RITIRO ON LINE                                                                                                   
ottobre
2010  

 

 

Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.

Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.

 

O Dio, mio re, voglio esaltarti

e benedire il tuo nome in eterno e per sempre.

Ti voglio benedire ogni giorno,

lodare il tuo nome in eterno e per sempre.

Grande è il Signore e degno di ogni lode;

senza fine è la sua grandezza.

Una generazione narra all’altra le tue opere,

annuncia le tue imprese.

Anch’io voglio raccontare la tua grandezza.

Diffondano il ricordo della tua bontà immensa,

acclamino la tua giustizia.

Misericordioso e pietoso è il Signore,

lento all’ira e grande nell’amore.

Buono è il Signore verso tutti,

la sua tenerezza si espande su tutte le creature.

Ti lodino, Signore, tutte le tue opere

e ti benedicano i tuoi fedeli.

Dicano la gloria del tuo regno

e parlino della tua potenza,

per far conoscere agli uomini le tue imprese

e la splendida gloria del tuo regno.

Il tuo regno è un regno eterno,

il tuo dominio si estende per tutte le generazioni.

Fedele è il Signore in tutte le sue parole

e buono in tutte le sue opere.

Il Signore sostiene quelli che vacillano

e rialza chiunque è caduto.

Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa

e tu dai loro il cibo a tempo opportuno.

Tu apri la tua mano

e sazi il desiderio di ogni vivente.

Giusto è il Signore in tutte le sue vie

e buono in tutte le sue opere.

Il Signore è vicino a chiunque lo invoca,

a quanti lo invocano con sincerità.

Appaga il desiderio di quelli che lo temono,

ascolta il loro grido e li salva.

Il Signore custodisce tutti quelli che lo amano,

ma distrugge tutti i malvagi.

Canti la mia bocca la lode del Signore

e benedica ogni vivente il suo santo nome,

in eterno e per sempre.

 (dal Salmo 145 )

 Veni, Sancte Spiritus

Veni, per Mariam.

  

 

 

 

L’ITINERANZA

 Proseguiamo nell’approfondimento di alcune figure bibliche che hanno, particolarmente, vissuto l’ “itineranza”.

L’”itineranza” implica sempre «uscite» (separazioni e liberazioni) che, ora più ora meno, suscitano resistenze.

L’”itineranza” è «luogo» di rivelazione di Dio, ma anche incontro con altri e con sé stessi. Personaggi diversi realizzano itineranze diverse. L’elemento personale è sempre decisivo. Perciò in ogni itineranza c’è come un imperativo che la caratterizza.

 

 

      

 

 

 

 

 

LECTIO   Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano che mi viene proposto.  (1Re 19,1-18)

1Acab riferì a Gezabele tutto quello che Elia aveva fatto e che aveva ucciso di spada tutti i profeti. 2Gezabele inviò un messaggero a Elia per dirgli: «Gli dèi mi facciano questo e anche di peggio, se domani a quest’ora non avrò reso la tua vita come la vita di uno di loro». 3Elia, impaurito, si alzò e se ne andò per salvarsi. Giunse a Bersabea di Giuda. Lasciò là il suo servo. 4Egli s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». 5Si coricò e si addormentò sotto la ginestra. Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: «Alzati, mangia!». 6Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve, quindi di nuovo si coricò. 7Tornò per la seconda volta l’angelo del Signore, lo toccò e gli disse: «Alzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». 8Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb.

9Là entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco gli fu rivolta la parola del Signore in questi termini: «Che cosa fai qui, Elia?». 10Egli rispose: «Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita». 11Gli disse: «Esci e férmati sul monte alla presenza del Signore». Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. 12Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. 13Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna.  Ed ecco, venne a lui una voce che gli diceva: «Che cosa fai qui, Elia?». 14Egli rispose: «Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita».

15Il Signore gli disse: «Su, ritorna sui tuoi passi verso il deserto di Damasco; giunto là, ungerai Cazaèl come re su Aram. 16Poi ungerai Ieu, figlio di Nimsì, come re su Israele e ungerai Eliseo, figlio di Safat, di Abel-Mecolà, come profeta al tuo posto. 17Se uno scamperà alla spada di Cazaèl, lo farà morire Ieu; se uno scamperà alla spada di Ieu, lo farà morire Eliseo. 18Io, poi, riserverò per me in Israele settemila persone, tutti i ginocchi che non si sono piegati a Baal e tutte le bocche che non l’hanno baciato».

