RITIRO ON LINE                                                                                                   
settembre
2011  

 

 

Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.   Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.

 

 Signore, come è bello, alla sera,

quando il sole si lascia scivolare dietro le colline,

rientrare nell’ovile della preghiera e trovati lì,

con le tue robuste braccia spalancate

pronte ad accogliermi.

Signore, come è bello

rivedere il tuo volto quando,

dopo essermi smarrito tra rovi e boschi ostili,

mi fermo, stremato dalla fatica,

in attesa del tuo soccorso.

Signore, come è bello

sapere che di te mi posso fidare,

che, anche ad occhi chiusi,

posso seguire il richiamo della tua voce.

Signore, come è bello

e quanta pace offre la tua casa:

fresca, quando la calura del giorno ha esaurito le mie energie,

calda, quando il gelo dell’inverno ha intorpidito la mia anima.

Signore, come è bello

essere parte del tuo gregge, parte della tua Chiesa.

(da “Hai un momento, Dio?”)

Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

 

OSSERVARE

Osservare: gesto attento di chi va in cerca di qualcosa, che mette in gioco lo sguardo con tutte le sue potenzialità. Uno sguardo che cerca l'incontro con il fratello, che riconosce l'altro, donandogli onore e dignità; uno sguardo ha il potere di cambiare il destino di una vita (Lc 19, 1-10).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LECTIO   Apro la Parola di Dio e leggo in piedi il brano che mi viene proposto. 

              Riconoscimento, dignità e bellezza: sguardi che si incontrano   (Lc 19, 1-10)

  

 

1Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, 2quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, 3cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. 4Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché doveva passare di là. 5Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». 6Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. 7Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». 8Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». 9Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. 10Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto»

Parola di Dio

 

 

 

 

 

 

 

MEDITAZIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio !   Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza.

Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".

 

Lo sguardo che cerca

    Siamo in cammino con Gesù verso Gerusalemme; torna con insistenza la questione del vedere: sulla strada verso Gerico, il maestro di Nazaret aveva risanato e salvato un cieco, seduto a mendicare lungo la via, guarigione che segna il compimento delle parole con cui egli aveva aperto il suo ministero. Adesso Gesù sta attraversando la città dopo esservi entrato.

    Accanto a lui entra in scena il protagonista del racconto: Zaccheo, definito da Luca capo dei pubblicani e ricco. L'evangelista presenta Zaccheo come il classico "caso impossibile", l'uomo la cui salvezza pare davvero irrealizzabile: in quanto capo dei pubblicani, egli - secondo la Legge mosaica - non può salvarsi (agli occhi della gente è l'emblema del traditore poiché riscuoteva le tasse per conto dell'impero, in collaborazione stretta con gli occupanti romani). D'altra parte, secondo il Vangelo, in quanto ricco poco probabilmente entrerà nella salvezza.

    Quest'uomo, decisamente facoltoso, quindi almeno in teoria autosufficiente, è morso da un'inquietudine segreta che lo spinge: egli cercava di vedere chi era Gesù. Non è l'unico: lo stesso desiderio accomuna greci («Vogliamo vedere Gesù», Gv 12, 21) e giudei; persino Erode cercava di vedere Gesù (Lc 9, 9; 23, 8). Si tratta, tuttavia, di un'aspirazione ben diversa: Erode pretende di vedere senza spostarsi dal luogo dove si trova e attende che Gesù gli venga portato davanti (significativamente quando ciò accadrà non riuscirà a comprendere nulla del suo mistero). Zaccheo al contrario per vedere è disposto a muoversi.

    Ciò nonostante non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Ci sono due ostacoli che si frappongono tra Zaccheo e l'oggetto del suo desiderio: l'assembramento di gente e la sua piccolezza. Certamente il capo dei pubblicani non si sente a suo agio in una folla curiosa e osservante che si stringe attorno a un maestro, in mezzo a persone che certamente lo additavano, che lo ritenevano impuro e collaborazionista, colluso con il potere dell'invasore. Egli per giunta era piccolo, condizione che non gli consentiva di superare agilmente l'ostacolo che gli si parava davanti.

