RITIRO ON LINE                                                                                                   
ottobre 2017

                                                                                                                                                                                                                                                

 

Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.   Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi. 

 

O alto e glorioso Dio,
illumina le tenebre 
del cuore mio.
Dammi una fede retta,
speranza certa, 
carità perfetta 
e umiltà profonda. 

Dammi, Signore,
senno e discernimento
per compiere la tua vera 
e santa volontà.

 

(Francesco d’Assisi)

 

Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

 

 

 

 

“Le donne sono quelle del Vangelo di Luca;

la gioia è quella che scaturisce dal loro incontro con Gesù”

 

Proseguiamo la preghiera suggerita da alcune lectio tratte da episodi del Vangelo di Luca, nelle quali il filone comune è la GIOIA DELLE DONNE CHE INCONTRANO GESU’.

Oggi lasciamoci toccare dalla “vedova povera” che non esita ad indicarci il “vangelo della totalità”.

 Queste riflessioni sono liberamente tratte da alcune lectio di don Davide Caldirola, della Chiesa di Milano.

 Buona meditazione e buona preghiera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.  (Luca 21,1-4)

 Alzàti gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio. Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine, e disse: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere».

 

 

 

 

 

 

 

 

MEDITATIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio !  Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".

 

 

La vedova povera: la gioia del dono

(Luca 21, 1-4)

 

La parola spezzata

La seconda parte del vangelo di Luca è pensata come un viaggio verso Gerusalemme. Ma quando Gesù arriva nella città, l'impatto non è idilliaco. È un contatto aspro, duro, e non potrebbe essere diversamente, dato che il Signore a Gerusalemme va per morire e non per una vacanza. Dal pianto sulla città (capitolo 19) fino alla crocifissione sarà un susseguirsi di conflitti, di contrasti, di malintesi, di litigi, di discorsi apocalittici. Lo stesso clima dell'ultima cena non sarà quello di un ritrovo tra amici: proprio in quel momento si consuma il dramma del tradimento e dell'incomprensione, basti pensare al tradimento di Giuda, al rinnegamento di Pietro, alla discussione sul più grande.

 

L'episodio della vedova avviene nel tempio, nel cortile in cui venivano ammesse anche le donne. Lì c'erano le ceste per gettare le monete. Probabilmente gli offerenti dovevano dichiarare l'entità del dono e lo scopo per cui lo offrivano. Non è il primo episodio che Luca ci presenta riguardo a Gesù nel tempio: tutto il capitolo 20 è ambientato lì, ed è un susseguirsi di fatti di segno negativo:

-       la cacciata dei venditori (19,45-48);

-       la controversia sull'autorità di Gesù (20,1-8);

-       la parabola dei vignaioli omicidi (20,9-19);

-       la questione del tributo a Cesare (20,20-26);

-       la controversia coi sadducei sulla risurrezione (20,27-40) e sulla figliolanza davidica (20,41-44);

-       quella con gli scribi riguardo all'ostentazione della loro giustizia (20,45 -47).

Gesù inesorabilmente si sta inimicando tutta la gente che conta. Sta compiendosi la sua ora, il momento in cui «getterà» la sua stessa vita.

 

Vale la pena spendere due parole in più sul quadro immediatamente precedente, perché fa da contrasto a quello della vedova (cf Lc 20,45-47).

«Mentre tutto il popolo ascoltava, disse ai suoi discepoli: "Guardatevi dagli scribi, che vogliono passeggiare in lunghe vesti e si compiacciono di essere salutati nelle piazze, di avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti; divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa"».

