RITIRO ON LINE - novembre 2023     










Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi. 

 

    

Ti aspetto, Pane che sazi ogni fame,
Vino che disseti e rallegri, Cibo sconosciuto
che accendi desideri, che inciti a sperare.

(Luca Rubin)

Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

 

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CERCATE GESU’

 

Nelle LECTIO che stiamo proponendo ci facciamo aiutare dal cardinale Carlo Maria Martini che nel 2002 tenne, in Cattedrale a Milano, i suoi ultimi “quaresimali” prima di lasciare la direzione della diocesi. Sono commenti al capitolo 18 del Vangelo di Matteo. Lasciamoci aiutare dalle parole precise e puntuali di questo “pastore” che tanto ha saputo donare alla Chiesa.

 

 

 

LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.      Matteo 18,21-35

 

21Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 22E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. 

28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».





MEDITATIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio! Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore"

 

  FINO A SETTANTA    VOLTE SETTE

 

Perdono e riconciliazione

 Il brano di Vangelo appena riportato è come in tensione dialettica con quello che lo precede immediatamente nel capitolo 18 di Matteo, cioè i versetti da 15 a 20: sottolinea la comunità come luogo del perdono così come il precedente la sottolineava come luogo del rigore e della legge.

I due brani vanno considerati insieme, ma certamente questo del perdono è nodale per tutto il capitolo preso in esame, oltre che per l’intero Nuovo Testamento, perché il tema del perdono è un punto essenziale del grande processo di riconciliazione che abbraccia la storia della salvezza, la quale per l’appunto è tutta una storia di riconciliazione di Dio con l’uomo, dell’uomo con Dio, dell’uomo con i suoi fratelli, dell’uomo con la natura, dell’uomo con se stesso.

In questo processo globale di riconciliazione al cui centro ci sono la croce e la risurrezione di Gesù, punto determinante è il perdono: non per niente Gesù muore per il perdono dei peccati e dalla croce chiede al Padre: «Perdona loro perché non sanno quello che fanno»; e appena appare risorto agli apostoli dice: «Perdonate i peccati». Dunque ci troviamo in presenza di un luogo nodale dell’economia cristiana.

 

Settanta volte sette

Analizzando la struttura del brano notiamo che esso comprende un detto di Gesù ai versetti 21 e 22, seguito da una parabola abbastanza lunga che va dal versetto 23 fino alla fine del capitolo al versetto 35.

Il detto di Gesù prende spunto da una domanda di Pietro: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?», il quale pensando di dire una cosa grandiosa, straordinaria ed eroica afferma di essere disposto a perdonare fino a sette volte. Penso che Pietro in quel momento si aspettasse di sentirsi dire:

«Beato tu Pietro figlio di Giona perché non la carne e il sangue te l’hanno rivelato ma il Padre mio ti ha rivelato quanto grande è il perdono».

Invece, pur avendo Pietro chiamato in causa il numero sette, che è sinonimo di totalità, e pensando quindi di essersi giocato fino in fondo, la risposta di Gesù è sconvolgente: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette». Ciò significa che il perdono è un grande mistero, che non si può parlare di limiti del perdono. Il perdono è un atteggiamento regale, divino, che non ammette frontiere, è un qualcosa con cui noi imitiamo molto imperfettamente l’infinita, inesauribile, inesplicabile misericordia di Dio, è qualcosa che ci permette di affondare lo sguardo della fede nell’infinita misericordia del Padre.

 

La parabola del servo senza pietà

 Tale detto di Gesù ci ammonisce dunque circa la grandezza incommensurabile di questo atteggiamento che è il perdono; la lunga parabola che segue dà la ragione profonda di questo primato del perdono sottolineando che ciascuno di noi è anzitutto uno a cui Dio ha perdonato immensamente ed essendo noi perdonati dobbiamo imparare a perdonare.

Tale il succo della parabola. Lo schema narrativo è d’altra parte molto semplice e ben composto, con una struttura precisa: notiamo un’introduzione, al versetto 23, dove si presentano i personaggi e l’occasione di ciò che poi viene narrato; a questa seguono quattro parti, quattro scene ognuna con la sua conclusione. Una parabola che non esiterei a definire un piccolo capolavoro letterario, così sapientemente costruita ed efficace che basta leggerla bene una sola volta perché rimanga impressa.

I personaggi sono il re e i suoi servi e l’occasione è data dal fatto che il re vuol fare i conti con loro: ne deduciamo che questi servi potrebbero essere funzionari di alto rango cui sono state affidate amministrazioni di beni importanti; ma c’era, allora come adesso, il vizio della corruzione, per cui il rendere conto delle spese, il giustificare la propria condotta, era buona norma da seguirsi.