    Ma la voglia di vedere supera di gran lunga ogni impedimento: ecco che Zaccheo corse avanti. Vedere è diventato urgente e primario, il desiderio preme e lo spinge a correre. Egli si lascia così alle spalle gli impedimenti e si precipita, aggirando l'ostacolo: infatti per riuscire a vederlo salì su un sicomoro.

    Un gesto che sancisce uno spostamento di prospettiva: Zaccheo cambia punto di vista, abbandonando quella posizione che non gli consentiva di individuare il maestro; accetta di modificare la sua posizione per vedere colui che  diversamente non sarebbe riuscito a scorgere. È l'atteggiamento opposto a quello di Erode, potente immobile, che non cambia posizione cercando di vedere dal suo palazzo.

    Salendo su un sicomoro, Zaccheo si mette anche al sicuro: innanzi tutto, da quella folla da cui era detestato, ma - ben più astutamente - con questo gesto si mette al riparo dagli sguardi del maestro. Il piccolo uomo da quella postazione può vedere senza essere visto, può osservare la situazione dall'alto senza essere osservato, evitando così qualsiasi eventuale coinvolgimento e conseguente problema per lui. Ecco che la soluzione più sicura per ogni inconveniente è guardare mantenendo una "distanza di sicurezza".

    Zaccheo ci mostra come sia possibile osservare conservando una distanza, come si possa soddisfare il proprio desiderio di vedere anche non entrando in relazione. Il brano evangelico si dischiude, mostrando come osservare sia un atteggiamento che chiede di superare gli ostacoli alla visione cambiando punto di vista, modificando la propria posizione. Allo stesso tempo, ci viene ricordato che esiste anche un osservare "a senso unico", che non mette in relazione.

 

Sguardi che si incontrano

 

    Ma l'imprevisto accade: quando giunse sul luogo Gesù alzò lo sguardo. Ecco che in maniera totalmente inaspettata si verifica proprio ciò che forse il pubblicano temeva: Gesù alza gli occhi e incontra quelli del piccolo uomo nascosto tra il fogliame del sicomoro. Lo sguardo di Gesù riesce a raggiungere l'altro là dove si trova, persino nel suo nascondimento, nella sua solitudine, nella sua voglia di evitare qualunque relazione

    È uno sguardo che si posa sull'uomo "dal basso": mentre Zaccheo, salito sul sicomoro, poteva osservare il maestro letteralmente "dall'alto in basso",

gli occhi di Gesù, al contrario, da una posizione di inferiorità si sollevano per cercare; sono gli occhi del servo, del piccolo. Nel suo sguardo Gesù assume quasi la piccolezza di Zaccheo, quella che egli ha cercato di superare e mascherare attraverso il nascondimento; ora questa piccolezza, fatta propria dal Nazareno, diventa posizione privilegiata di osservazione e luogo di incontro.

    Allo sguardo segue la parola; gli disse: «Zaccheo». È la parola che rende esplicita la natura dello sguardo, uno sguardo che riconosce l'altro, donandogli la propria identità, chiamandolo per nome. Tutto ciò è ancora più rilevante se consideriamo il significato del nome Zaccheo, che in lingua ebraica significa «il puro», «il giusto». Sotto gli occhi di Gesù, colui che era impuro per eccellenza, in quanto pubblicano e per giunta capo dei pubblicani, diventa «il puro». Colui che per antonomasia era ingiusto, sotto gli occhi di Gesù diventa «il giusto» e come tale viene proclamato.

    Lo sguardo di Gesù, assieme alla parola che riconosce la persona nella sua unicità, ha il potere di sottrarre il fratello a quell'isolamento in cui si era volontariamente posto; ha la capacità di entrare nella solitudine di colui che tutta la folla considerava impuro, di colui che un giudeo rispettabile non avrebbe mai osato neppure toccare. Lo sguardo e la parola insieme strappano l'altro dalla sua storia di solitaria emarginazione.