 

Vera e falsa religiosità

 

Il comportamento degli scribi e quello della vedova rappresentano la vera e la falsa religiosità. I discepoli, invitati a osservare entrambi, devono confrontarsi e riconoscersi. Gesù in questo caso non sta rimproverando direttamente gli scribi: si rivolge ai discepoli perché non cedano al loro fascino. Sono stimati, accettati e seguiti dal popolo. Ma il discepolo non si deve lasciare ingannare dalla “popolarità”…

In questo contesto così cupo, la vedova rappresenta l'unico personaggio genuino, vero, sincero, autentico. È significativo che lo sia una donna, una donna povera, una donna vedova: in pratica una persona che non conta assolutamente nulla e che non si cura di perdere la propria vita.

È l'unica persona che ama veramente il tempio, che non se ne serve per i suoi affari, per le proprie discussioni di sapienza, per accrescere il proprio prestigio o il proprio potere.

Ed è l'unica a essere indicata come modello da Gesù ai discepoli.

Anche se fugacissima, la sua apparizione è tutt'altro che irrilevante.  Piuttosto  è  l'immagine che segnala nel modo più trasparente possibile ciò che Gesù è venuto a fare: gettare la propria vita tra il disprezzo dei potenti e la sostanziale indifferenza del popolo. Anche Gesù, forse, ha bisogno di un segno. Gli viene dato: la vedova povera è esattamente come lui.

 

Alzàti gli occhi

 

Facendo scorrere rapidamente il testo di Luca, possiamo annotare alcuni elementi significativi.

«Alzàti gli occhi». Il testo di Luca si apre con questo gesto di Gesù. È un gesto che i vangeli ricordano spesso. In particolare il rimando è al discorso delle beatitudini, introdotto  da Luca con  parole simili. Letteralmente è un guardare verso l'alto, un sollevare (distogliere) lo sguardo dall'apparente grandezza degli scribi che si rivela in realtà cosa di poco conto.

 

…ma…

 

Ciò che immediatamente vede Gesù è ciò che vedono tutti: i ricchi che offrono ingenti somme. Ma subito dopo c'è un'avversativa («ma» vide, o “vide «anche» una vedova povera”). Gesù è l'uomo delle avversative, l'uomo che sovverte il modo di guardare comune.

Quando lui alza gli occhi vede cose che altri non vedono, coglie risvolti della vita, situazioni, personaggi che sfuggono allo sguardo pigro e poco intelligente dell'uomo comune, che trovano profondità negate all'occhio miope di chi si lascia abbagliare e trarre in inganno dalle apparenze. Gesù insegna che c'è sempre un «ma», un «altro», un modo di vedere diverso.

La conversione del cuore può anche cominciare dallo sguardo attento.

 

“vedere”, come?

 

In questo particolare «vedere» di Gesù c'è una sottigliezza non da poco. Innanzitutto Gesù ci viene presentato come uno attento al particolare, curioso, capace di cogliere le sfumature. Ma qui si suggerisce qualcosa di più. La vedova non vede Gesù: è Gesù che vede lei. La vedova non compie il suo gesto per farsi vedere da lui, ma compie questo gesto al di là di qualsiasi interesse, di qualsiasi pubblicità, di qualsiasi tornaconto. Non è del segno di coloro che non fanno nulla senza le telecamere. Sicuramente non si sarà neppure accorta dell'attenzione e dell'apprezzamento di Gesù: non c'è tra loro scambio di parole o di opinioni. Gesù non parla con lei, ma di lei ai suoi discepoli. Proprio questa sua libertà fa di lei una persona guardata da Dio.

 

Beati i poveri

 

“Vide anche una vedova povera… Questa vedova, così povera,…”  Si ricorda per ben due volte che questa vedova è povera. Il fatto che è vedova dice che non è di nessuno: per questo è di Dio, che ne accoglie e tutela i diritti. Il secondo dei due termini usati per indicare la sua condizione di indigenza è lo stesso delle beatitudini: beati i poveri, perché di essi è il regno di Dio. La vedova è beata perché è come il suo Signore. Questa vedova possiede già il regno di Dio grazie alla sua povertà, alla sua gratuità, al non accettare di tenere qualcosa per sé. Il suo non è un gesto di rinuncia, ma di beatitudine: ha trovato la perla preziosa, il tesoro nascosto nel campo.