Dopo questa introduzione, vi è tra i versetti 24 e 27 una prima scena che riguarda il comportamento del re con il primo servo. Una scena suddivisa in quattro momenti.

Nel primo, al versetto 24, viene presentato davanti al re un servo che ha un debito immenso, diecimila talenti, praticamente insolvibile; di fronte a questa situazione il re prende un provvedimento duro, forse crudele, ma non così alieno dai costumi dell’epoca: «Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito».

Viene allora presentata nel terzo momento della scena la supplica del servo, che si getta ai piedi del padrone, implora pietà, chiede pazienza e promette restituzione, anche se dal contesto è chiaro come tale promessa sia menzognera. Di fronte a ciò, ed è il quarto momento della scena, il padrone si commuove e non si limita a concedere una dilazione o a sperare in una restituzione che sa impossibile, ma condona totalmente il debito senza condizioni né riduzioni.

A questo punto del racconto il lettore è sorpreso e rallegrato dalla grandiosità e dalla magnanimità del padrone, che mosso unicamente dalla compassione ha di colpo condonato tutto il debito.

Quanto appena descritto fa da contrasto con la seconda scena, dal versetto 28 al 30, che presenta un secondo servitore, debitore del primo. Questa scena è strettamente parallela alla precedente e comparandole si nota immediatamente ciò che è identico e di conseguenza con maggior risalto ciò che contrasta: come per il primo servitore si parla di un debito, però stavolta molto piccolo, cento denari, un nulla in confronto con quello precedente; vi è una pretesa di restituzione, ma espressa molto più brutalmente e con violenza («Lo prese per il collo e lo soffocava»), mentre il re si accontentava di esprimere i suoi diritti; anche qui giunge la supplica ad avere pazienza con la promessa di restituzione del debito, questa volta credibile, data l’entità dello stesso (sembra che corrispondesse allo stipendio di un anno di un operaio, quindi abbastanza grande per un povero, ma non impossibile da sciogliere in assoluto); tuttavia, ecco la differenza enorme, non segue la dilazione richiesta né il condono, ma un durissimo provvedimento: «Lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito».

Nel confronto risulta quindi come la seconda scena sia perfettamente in parallelo con quella del brano precedente, con la differenza che ciò che là era enorme qui è piccolo, ciò che sembrava insolvibile qui è solvibile, ciò che sembrava impossibile concedere qui sarebbe più ragionevole, ma contrariamente alla prima scena qui prevale la durezza.

Un racconto accuratamente costruito punto per punto, tanto che non sarebbe possibile esprimere con maggior forza ed efficacia la contrapposizione tra l’atteggiamento regale del re e quello assai meschino del primo servitore.

Al verso 31 è descritta la breve scena dell’intervento dei colleghi, che vanno a riferire al padrone l’accaduto. Il furore del re è espresso poi nel quarto episodio della parabola.

Ai versetti da 32 a 34, infatti, si legge di come il re convochi nuovamente il primo servitore che gli doveva una somma immensa, gli richiami il grande favore che gli aveva fatto condonandogli l’intero debito e partendo di qui rimarchi il dovere morale che ne sarebbe dovuto conseguire, cioè di avere pietà del suo compagno; dice il re: «Così come io ho avuto pietà di te».

Viene così messo in risalto questo bellissimo tema della reciprocità tra il re e il servo, che poi ritorna nel Vangelo come segno di reciprocità tra Dio e l’uomo: se Dio ha così perdonato, allora devi anche tu come Lui così perdonare.

Infine con il terzo di questi versetti, che mostra il ritrarsi del re dalla sua promessa originaria per far eseguire un castigo terribile, si chiude la parabola in maniera piuttosto negativa.

Concludendosi in tal modo, questa parabola incute un certo timore, perché afferma che se è bello imitare la misericordia di Dio, all’opposto è disastroso per l’uomo esprimere un atteggiamento contrario a quello del Padre celeste.

 

Perdonare di cuore

 Raccontata la parabola, Gesù interviene riprendendo la parola in prima persona e conclude con un monito: «Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello». Quindi anche in questo caso si termina con una minaccia di castigo, benché sia chiaro come questo non sia il senso più profondo della stessa; che invece vuole invitarci a imitare il re che ha perdonato senza limiti, ma aggiunge: «Guai tuttavia a chi si comporta come il servo spietato».