    Non a caso Gesù prosegue dicendo: scendi subito perché oggi devo fermarmi a casa tua. Sguardo e parola domandano comunione, incontro e condivisione, già a partire dalla prima richiesta: «Scendi». Proprio mentre si sta recando a Gerusalemme, Gesù invita il pubblicano a scendere dall'albero; non molto tempo dopo egli salirà su un altro albero, quello della croce, come un impuro. «Scendi», perché solo nella discesa c'è lo spazio della comunione, spazio che prenderà corpo in una casa, quella di Zaccheo.

    Se prima era Zaccheo ad avere l'urgenza di vedere, ora è Gesù che ha l'urgenza della comunione: «Subito, perché oggi devo fermarmi». La comunione non è un optional; l'uomo che guarda il fratello dal basso, l'uomo che riconosce l'altro con il proprio sguardo, che chiede con questo sguardo l'incontro e lo provoca con la parola, sente il bisogno impellente della comunione. Per lui è necessario entrare nella casa dell'altro, condividerne cioè la vita, l'intimità, le esperienze. Lontano dalla folla, Gesù cerca lo spazio della condivisione, dello "stare con".

    Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Adesso Zaccheo, l'uomo guardato, l'uomo che dallo sguardo di Gesù si sente accolto e riconosciuto, diventa capace di accogliere.

 

Sguardi che si escludono

 

    Ma allo sguardo che cerca l'altro, alle parole che chiedono comunione, l'evangelista fa seguire la menzione di altri sguardi, ben diversi. Infatti, il testo dice che: Vedendo ciò, tutti mormoravano. Sono occhi che si autoescludono dalla comunione e dall'incontro, perché percepiscono in questa comunione una minaccia per le proprie sicurezze: le certezze di tutti i presenti vengono messe in questione da questo atteggiamento di Gesù e, di fronte alla vista di un rabbi che sostiene di dover alloggiare da un peccatore, meglio rifugiarsi nella mormorazione piuttosto che lasciarsi mettere in crisi, meglio sostenere che l'altro è in errore piuttosto che interrogarsi. Lo sguardo diventa allora barriera che impedisce la comunione, diventa attestazione che conferma i giudizi e le convinzioni che ciascuno si porta dentro.

    Ed ecco che rapidamente la propria convinzione di essere nel giusto, confermata da ciò che è stato osservato, passa dall'occhio alla bocca e si propaga: lo stesso verbo "mormorare" è usato per i dottori della Legge e i farisei, che vedendo i pubblicani e i peccatori intorno a Gesù, intenti ad ascoltarlo, «mormoravano: "Costui accoglie i peccatori e mangia con loro"». Adesso, quasi come una "peste", questo atteggiamento si diffonde e alla fine tutti gli astanti indistintamente mormorano (non si fa più alcuna distinzione tra la folla e i discepoli...). La mormorazione diventa la forza di un gruppo che si conferma nelle proprie convinzioni religiose e di comportamento, nella propria persuasione di essere dalla parte della giustizia.

    Questo il metro con cui si valuta la realtà: E’ entrato in casa di un peccatore! Nessuno si è accorto, paradossalmente, che quest'uomo peccatore era stato chiamato con il suo nome, era stato detto «giusto», «puro» dal maestro di Nazaret. Per tutti egli è ancora il peccatore: lo sguardo dei presenti, invece di donare all'altro la propria identità, gliela sottrae.

    Ma in queste parole di condanna è nascosta la verità profonda del comportamento del Nazareno: il verbo usato per indicare il gesto di Gesù, "fermarmi a casa tua (alloggiare)", ci rimanda all'inizio della sua vita, alla sua nascita, quando «per loro non c'era posto nell'alloggio». Se Zaccheo era "piccolo", ecco che Gesù nella casa di Zaccheo si fa ancora più piccolo di lui, come quella volta a Betlemme...

