RITIRO ON LINE
dicembre - anno del Signore 2004
 
 
 

 

Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.

Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, il Segno che mi è stato donato nel Battesimo e che mi contraddistingue come cristiano.

“Accogliendo ora la sua Croce gloriosa, quella Croce che ha percorso insieme ai giovani le strade del mondo, lasciate risuonare nel silenzio del vostro cuore questa parola consolante ed impegnativa: <Beati…>”.
[XVII GMG Toronto, Festa di accoglienza dei giovani, Discorso del Santo Padre, 25 Luglio 2002]

Invoco lo Spirito Santo:  

Respira in me tu, Santo Spirito,
perché siano santi i miei pensieri.

Spingimi tu, Santo Spirito,
perché siano sante le mie azioni.

Attirami tu, Santo Spirito,
perché ami le cose sante.

Fammi forte tu, Santo Spirito,
perché difenda le cose sante.

Difendimi tu, Santo Spirito,
perché non perda mai la tua Santa Grazia.

(Sant’Agostino)


Contemplo i segni della Passione che sono impressi nel Crocifisso.

“Raccolti intorno alla Croce del Signore, guardiamo a Lui…”
[XVII GMG Toronto, Festa di accoglienza dei giovani, Discorso del Santo Padre, 25 Luglio 2002]
 

 
LECTIO      Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano – Genesi 22, 1-19

 

1 Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». 2 Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, và nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». 3 Abramo si alzò di buon mattino, sellò l’asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l’olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato. 4 Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo. 5 Allora Abramo disse ai suoi servi: «Fermatevi qui con l’asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi». 6 Abramo prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt’e due insieme. 7 Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: «Padre mio!». Rispose: «Eccomi, figlio mio». Riprese: «Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?». 8 Abramo rispose: «Dio stesso provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio!». Proseguirono tutt’e due insieme; 9 così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna. 10 Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. 11 Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». 12 L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio». 13 Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. 14 Abramo chiamò quel luogo: «Il Signore provvede», perciò oggi si dice: «Sul monte il Signore provvede». 15 Poi l’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta 16 e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio, 17 io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. 18 Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».
19 Poi Abramo tornò dai suoi servi; insieme si misero in cammino verso Bersabea e Abramo abitò a Bersabea.
 

Parola di Dio
 

La Parola di Dio scritta nella Bibbia si legge con la penna e non soltanto con gli occhi!
“Lettura” vuol dire leggere il testo sottolineando in modo da far risaltare le cose importanti.
È un’operazione facilissima, che però va fatta con la penna e non soltanto pensata.
 
 

 
MEDITATIO                 Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro on line: “Il Grande Silenzio”! Il protagonista è lo Spirito Santo.

La IV° puntata della storia di Abramo si ferma al capitolo 22 della Genesi, un brano molto significativo per la vita di Abramo e per la nostra vita spirituale.
Il racconto è comunemente attribuito alla corrente elohista ma raccoglie elementi jahvisti. All’origine può esservi un racconto di fondazione di un santuario israelita dove, a differenza dei santuari cananei, non si offrivano vittime umane. Il racconto attuale giustifica la prescrizione rituale del riscatto dei primogeniti di Israele: questi, come tutte le primizie, appartengono a Dio; però non devono essere sacrificati ma riscattati (cfr Es 13,11). Il racconto implica dunque la condanna, pronunciata più volte dai profeti, dei sacrifici di fanciulli. Vi si aggiunge una lezione spirituale più alta: l’esempio della fede di Abramo trova qui il suo punto culminante. I Padri della Chiesa hanno visto nel sacrificio di Isacco la figura della passione di Gesù, il Figlio unico del Padre.

Genesi 22, 1-18 narra la prova della fede. C’è anzitutto il comando da parte di Dio: Abramo praticamente non dice niente. Abramo tace. Il Dio che lo ha chiamato, che gli ha promesso quanto desiderava dal profondo del cuore e glielo ha donato, dandogli la gioia del suo Isacco, quello stesso Dio gli chiede di privarsi di Isacco. C’è da impazzire! Com’è possibile che Dio neghi le promesse di Dio? Che lo stesso Dio che gli ha fatto lasciare tutto, per dargli il tutto del suo desiderio, ora venga da lui e gli chieda di sacrificare tutto, anzi, di sacrificare l’unica cosa che per lui veramente conta nella sua vita? Questa è la prova di Abramo! È la prova della sconfitta di Dio, di un Dio cioè che nega se stesso, che ti aveva dato ed ora ti toglie: come è possibile? Si capisce perché Abramo non ha parole!