Di queste parole di Gesù al verso 35 è interessante notare l’espressione: «Se non perdonerete di cuore». A questo proposito vorrei richiamare un bellissimo commento del Catechismo della Chiesa Cattolica là dove spiega il Padre nostro, in particolare in riferimento alle parole: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Il Catechismo cita a paragone proprio questo brano del Vangelo di Matteo, sottolineando in particolare l’espressione “di cuore”; dice infatti:

«È lì infatti, nella profondità del cuore, che tutto si lega e si scioglie, non è in nostro potere non sentire più e dimenticare l’offesa, ma il cuore che si offre allo Spirito Santo tramuta la ferita in compassione e purifica la memoria trasformando l’offesa in intercessione».

Parole molto dense che ci aiutano a capire quale profondità abbia questa aggiunta del “perdonare di cuore”, perché tutto ciò che avviene di profondo avviene nelle profondità del cuore.

 

Parole chiave:  perdono, misericordia, compassione

 L’incisività del racconto è data anche dalla parola chiave presente nel testo: la parola “perdono”. Quindi la parabola è fondata anche proprio filologicamente sul perdono, giacché tale parola appare quattro volte: la prima al versetto 21: «Quante volte dovrò perdonargli [al mio fratello]»; poi appare implicita al versetto 22: «Non ti dico [di perdonare] fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette»; la terza al versetto 27: «Il padrone [...] gli condonò il debito»; e ancora al versetto 32: «Io ti ho condonato tutto quel debito».

Nelle ultime due citazioni la parola italiana è un po’ diversa, ma in greco invece il termine è il medesimo e del resto si può agevolmente notare come in italiano le due diverse traduzioni abbiano comunque in comune la radice, che è quella di “dono”.

Perdono” è dunque la parola numericamente sostanziale di tutto il racconto, che ce ne dà così anche matematicamente il senso, ed è accompagnata da altre due parole che fanno da spalla, per così dire.

Una è usata per descrivere, al versetto 27,l’atteggiamento del re, dove dice: «Il padrone ebbe compassione di quel servo», dunque si commosse e se ne impietosì, si tratta della stessa espressione utilizzata nella parabola del buon samaritano, che vedendo il ferito sulla strada «si commosse».

Una parola analoga ricorre due volte al versetto 32, quando il re dice al servo malvagio: «Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?». Il verbo greco è quello da cui deriva l’espressione liturgica che significa “avere pietà”,“avere misericordia”.

Dunque parole chiave sono “perdono”, “misericordia”, “compassione”, tutte appartenenti a un unico campo semantico.

Quella letta è quindi una pagina che esalta il perdono divino e il perdono umano e li mette in stretto collegamento. Sta forse qui il capolavoro di questo passo: non si tratta di una banale esortazione al perdono, ma è un’esortazione che si radica nel mistero di Dio, nella Sua misericordia, nel mistero trinitario stesso che è tutto amore, grazia, misericordia e perdono.

 

Paralleli

 Si sono in questo modo ricavati alcuni elementi per estrapolare i messaggi derivanti da questo testo, che sono molteplici perché, come detto, si tratta di un brano centrale per il mistero della riconciliazione. In particolare se ne possono rilevare tre.

Per prima cosa il ricordare che il perdono così inteso è una realtà specificamente cristiana e neotestamentaria, come riconosceva anche Gandhi, per esempio, parlando del Discorso della montagna.

Secondo messaggio: il perdono ha un’attualità straordinaria nel messaggio per la pace di Giovanni Paolo II e nella preghiera per la pace del 24 gennaio 2002 delle grandi religioni ad Assisi.

Terzo messaggio: il perdono ha grande importanza non solo nella vita politica e internazionale ma a cominciare da quella quotidiana.

 

Perdono, virtù cristiana

Possiamo dire, dunque, che il perdono è una realtà specificamente cristiana; certo, lo si ritrova di per sé anche in tanti scritti di altre religioni, ma è nel cristianesimo, nei Vangeli, che assurge a quella pienezza e purezza che lo rende veramente incomparabile.

Consiglio a questo proposito un’enciclica molto bella, ma forse un po’ dimenticata, di Giovanni Paolo Il dal titolo “Dives in misericordia” (Dio ricco in misericordia), dove si parla abbondantemente della misericordia divina e della necessità del perdono che ne consegue, del rapporto tra perdono e giustizia.

Basterebbe ricordare come nel Nuovo Testamento questo tema del perdono sia presente molte volte. A partire dal “Discorso della montagna”, dove viene espresso ripetutamente e con vocabolario diverso: «Beati i miti [coloro che sanno perdonare] perché erediteranno la terra, beati gli operatori di pace [coloro che sanno diffondere il perdono]». Proseguendo con i versetti 23 e 24 del capitolo quinto del Vangelo di Matteo: «Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono», dove ovviamente il fulcro è quel verbo “riconciliarsi, che suppone per l’appunto un perdono.