 

 

 

 

 

 

 

MEDITAZIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio !   Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza.

Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".

  

Elia -    “Elia: ritorna sui tuoi passi!”

Mosè ed Elia, la legge e i profeti.

Questi due personaggi hanno dunque molto in comune. Sono infatti accomunati dalla centralità della parola di Dio nella loro vita e dalla preoccupazione per la guida del popolo. Entrambi sono chiamati a farsi mediatori e custodi della relazione con il Signore e vengono duramente messi alla prova dall’incredulità e dall’idolatria di Israele.

 

Non sono migliore dei miei padri

 Nonostante possa sembrare strano, nel brano di questo mese uno dei problemi di Elia è la paura. E’ strana questa paura perché Elia, a questo punto del racconto, ha affrontato gravi pericoli imponendo al paese una dura carestia (cap. 17) e fronteggiato da solo, con grande coraggio e apparentemente con successo, il re Acab e la regina Gezabele, il popolo e i profeti dei Baal. Si è levato, sembra in solitudine, a difensore della fede in Jahwè e dopo l’acclamazione del popolo pare sia sulla strada giusta per portare a compimento la sua missione.

 Eppure proprio adesso ha paura. E la paura, come sappiamo, distorce la percezione della realtà: fa vedere quello che non c’è e rende ciechi su quello che c’è.

La determinazione di Elia si incrina per paura. Ma di cosa ha paura? Forse comincia a capire che il suo successo è effimero. Il popolo che si piega davanti alla forza dei miracoli e del sangue (Elia ha fatto scendere il fuoco dal cielo e ha ucciso centinaia di profeti dei Baal) è volubile; e la regina Gezabele non appare affatto vinta. Teme dunque per la minaccia di morte della regina? In un primo momento sembra così: «Elia, impaurito, si alzò e se ne andò per salvarsi». E’ «impaurito» e lascia il campo di battaglia per mettersi in salvo. Ma ora, nel deserto, chiede a Dio di morire «perché – dice – non sono migliore dei miei padri». Ci troviamo di nuovo davanti a un confronto sbagliato e perciò drammatico e deviante con la paternità. Con gli occhi al passato, Elia ha paura perché si trova costretto all’evidenza del suo fallimento. E per un uomo orgoglioso come lui si tratta di una ferita mortale.

Ciò che ci fa parlare di orgoglio, nel caso di Elia, è proprio la sua pretesa di essere migliore dei padri: «Volevo, credevo di essere migliore dei miei padri ma il presente mi dimostra che non lo sono. Ho fallito. La mia vita consacrata alla conversione di Israele non ha più senso (o addirittura si è rivelata un inganno). Perciò voglio morire». Elia non ha solo lo sguardo rivolto al passato: è in gara con il passato di Israele. E’ in competizione con i padri, vuole essere migliore di loro. Migliore perfino dei patriarchi? Addirittura di Mosè? Molti hanno notato un profondo parallelo tra Mosè e il racconto della vicenda di Elia. Sembra quasi che Elia tenti di eguagliare (e superare) Mosè.

 

 

 

Itineranza del profeta e pedagogia divina

 Si può capire meglio il problema di Elia se riprendiamo rapidamente la sua vicenda. Quello che vediamo apparire all’inizio è uno sconosciuto che ha lasciato il padre e la madre e che irrompe sulla scena presentando le sue credenziali: «sto alla presenza di Dio». Elia, che compare senza ascendenza quasi fosse un inizio assoluto, decide di intervenire contro l’idolatria del popolo in nome di una particolare intimità con Dio. Dopo di che comanda una carestia che graverà sulla terra di Israele «finché non lo dirò io» (cap. 17). Non dice: «finché non lo dirà Dio». E’ una sua iniziativa e potremmo mostrare anche altrove questa pretesa di Elia seguendo il rigore del testo che tutte le volte precisa quando una parola è rivolta a Elia da Dio, lasciando così intendere che negli altri casi si tratta di una iniziativa del profeta. Nonostante questo abuso di potere Dio asseconda il suo profeta. Mistero dell’elezione e della fedeltà divina! Da questo momento, però, il Signore deve mettere una pezza dopo l’altra per salvare Elia – che rischia di soccombere a causa della durezza della sua stessa parola – e per dare seguito ai suoi piani, compromessi dallo zelo eccessivo del suo profeta. Prima gli comanda di nascondersi presso il torrente; poi di mettersi in salvo a Zarepta di Sidone presso la vedova povera; e infine interviene per mandarlo ad Acab per annunciare che la carestia sta finalmente per finire.