La seconda chiamata di Abramo è quella dell’ “aqedah” di Isacco, la prova della fede: Gen 22,1-18, il comando, l’esecuzione, il colloquio tra Abramo e Isacco, il giuramento. Tutto avviene al «terzo giorno». Da quel giorno - secondo Kierkegaard (Timore e tremore, 44) - Abramo divenne vecchio, non poté più dimenticare quello che Dio gli aveva chiesto (sei vecchio quando hai un passato che ti segna per sempre...). Non rifiuta il suo figlio, l’unico, l’amato. «Ora so che temi Dio» (Gen 22,12). La prova della fede è per Abramo capire che Dio è diverso da come l’aveva capito... e fidarsi di Lui (cf. Eb 11,8-12; 17-19). Lui mette in cuore ad Abramo queste parole: «Signore del cielo, è meglio che egli mi creda un mostro, piuttosto che perda la fede in Te». E aggiunge: «Ciascuno diventa grande in rapporto alla sua attesa. Uno è diventato grande con l’attendere il possibile; un altro con l’attendere l’eterno; ma colui che attese l’impossibile, divenne più grande di tutti». Abramo lasciò la sua intelligenza terrena e prese con sé la fede: credette nell’impossibile possibilità di Dio. Capì che «nessun sacrificio è troppo duro quando è Dio che lo vuole». Dio è colui che esige amore assoluto. Abramo ama Isacco con tutta l’anima, e quando Dio glielo domanda egli lo ama, se fosse possibile, ancora di più e solo così egli può farne il sacrificio. Questo amore è inesprimibile a parole: perciò Abramo non può parlare.

Non basta che Abramo abbia risposto alla prima chiamata di Dio. Non basta l’entusiasmo di seguire Dio quando Lui ti promette le cose che tu vuoi. Perché ci sia fede non basta la felicità e la gioia di un Dio che compie la tua volontà! Perché ci sia fede, occorre qualcosa di altro, di diverso, qualcosa che cambia profondamente il tuo cuore, che lo segna per sempre, qualcosa che ti sconvolge la vita, che ti porta solo davanti a Dio solo, a vivere l’offerta più difficile, il dolore più grande, l’amore più profondo. Questo è ciò che succede in Genesi 22, la seconda chiamata di Abramo, la chiamata che nella tradizione ebraica viene chiamata la aqedà, il «legamento» di Isacco.

«Da quel giorno, cioè dal momento in cui Dio gli chiese di sacrificare Isacco, Abramo divenne vecchio». Quando si diventa vecchi? Non quando gli anni passano, ma quando c’è qualcosa che tu non potrai mai più dimenticare per tutto il resto della tua vita, qualcosa che ti ha lacerato l’anima in un modo che ha cambiato per sempre la tua vita. Tu diventi vecchio nel senso in cui dice Kierkegaard, quando hai conosciuto il passaggio, il guado della fede. Finché vivi dei tuoi entusiasmi e dei tuoi sogni, sei giovane, ma quando arriva quel momento in cui tu a Dio devi dare la lacerazione dell’anima tua, cioè, quanto di più profondo, di più vero hai dentro, quello è il momento in cui la tua vita cambia per sempre. In questo caso diventare vecchi non è qualcosa di negativo, è semplicemente fare un salto di qualità, entrare in una nuova dimensione della vita, non poter più dimenticare quello che Dio ti ha chiesto. Quindi, c’è il comando, c’è l'esecuzione del comando: Abramo parte! È impressionante! Non fa commenti! Semplicemente mette in azione quello che Dio gli ha chiesto!