Poi ancora al versetto 39: «Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra», viene proposto un perdono eroico in atto.

E così via per tutto questo capitolo quinto, al versetto 43: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano».

Anche al capitolo sesto, versetti 12 e seguenti, ho contato ben undici versetti in questa prima parte del “Discorso della montagna” e molti altri se ne potrebbero elencare nel resto del Nuovo Testamento.

Il perdono è una realtà tipica neotestamentaria che troviamo quindi anche negli altri Vangeli. Riporto almeno un parallelo dal Vangelo di Luca: «E se pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice: “Mi pento”, tu gli perdonerai», con altre parole è espressa ancora l’esigenza di un perdono senza limiti.

A proposito di questa numerologia qualcuno ha fatto notare, un po’ umoristicamente, che se prendessimo in senso matematico la menzione di Matteo “settanta volte sette” e la applicassimo alla quotidianità come nel brano di Luca, ne verrebbe la conclusione che dovremmo perdonarci almeno ogni tre minuti, il che può essere un simbolo efficace di quanto una comunità sia fondata sul perdono reciproco.

Sempre in relazione a questo primo messaggio cito il Catechismo della Chiesa Cattolica là dove dice: «Il perdono è un culmine della preghiera cristiana, il dono della preghiera non può essere ricevuto che in un cuore in sintonia con la compassione divina. Il perdono sta anche a testimoniare che nel nostro mondo l’amore è più forte del peccato. I martiri di ieri e di oggi rinnovano questa testimonianza di Gesù. Il perdono è la condizione fondamentale della riconciliazione dei figli di Dio con il loro Padre e degli uomini tra loro»; e continua dicendo: «Non c’è né limite né misura a questo perdono essenzialmente divino, in realtà noi siamo sempre debitori».

In ogni caso, era mia intenzione asserire che, benché il perdono compaia in altre tradizioni e religioni, è soprattutto nel Nuovo Testamento che viene così esaltato con tanta esigenza come fiore perfetto della carità.

 

Giustizia e perdono

Il nucleo del secondo messaggio  (vedi nel precedente capitolo “paralleli”) è nel fatto che questo tema del perdono assume un’importanza urgente e fondamentale proprio nella drammatica conflittualità dei nostri giorni.

 Per questo Giovanni Paolo II ha dedicato a questo tema il messaggio per la pace del 1º gennaio 2002 dal titolo Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono. Nel papa c’è piena consapevolezza del fatto che questo sia un discorso arduo a livello politico quando esistono odi clamorosi tra i popoli, e si pone la domanda: «Come parlare nelle circostanze attuali di giustizia e insieme di perdono quali fonti e condizioni della pace? La mia risposta è che si può e si deve parlarne nonostante le difficoltà che questo discorso comporta». Si propone quindi di superare una di queste difficoltà spiegando che i termini giustizia e perdono non sono, come spesso si pensa, alternativi.

«Il perdono» dice il papa «si oppone al rancore e alla vendetta, non alla giustizia, e la pace è frutto della giustizia, ma la giustizia umana è sempre fragile e imperfetta, essa va perciò esercitata e in certo senso completata con il perdono, che risana le ferite e ristabilisce in profondità i rapporti umani turbati».

Il papa ha il coraggio di affermare che ciò vale non soltanto per le tensioni che coinvolgono i singoli, ma anche per quelle di portata più generale e addirittura per quelle internazionali (al contrario di chi sostiene che il perdono possa andar bene nella Chiesa, nelle comunità religiose, ma non nella società).

Il papa reca poi a sostegno della sua tesi, ed è commovente, la sua esperienza personale, perché egli ricorda come le immani sofferenze portate dai totalitarismi nazista e comunista, da lui sperimentate in prima persona, hanno sempre interpellato il suo animo e molte volte si è soffermato a riflettere sulla domanda: «Qual è la via che porta al pieno ristabilimento dell’ordine morale e sociale così barbaramente violato?». E risponde in prima persona: «La convinzione cui sono giunto ragionando e confrontandomi con la rivelazione biblica è che non si ristabilisce appieno l’ordine infranto se non coniugando fra loro giustizia e perdono. I pilastri della vera pace sono la giustizia e quella particolare forma dell’amore che è il perdono».

