RITIRO ON LINE                                                                                                   
settembre 2017

                                                                                                                                                                                                                                                

 

Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso.   Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi. 

 

Signore, anch’io ti chiedo

“insegnami a pregare”.

Donami il gusto della preghiera

continua e fervorosa,

affinché abbia la forza necessaria

per affrontare ogni situazione.

Solo la vigilanza e la preghiera

mi mantengono fedele a te

e mi permettono di non essere spazzato via

dalla quotidianità e dalla miseria.

 

 

Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

 

 

 

 

 

“Le donne sono quelle del Vangelo di Luca;

la gioia è quella che scaturisce dal loro incontro con Gesù”

 

Proseguiamo la preghiera suggerita da alcune lectio tratte da episodi del Vangelo di Luca, nelle quali il filone comune è la GIOIA DELLE DONNE CHE INCONTRANO GESU’.

Oggi lasciamoci toccare dai sentimenti della donna che ha ritrovato la moneta perduta.

 Queste riflessioni sono liberamente tratte da alcune lectio di don Davide Caldirola, della Chiesa di Milano.

 Buona meditazione e buona preghiera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.  (Luca 15,8-10)

 

“Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: «Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto». Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte.”

 

 

 

 

 

 

 

MEDITATIO   Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio !  Il protagonista è lo Spirito Santo.

 Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".

 

 La donna della moneta perduta: la festa di chi ritrova

(Luca 15,8-10)

 

La parola spezzata

Siamo al cuore del vangelo di Luca, che in molti hanno voluto definire «il vangelo della misericordia».

Il capitolo 15 ci presenta tre parabole: quella della moneta perduta è inserita tra le altre due - più note e più ricche di particolari - della pecora smarrita e del padre misericordioso. Anche in questo caso, come in molti altri, l'evangelista tende ad affermare la medesima idea servendosi di personaggi sia maschili (il pastore) che femminili (la donna di casa), quasi a invitarci a guardare l'essere umano nella sua totalità e nella sua completezza. Di conseguenza sono molte le analogie tra la parabola della pecorella smarrita e quella della moneta: siamo di fronte a una sorta di «variazione sul tema» che l'evangelista ci propone per segnalarci  nuovi aspetti e nuovi particolari di questo volto benevolo di Dio.

In particolare Luca ci parla di un Padre che si china sul piccolo, sul povero, su chi si è perduto, che non ha a cuore i numeri ma le persone. Una pecora vale quanto e più delle altre novantanove, una moneta quanto e più delle altre nove.

 

Le dieci monete

(“Quale donna, se ha dieci monete e ne perde una…”)

Questa donna possiede dieci monete. È forse un numero simbolico, che dice la totalità, la pienezza. Perdere anche una sola moneta, dunque, non si qualifica come un piccolo danno economico, come un episodio sfortunato, ma rappresenta più a fondo la perdita della totalità, dell'equilibrio, dell'ordine della vita. Nel linguaggio della parabola, che chiede di essere esplorato a fondo, l'unica moneta mancante crea un senso di vuoto incolmabile. È come se anche le altre nove non contassero più nulla.

La moneta perduta è come l'anello di una catena che si  è rotto. La catena non serve più a nulla, e anche gli altri anelli sono utili a poco. Questa donna ha perso il proprio centro, e senza questo centro non le servono a nulla neppure le altre nove monete, che cadono in frantumi, non sono più legate l'una con l'altra. È come se la donna avesse perso se stessa. E chi ha perso il proprio sé continua a fare molte cose, visto dall'esterno, ma a tutte manca il centro, la forza, la chiarezza.

Come reagisce la donna a questo evento che la scombussola  e la agita?

 

La luce

Anzitutto  accende una luce: (“accende la lampada…”)

È la luce della fede, dell'intelligenza, della buona volontà, del buon senso, della saggezza o di altro ancora? Forse più che identificare il senso metaforico del gesto ci possiamo fermare sulla sua «fisicità ». Accendere una luce: è quanto si fa d'istinto, senza pensarci troppo, quando viene sera. La donna non si lamenta del buio: gli contrappone un'opera semplice che lo argina. Non si perde in ragionamenti sul perché o il per come la moneta si è persa, non si attarda in congetture astratte su dove può essere finita. È immediatamente operativa, concreta. Dimostra di avere senso pratico. Non le serve un'analisi accurata della situazione, quanto una risposta immediata, efficace, al bisogno che si è creato.