 Come nel caso di altre itineranze, anche per Elia sono importanti e ricchi di istruzione gli incontri che fa. Dio gli manda cibo dai corvi, animali impuri, affinché impari a non essere più tanto rigoroso nelle sue distinzioni tra puro e impuro (gli Atti ci raccontano come la stessa pedagogia verrà usata con Pietro):

 Poi lo invia alla vedova povera per vivere in casa sua, mettendolo così in una situazione imbarazzante ma salutare. Essa infatti lo riconoscerà «uomo di Dio», pur essendo conterranea e senz’altro della stessa religione dell’odiata regina Gezabele. Mettendo a rischio la vita sua e del figlio questa vedova sarà per Elia salvezza dalla fame. La gratitudine e la pietà per lei e per suo figlio faranno pregare il profeta, strappandogli una intercessione (l’unica che Elia pronuncia) che in maniera assai audace arriva a chiedere una risurrezione che Dio non esiterà ad accordare. 

E infine Dio propizia a Elia l’incontro con Abdia (cap. 18). Da Abdia veniamo a sapere che  in Israele (e anche fuori di Israele) non sono proprio tutti da buttare; infatti Abdia ha salvato cento profeti, nascondendoli e portando loro pane e acqua proprio come ha fatto Dio quando ha salvato Elia al torrente Cherit. Abdia si è comportato come Dio. Anzi, Abdia ha fatto prima di Dio quello che poi il Signore avrebbe fatto per il suo profeta. Per Elia avrebbe dovuto subito scattare il riconoscimento e una constatazione: costui ha fatto per i veri profeti quello che Dio ha fatto per me; ci sono in Israele ancora decine di profeti! 

Eppure a Elia manca l’umiltà per vedere, accecato com’è da quello che crede essere l’unico modo giusto di pensare le tre cose che gli interessano: Dio, il rapporto con lui e la sua missione purificatrice presso il popolo. Elia ha in mente l’esperienza dei padri, la loro inadeguatezza. E probabilmente attribuisce ad essa la mediocrità del popolo. Vuole essere migliore di loro e vuole dare un nuovo e ben più decisivo inizio alla fede in Jahwè, in modo che in Israele l’appartenenza a Dio sia totale e universalmente accolta. Volendo fare meglio perfino di Mosè, che quando muore ha seri dubbi sulla fedeltà presente e futura del popolo, non gli basta certo quel poco di buono che ha incontrato: o tutto, o niente. Non sopporta l’ambiguità, non ha tempo per cercare la conversione di pochi e per aspettare la maturazione che richiede. La scorciatoia che prende è quella della violenza. Come Gezabele ha cercato di uccidere i profeti del Signore, così lui ucciderà tutti i profeti dei Baal.

Così come si presenta al suo inizio l’impresa di Elia è solitaria e insieme, non a caso, estremamente presuntuosa. Un uomo così, animato da uno zelo che rasenta il delirio di onnipotenza, dovrà rivedere se stesso radicalmente. Quello che incontra all’Oreb sarà niente meno che occasione di conversione. Sarebbe interessante tracciare un parallelo con la presunzione di Paolo, la sua violenta opposizione al cristianesimo e la sua conversione sulla via di Damasco.

 La religiosità di Elia è per molta parte una costruzione umana. La potenza di Dio la spezzerà. Ma senza violenza, senza infierire. La spezzerà con l’amore. Sarà da questo incontro con il Dio che è nella «voce di silenzio sottile», che Elia potrà cominciare finalmente a vedere l’opera di Dio nella storia. Opera «nascosta» ma ben presente e radicata, che offre al profeta già nel presente una moltitudine di sorelle e fratelli coraggiosi e fedeli.

 

 

 

L’esperienza di quel silenzio e la ripresa del cammino

 Ritorniamo al brano iniziale. Elia è alle prese con il suo desiderio di morire. Non sarà facile fargli cambiare idea. Il Signore dovrà fare qualcosa di grande per questo profeta, tanto caparbio quanto amato. Ed è questo amore misericordioso di Dio a farcelo amare. Se leggendo la sua storia arrivassimo a detestarlo, ricadremmo esattamente nell’errore di Elia. E’ in questo modo che l’esercizio di lettura del testo biblico diventa esercizio «spirituale».