 

Due spiccioli

 

“…che vi gettava due monetine…”   Gli esegeti fanno notare l'importanza del fatto che gli spiccioli siano due, e non uno soltanto. Anche il samaritano aveva lasciato due denari all'albergatore. Sono due. Qualcuno può dire: «Me ne tengo uno per me e l'altro lo do in elemosina». Ma facendo così rientra, a suo modo, nella categoria dei ricchi che danno il di più, il superfluo, e non tutta la vita.

Di fronte a questo gesto, Gesù richiama l'attenzione dei discepoli con parole molto impegnative: «In verità vi dico…». Sono le parole che il vangelo riserva per gli insegnamenti più importanti. Gesù ha trovato un gesto autentico e vuole che i discepoli lo imparino subito. Ciò che l'ha colpito è insieme l'assenza di ostentazione e la totalità del dono: rilegge in questo gesto se stesso e ciò che sta per compiere.

Ritorna continuamente nel testo greco il verbo «gettare». Richiama insieme il disprezzo e lo spreco. C'è un gettare spregiativo, da ricchi, di chi dall'alto della propria sufficienza butta via ciò di cui può fare a meno. C'è il gettare di chi spreca, di chi ignora il valore delle cose. Ma la stessa parola può avere connotazioni positive: c'è un gettare, un buttare se stessi che è sinonimo di una generosità che non conosce confini; c'è uno spreco che è quello della logica di Gesù e della sua passione. La vedova getta «quanto aveva per vivere», cioè la vita stessa. È lei il personaggio più vicino e più simile al Maestro che va a morire per amore.

 

Dalla mensa della parola, briciole di gioia

 

Il contesto remoto e prossimo del brano sembra sottolineare con forza e richiamare la terribile possibilità di condurre una vita inautentica all'ombra del tempio. Scribi, farisei, sadducei si alleano per conservare le loro posizioni di potere, per mettere in difficoltà Gesù, per farlo cadere. Non accettano di mettere in discussione se stessi e le proprie sicurezze: non si pongono domande, non sono disposti a entrare in crisi, in stato di

discernimento o di conversione.

È possibile condurre una vita falsa pur senza mai lasciare il tempio, frequentandolo ogni giorno, sostenendo dibattiti sacri, riempiendosi la bocca della parola di Dio, curando l'apparire più che l'essere. Il tempio, il luogo sacro, vissuto così diventa un abisso, un baratro di perdizione. Con l'aggravante che uno non si accorge che si sta perdendo, che sta nutrendo il suo orgoglio, che sta cercando la propria soddisfazione personale.

 

Un vero discepolo

 

Gesù stenta a trovare nel tempio un vero discepolo: ha bisogno  di  una donna  povera, senza difese,  per trovare una persona vera. Non una professionista del tempio, non una di quelle che col tempio «ci campano». Non cerca professionisti ma dilettanti.

Certo, l'affermazione è da spiegare. Non si intende dire che davanti a Dio possiamo stare o fare le cose «in qualche modo» (da «dilettanti», appunto, cioè da persone poco preparate, che non hanno il rigore e la competenza del professionista), ma che le dobbiamo fare «dilettandoci», provando diletto, gratitudine, gioia, pienezza di gusto. Non chiediamo di essere retribuiti per il nostro servizio, come un professionista serio che giustamente si fa pagare per le sue prestazioni. La nostra ricompensa e la nostra gioia - potremmo dire parafrasando san Paolo - consistono nel poter stare gratuitamente davanti a Dio. È la gioia di chi non vive la propria fede aspettandosi uno stipendio, un compenso, una gratifica, o vantando qualche diritto in più nei confronti di Dio perché gli è sembrato di aver fatto un po' di più del proprio dovere. E’ la gioia di chi ha imparato il valore inestimabile delle cose che non si possono comprare.