 Ecco il terzo momento, il colloquio fra Abramo ed Isacco. È commovente, perché Isacco si rivolse al padre Abramo e disse «Padre mio», e sentirsi chiamare così dal figlio amato, dal figlio della promessa, tocca le fibre più profonde dell’anima. Abramo rispose: «Eccomi, figlio mio!». Notate la tenerezza di queste parole! Riprese Isacco: «Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?». Abramo rispose: «Dio stesso provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio». Abramo non dice niente! Perché? Kierkegaard mette in bocca ad Abramo questa preghiera segreta: «Signore del cielo è meglio che egli mi creda un mostro, piuttosto che perda la fede in Te». Abramo capisce che se dicesse ad Isacco che Dio lo vuole far sacrificare, Isacco bestemmierebbe, non potrebbe più credere in Dio. Allora, Abramo preferisce che il figlio pensi che lui sia un mostro, piuttosto che perda la fede in Dio. Fino a questo punto Abramo ama Dio, fino al punto che non solo è pronto a sacrificargli l’amato del suo cuore, ma è pronto ad essere giudicato un mostro dall’amato del suo cuore, piuttosto che Isacco perda la fede in Dio. Ecco perché Kierkegaard aggiunge queste parole: «Ciascuno diventa grande in rapporto alla sua attesa; uno diventa grande con l’attendere il possibile, un altro con l’attendere l’eterno, ma colui che attese l’impossibile, divenne più grande di tutti». Abramo scommette sull’impossibile possibilità di Dio, cioè sul fatto che lo stesso Dio che ha dato e che ha tolto, è il Dio del quale bisogna fidarsi. Dio ha sempre una possibilità impossibile, Dio, dirà Gesù, può far nascere dei figli ad Abramo dalle pietre. Abramo si fida di Dio anche nel tempo della sconfitta di Dio e del silenzio di Dio. Questa è la grandezza di Abramo, cioè fidarsi di Dio non solo quando tutto va bene, quando Lui fa la tua volontà, ma fidarsi di Dio quando Lui ti toglie tutto, quando sembra che l’Isacco del tuo cuore debba essere sacrificato. Kierkegaard aggiunge a proposito di Abramo: «Lasciò la sua intelligenza terrena e prese con sé la fede». Abramo non ragiona più ormai in termini di calcolo umano: do questo e riceverò quest’altro. Abramo crede, si fida...
Santa Teresa è più rigorosa, si ferma, e dice “«che dobbiamo amare Dio anche se Dio ci volesse mandare all’inferno, perché noi non lo amiamo per le sue consolazioni, noi lo amiamo perché Dio. E Dio esige un amore assoluto»”. Kierkegaard afferma: “«Nessun sacrificio è troppo duro quando Dio lo vuole»". Noi che siamo sempre pronti a lamentarci per le prove che ci vengono, dovremmo ricordarci di queste parole. Se le prove ci vengono da Dio, nessun sacrificio è troppo duro quando Dio lo vuole. Occorre, poi, capire che tu non sacrifichi quello che non ami. Sacrificare quello che uno non ama, è facile, liberarsi di qualche ricchezza, di qualche bene terreno, di qualcosa che tutto sommato non aggiunge e non toglie niente al nostro cuore, è facile! Ma, offrire a Dio l’amore vero della nostra vita, questo è difficile! Dice Kierkegaard: «Abramo ama Isacco con tutta l’anima e quando Dio glielo domanda, lo ama se fosse possibile ancora di più e solo così può farne il sacrificio». Abramo può sacrificare Isacco solo perché ama Isacco infinitamente. A Dio non si offre lo scarto del cuore, a Dio si offre l’amore più grande. Solo se tu ami infinitamente, puoi offrire a Dio l’amore più grande. Allora, la grande verità è che si entra nella vita di fede, quando si offre a Dio l’unico, l’amato del proprio cuore: ognuno di noi ha un Isacco del suo cuore. Fede è capire qual è questo Isacco e metterlo sull’altare del sacrificio al terzo giorno, cioè nel giorno di Dio: Gesù risorge al terzo giorno, perché nella tradizione biblica il terzo giorno è il giorno in cui si compiono le opere di Dio. Offrire l’Isacco del proprio cuore, l’unico, l’amato, al terzo giorno, è offrirlo a Dio, perché solo Dio è degno di quest’offerta e solo Dio può essere amato così: questa è la fede. Fede significa morire per nascere.