 La presenza sollecita del Signore si deve scomodare due volte, con un crescendo di intensità, e soltanto quando riproporrà al profeta un cammino «troppo lungo per te» troverà Elia di nuovo disposto ad alzarsi e ad andare: prende subito la via del monte. E’ il Sinai-Oreb, monte della chiamata di Mosè e dell’alleanza con il popolo. Elia si muove perché crede ancora di venire accreditato come nuovo Mosè? Quando arriva all’Oreb entra nella caverna, quella da dentro la quale Mosè fu testimone (non vedente) del passaggio di Dio. 

Al monte Carmelo Elia ha portato la sfida decisiva al sistema religioso di Israele che per motivi di convivenza con le popolazioni limitrofe si è contaminato con il culto dei Baal. Di questa sfida il testo dice chiaramente che si tratta nuovamente di una iniziativa di Elia. Ad Acab chiede: «con un ordine raduna presso di me tutto il popolo al monte Carmelo…» (cap. 19). E il testo non dice affatto che questo è un ordine del Signore. E’ vero, Dio manda il fuoco dal cielo. Ma poi di nuovo è un’iniziativa personale di Elia quella di uccidere 450 profeti sgozzandoli personalmente uno per uno.

Durante la sfida Elia ha ironizzato sul silenzio dei Baal, vedendo in questo il segno della loro debolezza (cap. 18).

Adesso, nel momento della sua crisi, tocca a lui sperimentare il silenzio di Dio. Lo sperimenta prima nel fallimento della rivoluzione religiosa che voleva accendere. E poi nella teofania sul Sinai. Nel primo caso il silenzio segnala l’assenza di Dio: il Signore non è nella violenza e non parla attraverso di essa. Nel secondo caso, invece, il silenzio è una «voce», precisamente «voce di silenzio sottile». E’ un silenzio pieno della presenza di un Signore, ma appunto è silenzio. La presenza di Dio non si segnala per la forza, per il «rumore», per la sua pubblicità; meno che mai per la devastazione che il profeta vorrebbe che producesse. E la sorpresa per questa rivelazione divina inattesa è segnalata dal fatto che Elia viene «anticipato» dalla manifestazione di Dio: prima di uscire dalla caverna, come gli è stato ordinato, Dio passa. E’ solo all’accadere del silenzio che Elia esce, espressione plastica del parto che lo fa rinascere.

Notiamo lo schema narrativo del dialogo tra Dio ed Elia:

 Le parole che Dio rivolge a Elia sono davvero sorprendenti. Qui la situazione rispetto all’esodo si è ribaltata: Dio voleva distruggere il popolo e Mosè intercedeva; qui Elia non salva nulla di Israele e Dio intercede mettendosi in mezzo tra il popolo e la rabbia del profeta. Mosè è decisamente più grande di Elia. Già solo per il fatto di aver pregato per ottenere il perdono del popolo e la continuazione dell’elezione nonostante tutto. Eppure Dio non sconfessa Elia come suo profeta e gli offre anzi una seconda possibilità. Come accade fin dall’inizio della Bibbia, con la seconda volta della creazione dopo il diluvio. Come accadrà ai discepoli di Gesù ai quali il Risorto darà appuntamento in Galilea per ricominciare la sequela dopo il fallimento del venerdì santo, e come accade a ciascuno di noi: al primo giro non capiamo; abbiamo bisogno di farne un altro, un terzo, un quarto…

 A questo punto Elia è ricondotto alle proporzioni esatte della realtà, che non è affatto disastrosa come la vede lui, accecato com’è dalla sua paura. Dio resta il Signore della storia e in molti non l’hanno abbandonato. Elia non è poi così solo! E’ ricondotto anche alle proporzioni, importanti ma relative, del suo ruolo: verrà sostituito da un altro, così come è stato preceduto da altri. Cosa che può accettare solo chi acconsente a vivere nella fraternità. In tal modo gli viene anche mostrato che voler essere un “super padre”, un inizio assoluto e migliore di tutti, è assai dannoso. Per Elia ha voluto dire sostituirsi a Dio, e questo ha procurato lutti, sofferenze e una paradossale conferma delle peggiori immagini che l’uomo si fa di Dio.