 

Nella casa

(“spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova”)

E al di là della sua possibile disattenzione o distrazione per aver perso la moneta, torna a essere una brava donna di casa: lava, pulisce, spazza, fruga tra le intercapedini, toglie la polvere e lo sporco che hanno invaso gli angoli del pavimento o si sono attaccati alle pareti. Perché - e il dato è interessante - la moneta si è proprio persa nella casa, dove lei si sentiva più tranquilla, dove era certa di essere la padrona, al riparo da ogni possibile sorpresa. È sempre possibile perdere qualcosa o perdersi «in casa nostra», tra le pareti che ci proteggevano, che ritenevamo sicure. È possibile fallire là dove ci sentivamo più forti. Poi è lì che bisogna cercare per ritrovarsi, come fa la donna. Ed è quello il luogo in cui iniziare a fare pulizia. Notiamo che in tutto questo la donna deve lavorare non solo per pulire la casa, ma  anche per  riconoscere due  piccoli fallimenti  legati al  suo  operato  quotidiano.

 

Ammettere la disattenzione

Anzitutto deve ammettere la propria disattenzione. La moneta non è stata rubata dalla casa, ma si è perduta per la negligenza di chi la abita. «La casa nasconde ma non ruba», dice un antico proverbio, che conosce anche la variante in rima: «Quel che la man non prende, canton di casa rende». La donna non può prendersela con il soffitto o le finestre, ma solo con se stessa e la propria svagatezza. Accanto a questo deve anche accettare di non essere stata troppo attenta nel proprio dovere quotidiano: una casa spazzata e linda, nella quale non si fossero accumulate la sporcizia e la polvere, avrebbe rivelato subito alla luce della lanterna la presenza della monetina perduta. Forse la donna ha un pochino lasciato andare le cose, si è impigrita,  non è stata capace di compiere fino in fondo il proprio dovere di buona massaia.

 

Perdere

Possiamo anche vedere la ricchezza simbolica legata a questo perdere: potremmo aprire al proposito una serie di riflessioni legate alla disattenzione, alla dispersione del nostro modo di vivere, alla trascuratezza nella quale a volte gestiamo i nostri ambienti e la nostra stessa vita personale, alla pigrizia con la quale permettiamo - in casa nostra - l'accumulo di problemi irrisolti, all'inerzia che ci porta a rimandare alcune scelte concrete fino a che i problemi esplodono, alla svagatezza superficiale che ci porta a perdere il senso dell'insieme delle cose che facciamo...  Tutti  temi che elenchiamo soltanto, senza approfondire, perché, più di tutto, questo ci interessa: il finale della parabola.

 

La festa

(“E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: «Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto»”)

Questa donna ritrova la moneta e fa festa. Nella varietà e nella differenza  delle situazioni  descritte, le tre parabole di Lc 15 concordano sull'esito finale: ciò che si è perduto e ritrovato non è motivo di gioia per uno solo, ma per molti, per tutti (“chiama le amiche e le vicine”). In questo senso risalta ancora più negativamente la figura del figlio maggiore nell'episodio del padre misericordioso, che non entra a far festa con gli altri perché risentito nei confronti del padre e del fratello minore.

La festa finale è quanto di più bello e di meno economico si possa pensare. Di più bello perché  ci parla di una gioia contagiosa, che non chiede di essere consumata in un orizzonte ristretto di luoghi e di persone ma di essere partecipata a tutti: amici, vicini, parenti... Di antieconomico perché organizzare una festa costa. Non  posso fare a meno di  pensare  (anche se si tratta di un'esegesi fantasiosa) che la donna abbia speso la moneta  ritrovata  per comprare  qualcosa  da mangiare e bere con le vicine. Ma in  questo caso la moneta non si è più rivelata come «perduta» quanto come «spesa», o meglio ancora «regalata», gettata e usata per quello che è il suo scopo originario, che non corrisponde allo stare nascosta in casa (in una fessura del pavimento o in una cassaforte fa poca differenza: in ogni caso rimane inerte e inutilizzata)  ma «buttata via» per creare un'occasione di gioia.