 

La conversione dello sguardo

 

C'è poi una gioia da chiedere: quella della conversione dello sguardo, che domanda di diventare limpido e profondo come quello del Maestro. Uno sguardo innanzitutto che non si lascia ingannare dall'apparenza, da ciò che luccica. Uno sguardo  che diventa  attento ai particolari, alle notizie e alle persone marginali, ai poveri. Uno sguardo che non pregiudica nessuno, che sa dare il giusto valore alle cose.

Lo sguardo di Gesù si posa sui discepoli per insegnare loro dove guardare, per metterli in guardia dai rischi possibili, dagli abbagli e dai fraintendimenti. I discepoli hanno bisogno che qualcuno orienti il loro sguardo.

La conversione dello sguardo, però, significa anche uscire dall'ansia del «farsi guardare», del cercare notorietà e pubblicità, apprezzamento per le proprie qualità, encomi, premi e riconoscimenti. Chiede  la capacità di operare il bene lontano dai media e dai riflettori, senza nessuna preoccupazione riguardo a eventuali tornaconti. Quando si impara a guardare (e a lasciarsi guardare) così, si entra in una gioia profondissima, pacificata, e si realizza in noi quanto sta scritto nel discorso della montagna: «La lampada del corpo è l'occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso» (Mt 6,22)

 

Il vangelo della totalità

 

Questo vangelo è il vangelo della totalità, non il vangelo del poco o del tanto. Non è una questione di conti, perché non c'è nulla da misurare. O meglio: perché fa saltare ogni unità di misura umanamente comprensibile. In questione non ci sono le offerte in denaro, ma l'offerta della vita. È un problema di amore. In questo senso esprime una radicalità impressionante: è vangelo duro, di crocifissione. E ci conduce senza scorciatoie e senza retoriche alla gioia di donare la vita.

Che ne ho fatto della mia vita? Sembra questa la domanda posta da un testo così.

Ma ce n'è una ancora più profonda: che ne ho fatto di Cristo?

Gettare la vita ci pone anche un'ulteriore, duplice questione: che cosa mi trattiene e che cosa sto trattenendo.

Che cosa mi trattiene, anzitutto: che cosa mi impedisce  la libertà,  la gratuità,  che  cosa  mi rende incapace di uscire dalla mediocrità, dalle mezze misure.

Ma anche che cosa sto trattenendo, quali ricchezze mi impediscono di essere libero, quali legami non so sciogliere, a quali ricchezze non so rinunciare. 

Quali le zavorre della mia vita, i pesi, gli attaccamenti non buoni che mi ritrovo incapace di rompere, che non so, non posso, non voglio mettere in discussione?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

Dammi, Signore, un cuore che ti  pensi;

un'anima  che ti ami,

una mente che ti contempli,

un intelletto che ti intenda,

una ragione che aderisca fortemente a te, 

e sapientemente ti ami,

o Amore sapiente.

 

O vita per cui vivono tutte le cose,

vita che mi doni la vita,

vita che sei la mia vita,

vita per la quale vivo,

senza la quale muoio;

vita per la quale sono risuscitato,

senza la quale sono perduto.

Vita per la quale godo,

senza la quale sono tormentato;

vita vitale, dolce e amabile,

vita indimenticabile.

 

Ti prego: dove sei, dove ti troverò,

per morire a me stesso e vivere di te?

Sii vicino a me nell'anima, vicino nel cuore,

vicino nella bocca,

vicino col tuo aiuto perché sono malato,

malato d'amore,

perché senza di te muoio,

perché pensando a te mi rianimo.

 

(sant’Agostino)

 

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONTEMPLATIO     Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.  È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,  

nell’unità dello Spirito Santo,

ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.  Amen

 

 

 

 

 

 

 

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.

Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!

Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

 

Arrivederci!  

 

(spunti liberamente tratti da alcune lectio di don Davide Caldirola, della Chiesa di Milano)