Ora Elia ha imparato l’umiltà e può ritornare sui suoi passi. Sa di essere uno di tanti e l’ha appreso attraverso le avventure e gli incontri della sua missione itinerante. Adesso sì che sta alla presenza del Dio vero. Da qui in avanti sarà un uomo diverso, anche se saranno possibili arresti e regressioni…

 

Quello che resta è un’intimità che aiuta contro la paura

 Dio continua la sua opera di assimilazione del profeta al suo modo d’essere, di sentire e di vedere. Coinvolge Elia – l’itinerante che «deve ritornare» – nella sua misericordia, mostrandogli un lato apprezzabile perfino nel misero re Acab (cap. 21).

 Ma a un certo punto torna alla vecchia “abitudine” della violenza di un tempo: mandato a prendere dai soldati, per due volte comanda un fuoco dal cielo e incenerisce in tutto cento uomini. La terza volta, però, assistiamo a una svolta, propiziata dall’umiltà e dalla supplica del comandante delle guardie e insieme da un parola di Dio che ne conferma le buone intenzioni (2 Re 1).

 Sono probabilmente ancora la paura e l’orgoglio a far scivolare il profeta nella scelta della forza. Ma quando la “voce” gli dice di non temere egli si ferma e si mostra docile. Finalmente da qui in avanti non ucciderà più nessuno. E’ già qualcosa…

 Elia è l’itineranza che ritorna. Convinto di essere un arrivato, deve rendersi conto di dover tornare sui suoi passi e di poterlo fare una volta e poi ancora un’altra grazie alla misericordia e alla mitezza del suo Signore.

 Ci chiederemo perché sia proprio lui ad apparire insieme a Mosè con Gesù nella trasfigurazione. Sappiamo che nel racconto lucano i tre discorrevano dell’«esodo» del Figlio Gesù. Evidentemente Mosè ed Elia appaiono al fianco di Gesù in quanto esperti di itineranza e della «passione» che essa comporta: la legge e i profeti sono convocati quali esperti nella lotta contro le perversioni della paternità.

 

 

  Per la mia vita

 Lascio a Dio la possibilità di parlare dentro di me?

…oppure preferisco “sovrappormi” a Lui?

…preferisco “suggerirgli” cosa dovrebbe dire e fare?

 

 Quando “prendo l’iniziativa” sono cosciente che tutto quello che dirò e tutto quello che farò avrà sicuramente una ricaduta sugli altri?  

…e che la ricaduta potrebbe essere anche negativa?

…e che la ricaduta sugli altri potrebbe non essere semplicemente materiale ma anche spirituale?

…potrebbe spegnere definitivamente una fiammella vacillante?

…potrebbe minare quello che Dio ha già seminato?

 

In fondo al mio cuore sento la tentazione di invocare la “vendetta” di Dio?

…mi viene in mente che Dio potrebbe risolvere tutto con una semplice “pulizia etnica”, a favore della “mia parte” che sicuramente verrebbe risparmiata?

…e se la “vendetta divina” tarda a venire, ho la tentazione di pensare, invocare, organizzare, pianificare la mia personale vendetta?

 

Ho la presunzione di credere che la “mia” azione sia la migliore?

…e io stesso sia migliore rispetto a “quel branco di caproni” dei miei fratelli?

 

 

ORATIO    Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

 La preghiera di un professore

 

Insegnami ad insegnare, Signore,

perché è difficile il compito

che mi hai assegnato.

Mi sento inadeguato

di fronte a questi ragazzi

che mi ha affidato,

e spesso raggiungo a stento la sufficienza.

Tu consoci i miei limiti

ma anche le mie possibilità.

Tu sai tutto di me

e sai che ce la metto tutta

anche quando i risultati

stentano ad arrivare.

Sii un buon maestro con me,

prendimi per mano quando resto indietro,

ripetimi quello che non ho capito,

aiutami a imparare dai miei errori.

Insegnami ad insegnare, Signore,

perché il servizio alla verità

sia, prima di ogni altra cosa,

servizio alla persona.

Insegnami ad insegnare, Signore,

perché io possa essere

il servo buono e fedele

che non si stanca di attendere.

Insegnami ad insegnare, Signore,

come tu hai insegnato,

con pazienza e passione

senza risparmiare le forze.

Insegnami ad insegnare, Signore.

Amen.

(Patrizio Righero)

 

 

 

 CONTEMPLATIO Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.

 È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo

a te, Dio Padre Onnipotente,

nell’unità dello Spirito Santo,

ogni onore e gloria

per tutti i secoli dei secoli.

AMEN

 

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.

Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!

  

Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

 

Arrivederci!

 

 

(spunti da sussidi delle Pontificie Opere Missionarie)