 In Genesi 12, Abramo non era morto, aveva lasciato la sua terra, ma rispetto a ciò che lo aspettava era niente. In Genesi 22, Abramo muore ai suoi sogni, ai suoi desideri perché è pronto a dare a Dio il suo Isacco, ad amare Dio più di tutte le consolazioni di Dio, ad affidarsi perdutamente a Dio. Allora, Dio gli può dire in Genesi 22, 12: «Ora so che temi Dio», perché ora Abramo ha offerto a Dio l’Isacco del suo amore. «Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio». Com’è bello questo! Com’è esigente! Com’è vero, e che dramma porta con sé! Ci sono dei pittori che hanno saputo esprimere questo in una maniera straordinaria. Ad esempio di Rembrandt ci sono due scene del sacrificio di Isacco, dipinte rispettivamente quando era giovane, e si trova all’Hermitage di San Pietroburgo, e da vecchio, e si trova al museo l’Alt Pinakoteke di Monaco di Baviera. Nella scena del sacrificio di Isacco dipinta da Rembrandt giovane, la scena rappresenta Abramo che tiene il coltello nella mano, e con l’altra mano nasconde lo sguardo: è la reazione del giovane che non vuol vedere l’atrocità che deve compiere. Nella scena di Isacco dipinta da Rembrandt vecchio Abramo guarda in alto, come fa chi ha capito che tutto bisogna aspettarsi da Dio, bisogna affidarsi a Dio senza riserve: solo quando avrai offerto a Dio l’Isacco del tuo cuore e sarai stato pronto a ricevere da Dio qualunque cosa Dio voglia per te, allora sarai un uomo, una donna di fede, allora nascerai nella fede.
 Questa è la fede: credere nell’impossibile possibilità di Dio, fidarsi di Dio nonostante tutto, fidarsi di Dio anche nel tempo del silenzio di Dio o addirittura della sconfitta di Dio. Certe volte noi ci guardiamo intorno, ci sembra che questo mondo vada a rotoli, ci sembra che ci sia tanta superficialità, tanta corruzione! L’uomo di fede confida in Dio anche nel tempo della sconfitta di Dio, sa che Dio è Dio, di Dio bisogna fidarsi incondizionatamente. Ecco perché in Romani 8,32, Paolo riprenderà la scena di Genesi 22, con gli stessi verbi del testo greco dei Settanta (la traduzione greca dell’Antico Testamento, usata dall’ebraismo) con la differenza che in Romani 8,32 Abramo sarà Dio Padre e Isacco sarà Gesù, e che mentre l’Isacco di Genesi 22 non muore l’Isacco di Romani 8,32 muore per amore nostro. Ecco il sacrificio di Isacco realizzato in pienezza da Gesù nella sua vita, ed ecco perché Abramo diventa il Padre nostro nella fede, perché ha saputo credere contro ogni evidenza, sperare contro ogni speranza. A tal punto Abramo diventa il simbolo della fede che Gesù dirà che «il Paradiso è entrare nel seno di Abramo», cioè si entra in Paradiso quando si è percorsa la porta stretta della fede anche nella sconfitta di Dio, nel silenzio di Dio, quando ci si è fidati dell’impossibile possibilità di Dio.
Secondo la tradizione Eloista di Genesi 22 Abramo è il provato da Dio, è l’uomo della «akedà», colui che conosce la prova ed è fedele nella prova. La sua fede è affidarsi perdutamente a Dio anche quando ti appare come il Dio che nega le promesse di Dio: Abramo si fida totalmente di Dio, anche quando Dio nasconde la sua faccia. Finalmente, e proprio per questo, Abramo diventa il Padre nella fede per molti popoli, secondo la tradizione sacerdotale, cioè colui che avendo creduto così, avendo amato Dio più delle promesse di Dio, avendo raggiunto il punto di sacrificare l’Isacco del suo cuore è ormai talmente povero di sé, da essere ricco di Dio, ricco di una moltitudine di figli, che saranno tutti coloro che nella storia crederanno nella fedeltà di Dio anche nel tempo dell’apparente sconfitta di Dio o del suo silenzio.
Soltanto chi è stato pronto di dare a Dio il proprio Isacco è pronto per credere in Lui e dargli tutta la propria vita: a Dio non si può offrire lo scarto del nostro cuore, a Dio si deve offrire quanto di più vero e di più bello noi abbiamo. Allora potremmo dirlo di averlo amato e di amarlo, allora potremmo dire di vivere di fede. Come Abramo, nostro padre nella fede...

