il vivere si fa lacrima,

ovunque Tu mi mandi,

ricordati che io sono Tuo o mio Dio

perché Tu hai radice in me.

Amen.

(da “Hai un momento, Dio?”)

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.

Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!

 

Il nostro andare verso il Messia, il nostro contemplarlo nella povertà e nell’impotenza del Bambino, il nostro stupirci della fiducia che Dio ha riposto nell’umanità, non si limiti alle solite parole “stagionali” ma si concretizzi nell’accoglienza di coloro che non hanno voce, di chi soffre l’ingiustizia, di chi è indifeso, di chi è lasciato a se stesso,…

 Auguriamo a tutti i nostri amici di riuscire ad accogliere Gesù!

 Claudio Chiozzi e Paolo Capuzzo

 

Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

 

Arrivederci!