    Ma il Vangelo di Luca ci parla anche di un altro alloggio, quello dell'ultima cena, là dove Gesù si offrirà al mondo: «Dov'è la sala in cui posso mangiare con i miei discepoli?». Questo alloggiare presso Zaccheo ci rimanda non solo alla piccolezza di Gesù a Betlemme, nel momento della nascita, ma anche al dono di sé che egli compirà di lì a poco a Gerusalemme.

 

Lo sguardo che cambia

 

    Alla fine, inevitabilmente, colui che si è lasciato trovare e incontrare dallo sguardo di Gesù si trasforma radicalmente: il pubblicano, l'uomo che "prende", che "estorce", diventa l'uomo capace di dare. Egli, infatti, si alzò e disse:  ecco, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri. Lo sguardo di Zaccheo ora si posa sui suoi beni e si accorge che possono essere donati. Un gesto paterno, quello di chi divide i suoi beni donandone subito una metà.

    Ma la restante metà non è trattenuta per sé, come nel caso di Anania e Saffìra in At 5; essa è usata piuttosto per rendere giustizia a coloro che erano stati danneggiati:  se ho rubato a qualcuno,  restituisco quattro volte tanto.

    Il gesto di Zaccheo non è un gesto di risarcimento legalistico e misurato del male che ha commesso, né un'obbedienza alla Legge. È un gesto sovrabbondante, che sgorga dall'incontro di grazia e misericordia che ha avuto con il Signore: lo sguardo del pubblicano, abituato a calcolare ciò che gli era dovuto, adesso non calcola più. I suoi occhi si posano sui poveri che gli stanno intorno ed egli li vede come suoi eredi, come suoi figli, a cui dona subito la metà dei beni. Ecco che in virtù di questo nuovo sguardo entra la salvezza nella casa di Zaccheo, ed egli viene proclamato figlio di Abramo, erede della promessa, figlio di colui che non aveva discendenti e a cui i discendenti sono stati dati in dono da Dio.

    Ecco che l'uomo che cercava di vedere, alla fine si scopre cercato: il Figlio dell'uomo è venuto a cercare... ciò che era perduto. Lo sguardo di Gesù cerca ciò che era perduto, proprio come lo sguardo della donna che ha perso la moneta. È lo stesso sguardo del pastore che va in cerca della pecora perduta, di quella pecora che non scorge più insieme alle altre. Uno sguardo che cerca ciò che non si vede, che sa fare di ciò che è perduto l'oggetto della sua attenzione.

    Ma non solo; le parole di Gesù aggiungono anche e a salvare. Cercando l'altro, lo sguardo può donargli la salvezza. Lo sguardo che cerca è uno sguardo che salva, non uno sguardo che condanna. Lo sguardo che cerca è uno sguardo che desidera l'incontro con l'altro, non la sua distruzione.

    Se, da una parte, «ciò che era perduto» evoca precisamente l'irrimediabilità della distruzione, quando «ciò che era perduto» diventa l'oggetto di uno sguardo di comunione, si apre una possibilità.

    Lo sguardo che cerca ciò che è perduto è dunque lo sguardo della speranza "impossibile", di quella speranza folle che va oltre ogni aspettativa. È lo stesso sguardo del padre della parabola, quello sguardo che si protende nella lontananza e intravede la figura del «figlio perduto» quando era «ancora lontano». È lo sguardo della misericordia: non casualmente tutte e tre le "parabole della misericordia" che Luca ci presenta al capitolo 15 si giocano proprio sul perdere/trovare, e ancora non è un caso che la stessa espressione che indica qui Zaccheo come «colui che era perduto», indichi la dracma perduta, la pecora smarrita e il figlio che si allontana.