 

Dalla mensa della parola, un primo sentiero di gioia

Un primo sentiero di gioia è legato alla ricerca del proprio «sé», della propria unità, della propria bellezza originaria. È questo uno dei significati della parabola: l'unica  moneta  mancante  segnala  la  perdita della completezza, di un pezzo fondamentale di se stessi. È bello dunque percorrere una strada che permette di riscoprirsi, ritrovarsi. Anche se occorre al proposito segnalare due opposte derive possibili.

 

La prima deriva è quella che porta a esasperare i cammini di introspezione, della ricerca dell'«io», della scoperta della realtà profonda di se stessi come se fosse l'unica cosa che conta e, soprattutto, ignorando che la ricerca di sé è sempre anche ricerca dell'altro, della relazione, del rapporto. È l'altro che mi rivela e mi suggerisce chi sono, che mi definisce, che contribuisce in maniera insostituibile ad affermare la mia identità e il mio posto nel mondo. Quando il cammino di ricerca di se stessi diventa un percorso tendenzialmente narcisistico non conduce da nessuna parte.

 

La seconda deriva, contraria alla precedente, è quella che vede sempre con sospetto ogni percorso di introspezione alla ricerca del proprio io perché lo legge in opposizione al cammino di rinnegamento di sé proposto da Cristo nel vangelo. In realtà la fede cristiana non conduce alla negazione di sé. Il rinnegare se stessi di cui parla il vangelo non coincide affatto col farsi del male. Semmai è il contrario: è il rinnegamento di quella parte di noi che ci può far male, che ci impedisce di ricordare che siamo a immagine e somiglianza di Dio, che non ci fa essere felici, che ci fa sentire sempre mancanti, a disagio, non unificati. Ci può e deve essere gioia anche in un percorso così, che non designa un'ascesi fine a se stessa o una mortificazione che non fa crescere, anzi che rischia soltanto di nutrire l'orgoglio a forza di «digiuni», ma il libero consegnarsi al progetto del Padre nella sequela di Gesù, sul cammino verso Gerusalemme.

 

Perdersi  in casa propria: una seconda pista di gioia ritrovata

Una seconda pista di gioia ci è suggerita dall'immagine di questa donna  che  perde  qualcosa  in casa  sua. Il luogo più familiare è spesso il più insidioso, il più difficile da praticare. Conosce molti nascondigli, molti angoli oscuri, molte stanze non ancora visitate, molti soffitti pieni di ragnatele e molti pavimenti su cui si è posata la polvere. Questo vale per il proprio cuore, ma vale anche per la comunità, per la famiglia in cui uno vive. È facile perdersi anche quando si vive fianco a fianco; è facile perdere se stessi anche quando ci si sente a posto e sicuri. C'è di conseguenza la gioia intensa e traboccante di chi ritrova la familiarità perduta con le pareti di casa, con quelli che abitano il medesimo luogo, che fanno parte della stessa famiglia o della stessa comunità. Perché perdersi e ritrovarsi, a volte, è un cammino «domestico», e i sentieri più noti si rivelano come i più insidiosi, e insieme come i più fecondi.

 

Il lavoro rigoroso e paziente: un terzo percorso di gioia

Un terzo percorso di gioia è tracciato dall'immagine del lavoro che compie la donna. La  ricerca di sé e di Dio passa attraverso l'accensione di una lampada e il lavoro rigoroso e paziente. Le opere che la fede ci spinge a compiere, alla fine, non sono niente di cui vantarsi, non servono ad accumulare meriti, ma solo a renderci conto di ciò che rischiamo di perdere ogni giorno. Sono solo i  presupposti  buoni  perché possiamo  riuscire a trovare serenità e pace: non li dobbiamo né esasperare né sottovalutare  nella loro importanza.  Insieme a tutto questo è bello imparare a gustare anche la gioia che scaturisce dai lavori più concreti, più umili. Chi l'ha detto che pulire una casa è meno importante che costruire un tempio?