 

Ø Qual è l’Isacco del mio cuore? Qual è il bene più grande, la perla preziosa, ciò a cui più ho tenuto o tengo nella mia vita? L’Isacco del mio cuore non è quello esteriore che a volte può apparire, è quello più profondo, spesso è semplicemente il nostro io che vuole essere al centro di tutto: quando io capisco qual è l’Isacco del mio cuore, sono pronto ad offrirlo a Dio, a metterlo sull’altare del sacrificio, amando Dio più della ricompensa e della consolazione di Dio?

Ø Accetto di vivere non nella mia fedeltà ma nella fedeltà di Dio? Vivere nella fedeltà di Dio significa credere che Dio è fedele anche quando sul monte ti chiede il sacrificio di Isacco, quando la mia fedeltà ormai umanamente sembra non farcela più e io mi affido lo stesso alla fedeltà di Dio perché ciò che conta non è che la mia volontà si compia, ma che si compia la Sua. Ecco perché il vero Isacco, il vero Abramo è Gesù: «Padre, se è possibile passi da me questo calice, tuttavia non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi Tu».
 

( http://it.geocities.com/laboratoriodellafede/abram.htm )


Dai Padri della Chiesa:

Abramo prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono insieme (Gen 22,6). Isacco porta lui stesso la legna per l’olocausto: per questo è figura di Cristo che portò egli stesso la croce (cf. Gv 19,17). Eppure portare la legna per l’olocausto è compito del sacerdote. Cristo è dunque nello stesso tempo vittima e sacerdote. Questo è ciò che vuol significare l’espressione: «Poi proseguirono insieme». Infatti, mentre Abramo, che doveva compiere il sacrificio, porta il fuoco e il coltello, Isacco non cammina dietro a lui, ma accanto, dimostrando così di condividere col padre la funzione sacerdotale.
 E la Scrittura continua: Isacco si rivolse a suo padre Abramo, e disse: Padre (Gen 22,7). E in quel momento la voce del figlio risuona come una tentazione. Prova a immaginare come sarà stato sconvolto il cuore del padre nell’udire la voce del figlio che sta per essere immolato. Infatti la fede di Abramo, sebbene lo portasse a una certa durezza di cuore, non gli impedì di rispondere con una parola affettuosa: Che c’è, figlio mio? E Isacco riprese: Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per il sacrificio? Abramo rispose: Dio si provvederà l’agnello per il sacrificio, figlio mio (Gen 22,8).
 Questa risposta di Abramo, amorevole e insieme prudente, mi commuove. Non so che cosa vedesse in spirito, perché non parla in riferimento al presente, ma al futuro, quando dice: «Dio stesso si provvederà l’agnello». Al figlio che l’interroga sul presente, risponde con l’intuizione del futuro. Il Signore infatti si era già provveduto una vittima nella persona di Cristo...
 E Abramo - dice la Scrittura - stese la mano e afferrò il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e disse: Abramo, Abramo! Ed egli rispose: Eccomi. E l’angelo disse: Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! adesso so che tu temi Dio (Gen 22,10-12)... Facciamo un confronto con quel passo dell’Apostolo in cui viene detto di Dio che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi (Rm 8,32). Guarda con quale stupenda generosità Dio scende in gara con gli uomini: mentre Abramo ha offerto un figlio mortale, che di fatto non sarebbe morto, Dio ha consegnato per noi alla morte un Figlio immortale.
 E Abramo alzò gli occhi e vide che c’era un ariete impigliato con le corna in un cespuglio (Gen 22,13). Dicevamo prima che Isacco era figura di Cristo: ma Cristo sembra essere prefigurato anche nell’ariete. Vale la pena che cerchiamo di comprendere come l’una e l’altra figura - Isacco che non viene ucciso e l’ariete che lo è - si riferiscono entrambe a Cristo.
 Cristo è il Verbo di Dio, ma il Verbo si è fatto carne (Gv 1,14). C’è dunque in Cristo una natura che viene dall’alto, e una natura assurta dalla condizione umana, dal seno della Vergine. Ora Cristo soffre, ma nella carne; si sottopone alla morte, ma è la sua carne che la subisce, e di questo è figura l’ariete, come diceva anche Giovanni: Ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo (Gv 1,29). Al contrario, il Verbo è rimasto nell’incorruttibilità: è lui il Cristo secondo lo spirito, e Isacco ne è l’immagine. Per questo egli è insieme vittima e sacerdote. Infatti, secondo lo spirito, Cristo offre ai Padre la vittima e, secondo la carne, egli stesso viene offerto sull’altare della croce.