Noi possiamo osservare con fiducia, benché appena iniziale, che anche nei conflitti drammatici che insanguinano la terra e in particolare il Medio Oriente comincia a farsi strada l’idea che senza un certo perdono reciproco non se ne possa uscire più, altrimenti si entra in un vicolo cieco di vendette su vendette che non portano a nulla se non alla distruzione reciproca.

Quindi anche la ragionevolezza storica fa emergere la verità di questa parola evangelica che sembra così lontana dall’esperienza quotidiana dell’homo homini lupus, di colui che pare essere lupo per il suo fratello, ma che in realtà trova soltanto qui la verità del suo essere. 

Perdono, cemento della comunità

 Il terzo messaggio, ancor più prossimo a noi: il perdono è qualcosa che tocca molto da vicino la nostra realtà quotidiana, è un qualcosa di assolutamente necessario se si vuol vivere in pace in famiglia e nella comunità. Ho già ricordato come in qualche modo ogni tre minuti occorra compiere un atto di accettazione, magari silenziosa e paziente, circa qualcosa o qualcuno che vorremmo diverso.

Quindi il perdono è quello che continuamente ristabilisce l’armonia (mentre le disarmonie nascono dalle reazioni immediate e pungenti), è il tessuto della vita quotidiana di comunità, nella famiglia, in parrocchia, a scuola, sul luogo di lavoro, anche nella società.

Il perdono è in particolare il cemento delle nostre comunità cristiane. Come ricordava uno dei passi del Vangelo qui trattati, inevitabilmente sorgono divisioni, dissensi e litigi anche nelle comunità, ma là dove il perdono risana e riesce a fare breccia, offre persino la possibilità di riconciliarsi più di prima, di passare da un litigio a un amore e a una comprensione più grandi: quante volte è successo che dopo un litigio si sia fatta pace e avendo riconosciuto gli errori di entrambi ci si sia compresi meglio.

Per riassumere, il perdono è un elemento fondante della famiglia, della Chiesa e della società, è quel fiore che permette ai rapporti umani di farsi veramente tali, accoglienti e benevoli, mentre senza perdono una società diventa impossibile e invisibile.

  

Una fotografia della comunità cristiana

Mi pare utile a questo punto proporre una sintesi per far emergere quell’immagine di comunità che risalta dall’intero discorso del capitolo 18 del Vangelo di Matteo.

Per prima cosa è una comunità dove la fraternità è veramente vissuta, anche superando i litigi inevitabili.

Secondo: è una comunità nella quale i più piccoli, coloro che contano meno, sono tenuti in più grande onore.

Terzo: è una comunità che ha delle regole che vanno osservate, per le quali esistono anche sanzioni, quindi una comunità seria.

Quarto: è una comunità dove soprattutto occorre continuamente perdonarsi e cercare chi si è smarrito e far festa per chiunque ritorni.

È una comunità, l’abbiamo osservato in un versetto centrale, in cui Gesù sta nel cuore e con la forza della sua risurrezione rende possibile questo miracolo di amore che è la comunione nella fede e nella carità. Una comunità conscia delle sue debolezze, che non si spaventa delle sue fragilità, perché certa del continuo perdono del Signore.

Proprio questo tipo di comunità è quello che dobbiamo sforzarci di costruire ogni giorno tra noi, a partire dalla famiglia, passando per la parrocchia e per la diocesi fino all’intera società. Questa visione ci dà coraggio anche di fronte ai conflitti più gravi del nostro tempo: siamo certi che l’odio è destinato a essere sconfitto dall’amore e la vendetta sarà vinta dal perdono, ma dipende anche dal cuore di ciascuno di noi.

 

 

 

ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

 

 

 

 

Ma come ti è saltato in mente, mio Dio, di dirci…

_”Ama il prossimo tuo come te stesso”_ ?

Se non riusciamo neppure a guardarci nello specchio,

a vedere davvero chi siamo e ad amarci.

A scomode verità preferiamo sempre bugie rassicuranti.

Bugie consapevoli perché in ognuno di noi sussurra

sempre la Tua voce che ci fa sentire piccoli, scomodi e peccatori.

Ma tutto si vende in fiera.

La fiera delle offese, degli insulti e delle ingiurie.

Tirami fuori da questo baratro.

Tirami fuori perché non è il mio mondo, quello per cui vivo e sogno.

 

(Lalla Desiderato – Un minuto con Dio)

 

 

 

 

 – Un minuto con Dio)

CONTEMPLATIO Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente, 

nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti

i secoli dei secoli.  Amen

 

 

 

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.   Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!  Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...   Arrivederci!                                                                   

  

(tratto da catechesi tenute nel 2002 dal Card. Carlo Maria Martini)

 

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