 

 

 

Conclusione

 

    Prendendo in prestito il riferimento a Lc 15 accennato sopra, possiamo concludere con l'immagine straordinaria dello sguardo del padre: quello sguardo che cerca nella lontananza, quello sguardo che salva è anche lo sguardo che riveste l'altro della sua dignità di figlio, che desidera con forza e passione di vedere l'altro abbigliato con la veste più bella, "con l'anello al dito" e i piedi calzati, lo sguardo cioè che ha la capacità di rivestire ciò che era perduto, ogni figlio perduto, della sua dignità e bellezza.

 

Per la riflessione

 

Sicomoro: mi fermo per un momento davanti al sicomoro su cui sale Zaccheo. Penso alla difficoltà ma anche alla necessità di cambiare punto di vista nell'osservazione. Mi fermo a considerare come qualche volta trovo il modo di vedere bene le cose, di avere una giusta valutazione e percezione della realtà,

senza tuttavia scendere dal mio luogo di osservazione per non essere coinvolto.

Talvolta osservare può purtroppo diventare un mezzo per non entrare in relazione, un momento in cui lo sguardo mi consente di mantenere la distanza dal fratello.

 

Lo sguardo dal basso: penso al mio sguardo verso il fratello, verso l'emarginato; quante volte è uno sguardo dall'alto... Posso però trasformarlo, fissando gli occhi sullo sguardo di Gesù.

 

Lo sguardo in cerca di comunione: attraverso lo sguardo posso analizzare la situazione, lo stato dell'altro, o piuttosto posso cercare comunione,

chiedere condivisione.

 

La barriera dello sguardo: quando lo sguardo diventa ostacolo alla comunione, diventa barriera, diventa metro di giudizio e conferma delle mie opinioni. Quando non mi lascio mettere in discussione dallo sguardo, da ciò che vedo...

 

Dagli occhi alle labbra: quando ciò che vedo passa troppo velocemente dallo sguardo alle labbra e, come comunità, ci facciamo forti delle nostre valutazioni e delle nostre parole...

 

II potere dello sguardo: l'incontro tra Gesù e Zaccheo mostra come sia possibile cambiare l'altro con lo sguardo, a patto che sia uno sguardo che cerca ciò che non si vede più, lo sguardo della speranza "incallita". Si può osservare per cambiare...

 

 

ORATIO    Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

 Alcune volte, Gesù, proferisci parole

 

che mi inchiodano e mi lasciano perplesso.

 

Hai detto: “quanto è difficile che un ricco

 

entri nel Regno dei cieli”.

 

Io non sono ricco – penso tra me –

 

quindi sarà facile salvarmi.

 

Invece no.

 

Nella tua categoria di ricchi ci sono tutti,

 

ci sono anch’io.

 

Per te la ricchezza non è questione di portafoglio,

 

ma di cuore: è uno stile di vita.

 

Per te ricco è anche chi fa l’elemosina

 

per farsi vedere.

 

I tuoi apostoli ti hanno domandato:

 

“Ma allora chi potrà salvarsi?”

 

Anch’io chiedo: “E’ possibile essere cristiani, oggi?

 

E’ possibile esserlo nel cuore,

 

volendo imitarti per davvero?”

 

Tu, o Gesù, guardandomi negli occhi affermi:

 

“Questo è impossibile agli uomini,

 

ma a Dio tutto è possibile”.

 

Come sono meravigliose le tue opere, o Signore!

 

Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco,

 

peccatore della peggior specie,

 

l’insalvabile per eccellenza,

 

raggiunto dalla tua misericordia,

 

raggiunto dalla tua misericordia,

 

si converte e dona ai poveri la metà dei suoi beni.

 

Imbandisce anche una mensa

 

per raccontare a tutti

 

la gioia per la salvezza ricevuta.

 

Il cammello è passato per la cruna dell’ago!

(don Canio Calitri)

 

  

 CONTEMPLATIO     Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.

 È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

 Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,

nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria

per tutti i secoli dei secoli. AMEN

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.

Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!

 

Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

 

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

 

Arrivederci!

 

(spunti da un percorso formativo della Caritas Italiana)