 Origene, Omelia sul Genesi, 8,6.8-9
 
 
 

La meditazione non è fine a se stessa, ma tende a farmi entrare in dialogo con Gesù, a diventare preghiera.
 


ORATIO                 Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare. Se sei in difficoltà, puoi pregare così:

Padre mio, io mi abbandono a Te,
fa' di me ciò che ti piace.
Qualunque cosa tu faccia di me,
ti ringrazio.
Sono pronto a tutto, accetto tutto,
purché la tua volontà si compia in me
e in tutte le tue creature.
Non desidero niente altro, Dio mio;
rimetto l'anima mia nelle tue mani
te la dono, Dio mio,
con tutto l'amore del mio cuore,
perché ti amo.
Ed è per me un'esigenza d'amore
il donarmi,
il rimettermi nelle tue mani,
senza misura,
con una confidenza infinita,
poiché Tu sei il Padre mio.

(Charles de Foucald)

Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo;
quando ho sete, dammi qualcuno che ha bisogno di bevanda;
quando ho freddo, mandami qualcuno da scaldare;
quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare;
quando la mia croce diventa pesante, fammi condividere la croce di un altro;
quando sono povero, guidami da qualcuno nel bisogno;
quando non  ho tempo, dammi qualcuno che io possa aiutare per qualche momento;
quando sono umiliato, fa che io abbia qualcuno da lodare;
quando sono scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare;
quando ho bisogno della comprensione degli altri, dammi qualcuno cha ha bisogno della mia;
quando ho bisogno che ci si occupi di me, mandami qualcuno di cui occuparmi;
quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un’altra persona

(Madre Teresa di Calcutta)



CONTEMPLATIO           Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarsi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.

Tu sei Santo, Signore Iddio unico, che fai cose stupende.
Tu sei forte.
Tu sei grande.
Tu sei l'Altissimo.
Tu sei il Re onnipotente.
Tu sei il Padre santo, re del cielo e della terra.
Tu sei trino e uno, Signore Iddio degli dei.
Tu sei il bene, tutto il bene, il sommo bene,
Signore Iddio, vivo e vero.
Tu sei amore, carità.
Tu sei sapienza.
Tu sei umiltà.
Tu sei pazienza.
Tu sei bellezza.
Tu sei sicurezza.
Tu sei la pace
Tu sei gaudio e letizia.
Tu sei la nostra speranza.
Tu sei giustizia.
Tu sei temperanza.
Tu sei ogni nostra ricchezza.
Tu sei bellezza.
Tu sei mitezza.
Tu sei il protettore.
Tu sei il custode e il difensore nostro.
Tu sei fortezza.
Tu sei rifugio.
Tu sei la nostra speranza.
Tu sei la nostra fede.
Tu sei la nostra carità.
Tu sei la nostra dolcezza.
Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore.
Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.
(S. Francesco d'Assisi)


È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
 
 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo
a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo,
ogni onore e gloria
per tutti i secoli dei secoli.


 
ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questo brano, quello che mi ha colpito di più nella meditatio, che ho ripetuto nell’oratio, che ho vissuto come adorazione e preghiera silenziosa nella contemplatio e adesso vivo nell’actio.

Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!
 

Prego con la Liturgia della Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

Arrivederci!