 

La paziente opera di ricerca che Dio compie nei nostri confronti

(“vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte”)

Un ulteriore approfondimento è legato alla lettura della parabola che identifica la donna con la paziente opera di ricerca che Dio compie nei nostri confronti. Verrebbe da dire: non nascondiamoci, lasciamolo lavorare. Talvolta il principale ostacolo alla nostra conversione, al nostro cambiamento, alla nostra felicità, non viene dalle circostanze avverse, o dal fatto che il vangelo è una proposta esigente, o dalla considerazione che viviamo in un mondo difficile. Non viene nemmeno da chi ci vuole male e ostacola la nostra azione e il nostro operato. Viene dalla durezza del nostro cuore, dal nostro nasconderci di fronte a Dio come Adamo dopo il peccato originale. E Dio ci domanda: «Dove sei?». Non è Dio a non saperlo: è Adamo che non sa più dove si trova, dove è finito, in quale sentiero si è perduto, perché si è lasciato ingannare, perché adesso prova vergogna. C'è gioia nel lasciar lavorare Dio, e nel lasciarci trovare da lui quando ci siamo smarriti.

 

Se manca il desiderio di fare festa…

Infine, possiamo consegnarci e abbandonarci al desiderio e alla volontà di questa donna di fare festa con le amiche e le vicine. Se manca nella nostra vita il desiderio di questa festa, è perché non abbiamo trovato nulla di buono in noi, oppure perché non vogliamo abbastanza bene a chi ci sta a fianco. E siamo incapaci di rallegrarci con lui. In una comunità il desiderio di far festa non dovrebbe mai mancare. Una comunità che non sa ridere, che non sa gioire, mostra chiaramente di essere lontana dal vangelo, di essere perduta. Esibisce costantemente un tratto cupo, pesante, che risulta insostenibile a chi si avvicina sperando di trovare un po' di aria fresca. C'è bisogno di un po' di leggerezza. Di questa leggerezza fanno parte anche lo scherzo, la capacità di prendersi in giro con ironia lieve, il gusto di accogliere con un sorriso le proprie manie e quelle degli altri, il tono benevolo di una battuta che scioglie l'imbarazzo, la goffaggine che sfocia in una risata, l'imprevisto che nel tempo diventa ricordo felice.

La donna aveva soltanto dieci monete. Non aveva ritrovato un tesoro, ma una moneta di poco conto. Non si è lamentata per avere così poco denaro: magari l'avrà speso tutto per la festa con le amiche. Il vangelo non passa se non attraverso questa capacità di raccogliere amici e vicini e di imparare, insieme, a far  festa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

 

Signore Gesù, ti lodo, benedico il tuo nome

e ti rendo grazie perché attraverso la tua vita

e le tue parole mi riveli il volto

e il cuore di Dio Padre.

Lo ripeti per tre volte attraverso queste

meravigliose parabole.

Tre modi per esprimere la gioia,

tre modi per dire la grandezza dell’amore,

tre modi per rivelare il volto

e il cuore del Padre.

Oggi mi parli di una donna di casa,

figura della tenerezza dell’amore,

che non si da pace finché non trova

ciò che ha perduto.

O Gesù, io contemplo il volto del Padre

e mi chiedo:

“Dio è così? Ama così tanto?”.

Fà che non mi allontani più da te

perché fuori dal tuo abbraccio

la vita è vuoto e insignificanza.

Per sempre racconterò a tutti

l’amore che hai per me,

perché se grande è la mia stupidità,

più grandi ancora sono

la tua misericordia e il tuo amore.

 

(don Canio Calitri)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONTEMPLATIO     Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.  È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!

 

Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,  

nell’unità dello Spirito Santo,

ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.  Amen

 

 

 

 

 

 

 

 

ACTIO     Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.

Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!

Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...

Arrivederci!  

 

(spunti liberamente tratti da alcune lectio di don Davide Caldirola, della Chiesa di Milano)